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Banca D'Italia

Popolare Bari, ecco contraddizioni e rivelazioni (su come agisce l’Ue) di Bankitalia

Che cosa emerge da interviste e audizioni dei vertici della Banca d’Italia su Popolare di Bari, Tercas e dintorni. L’approfondimento dell’analista Giuseppe Liturri Le recenti comunicazioni di Banca d’Italia relative ai dettagli della sua azione, sopratutto di fronte al Parlamento, vanno accolte con favore, trattandosi di un doveroso tributo all’obbligo di trasparenza di un organo…

Le recenti comunicazioni di Banca d’Italia relative ai dettagli della sua azione, sopratutto di fronte al Parlamento, vanno accolte con favore, trattandosi di un doveroso tributo all’obbligo di trasparenza di un organo istituzionale che, ancorché indipendente negli obiettivi e nelle relative modalità di conseguimento, resta comunque responsabile delle suddette azioni.

Le recenti comunicazioni del Governatore Ignazio Visco (intervista al Corriere della Sera del 23 dicembre 2019) e della vice direttrice generale Alessandra Perrazzelli (audizione del 9 gennaio presso la Commissione Finanze della Camera) sulla crisi della Banca Popolare di Bari, su alcuni aspetti non convincono, su altri appaiono contraddittorie tra loro, e su altri ancora svelano in tutta la loro drammaticità le precarie condizioni in cui il nostro sistema bancario è stato ridotto dalle regole di Ue e Bce. Ed al termine si finisce per avere più domande di quante ce ne fossero prima dell’intervento.

Andiamo con ordine, commentando l’intervento di Perrazzelli ed incrociandolo con quello di Visco.

Esordendo sul tema dei benefici previsti dal “Decreto Crescita“ del giugno scorso, la Perrazzelli sottolinea l’utile contributo di questa norma agevolativa, tuttora al vaglio della Commissione Ue, ed afferma che “è importante fare tutto il possibile per renderla al più presto operativa”.

Peccato che il giorno dopo il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri (Pd, la abbia clamorosamente smentita, sostenendo che tale norma, così com’è non passerà mai. Anzi, è stata informalmente già bocciata dalla Ue, al punto da renderne inutile perfino la notifica formale. Delle due, l’una: o non si parlano tra loro o parlano con uffici diversi di Bruxelles.

Interessante è il passaggio in cui sostiene la sostanziale precarietà del quadro regolamentare per la gestione delle crisi bancarie. Infatti, la risoluzione prevista dalla BRRD è limitata alle banche sistemiche per le quale sussista un interesse pubblico. Per le banche medie e piccole, dopo la comunicazione dell’agosto 2013 che impedisce l’intervento pubblico qualificandolo come aiuto di Stato, non resta che affidarsi alla ricerca di altri soggetti interessati a rilevare la banca in crisi, oppure assistere alla liquidazione disordinata che vedrebbe probabilmente indenni da perdite solo i depositanti sotto 100mila. Così com’è, il sistema di gestione delle crisi bancarie è un problema per la “tutela della stabilità del sistema finanziario” ed innesca “ripercussioni negative a livello sistemico”. Un attacco, peraltro non nuovo, che dovrebbe fare riflettere, data l’autorevolezza della fonte.

Visto che l’unico strumento a disposizione, dopo il febbraio 2015 e fino a marzo 2019, è quello di “facilitare” l’acquisizione di banche in difficoltà da parte di altri investitori, la Banca Centrale si è attivamente impegnata in questo ruolo. Resta da capire, però, visto che Bankitallia è così attenta a muoversi secondo le regole, qual è la norma che disciplina questa attività. Non a caso, Visco ha parlato di prassi. Siamo quindi nel regno della discrezionalità che, come vedremo più avanti, talvolta potrebbe sfociare nell’offerta che “non si può rifiutare”. Col tempo però questa leva, con le perplessità anzidette, ha funzionato sempre meno, per l’assenza di investitori interessati ad intervenire in banche piccole e con rischi elevati (anche su questo punto ci torneremo in seguito).

Con riferimento all’operazione Tercas, la Perrazzelli ribadisce la linea già dettata da Visco: Bankitalia “esplora e facilita” ma non impone operazioni di aggregazione. Peccato che il bilancio 2013 della banca barese testualmente recitasse “…nell’ottobre 2013 la banca è stata chiamata a valutare una possibile operazione di acquisizione di Tercas…”. Se la Perrazzelli scrive invece che “…nel mese di ottobre 2013 la Bpb segnala il proprio interesse all’acquisizione di Tercas…”, la contraddizione è clamorosa.

Se a questo si aggiunge che, a novembre 2013, quando si era appena agli inizi della due diligence che avrebbe portato all’acquisizione di Tercas da parte di BPB nel luglio 2014, BPB erogò un mutuo di €480 milioni a favore di Tercas, con cui la banca abruzzese rimborsò alla Banca d’Italia un finanziamento di pari importo, ovviamente surrogandosi nelle garanzie (almeno quello!), e che parte di quel finanziamento fu praticamente un anticipo di Bpb per sottoscrivere l’aumento di capitale in Tercas, appare chiaro che, sul punto, Bankitalia ha ancora molto da spiegare.

Continuano a destare dubbi anche le motivazioni fornite dalla Perrazzelli a proposito della rimozione del divieto di espandere l’attività, imposto da Bankitalia alla Bpb. La Perrazzelli, come Visco, fa riferimento a “risposte aziendali” che assicuravano sull’adeguatezza dei rimedi adottati da Bpb.

C’è da restare stupiti. La Vigilanza si “fida” di organi terzi per accertare la effettiva messa in atto di misure suggerite da essa stessa? E perché non ha verificato direttamente e si è fidata di “un’autorevole società di consulenza”, considerata l’importanza dell’oggetto d’indagine a fini della rimozione del divieto?

Proseguendo, la Perrazzelli sostiene che sono intervenuti 3 fattori a guastare il progetto di Bankitalia:

1) l’intervento della Ue che ritenne il contributo del FITD un aiuto di Stato e quindi costrinse, a febbraio 2016, la Bpb a restituire le somme e contestualmente riceverle nuovamente dallo Schema Volontario del FITD stesso. È difficile concordare sul fatto che questo sia stato un fatto decisivo, rilevante sicuramente ma non di più. Infatti Tercas entrò nel gruppo Bpb dal 1 ottobre 2014 ed operò per tutto il 2015 cominciando ad integrarsi col gruppo. È noto che non serve una fusione per avere un’integrazione gestionale, che si ottiene anche in un gruppo con distinte entità giuridiche.

2) la mancata trasformazione in SpA che ha impedito di raccogliere capitali. Ma anche su questo punto, la tesi della Perrazzelli non convince. La riforma fu infatti varata con un decreto a gennaio 2016, quando la BPB aveva già raccolto capitali presso i propri soci e risparmiatori al dettaglio (2013, 2014, 2015) per un ammontare complessivo di circa €700 milioni (includendo la conversione del prestito soft mandatory). Per non parlare del fatto, sottolineato in precedenza, della improbabile esistenza di investitori privati interessati alla Bpb. Giova ricordare che, in quegli stessi mesi, si vagheggiava di un fantomatico fondo del Qatar interessato a Banca Mps, poi svanito nel nulla.

3) le forti perdite emerse in seguito alle prime cessioni di NPL a “prezzi bassi”. E qui si ammette clamorosamente una triste realtà: rovesciare su un mercato, per volontà di Bce/Bankitalia, una valanga di NPL senza una domanda adeguata, provoca solo una svendita. Di questo Bankitalia deve solo rimproverare se stessa.

Con riferimento all’ipotesi di tardivo commissariamento di Bpb, la Perrazzelli, qualificandolo come intervento di “vigilanza forte”, sostiene che possa essere adottato soltanto “quando ne ricorrano i presupposti definiti con precisione dalla legge”. Sorge il dubbio, ancora una volta, su cosa dovesse ancora accadere alla Bpb, in cui sin da fine 2018 veniva segnalato da Bankitalia stessa un clima di “forte conflittualità” tra organi di governance, uno “stallo gestionale” e “stasi operativa”. Cosa attendevano ancora? Che gli amministratori indossassero cinture esplosive e le azionassero?

Sul punto, la Perrazzelli fa un’interessante ammissione. Bankitalia commissaria solo quando c’è una concreta prospettiva di risoluzione della crisi, altrimenti può essere una misura che la aggrava. Ed aggiunge che solo da marzo 2019 si è riaperta la possibilità di intervento del FITD nel ripianamento delle perdite, senza subire le censure dell’Ue. Interessante! Scopriamo quindi che l’Ue ha di fatto impedito l’intervento di Bankitalia per circa 3 anni.

Sul punto dell’esercizio del potere di rimozione degli amministratori, la Perrazzelli sottolinea la necessità della “sussistenza di evidenze oggettive, idonee a provare che la permanenza in carica dell’esponente sia di pregiudizio per la sana e prudente gestione della banca e che la sua rimozione consenta di porre rimedio alla situazione” ed aggiunge che nel caso della BPB la situazione era più articolata e complessa. Si potrebbe anche convenire. Ma a questo punto deve mettersi d’accordo con Visco che, nell’intervista al Corriere della Sera, evidenziò le “perplessità sull’opportunità del rientro” alla guida della Bpb. Come è possibile avere perplessità di tale natura e non farne discendere atti conseguenti?

La conclusione dell’intervento della Perrazzelli non è affatto banale. Sottolinea ancora una volta che la rinnovata possibilità di intervento del FITD ha reso fattibili soluzioni prima vietate ed ammette che, dal marzo 2015, Bankitalia è stata di fatto lasciata sola. Solo da marzo 2019 al FITD è stato restituito “un importantissimo margine di manovra” ed è stato possibile procedere con il salvataggio della Bpb. In altre parole, prima del marzo 2019, a Bankitalia non restava altro che liquidare disordinatamente la Bpb.

Non capita tutti i giorni che dai vertici della Banca Centrale partano delle ammissioni e delle accuse così circostanziate al sistema di regole (o meglio al vuoto normativo) in cui la Ue ha precipitato il nostro sistema bancario.

La Perrazzelli ha meritoriamente scritto tutto, basta solo leggere.

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