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Conte

Pil e non solo, perché è pauroso l’immobilismo del governo. Il commento di Polillo

Le cattive notizie dell'economia. Le discussioni inconcludenti nel governo. E lo scientismo alla Casaleggio. Il commento di Gianfranco Polillo

Sul fronte dell’economia, si susseguono le cattive notizie. Solo qualche giorno fa, l’Istat aveva certificato una forte caduta del Pil (meno 0,3 per cento) nell’ultimo trimestre. La crescita per il 2019 si fermerà pertanto allo 0,2 per cento, con un riflesso negativo (meno 0,2 per cento) sull’anno successivo. Poi erano venuti i dati relativi al crollo della produzione industriale nel mese di dicembre. Un calo così forte, che non si vedeva dal 2013. Ieri le nuove previsioni della Commissione europea. Un report in cui è facile vedere che piove sul bagnato. Per il 2020 ed il 2021, l’Italia – ma dov’è la novità? – sarà ancora una volta l’ultima ruota del carro. Il tasso di crescita previsto è pari rispettivamente allo 0,3 ed allo 0,6 per cento. Contro una media europea dell’1,4 per cento. Ma ciò che più impressiona e la fotografia dell’intero database. L’Italia è l’unico Paese ad avere un tasso di crescita inferiore all’unità.

Si deve solo aggiungere che, nonostante l’abulia, l’Italia riesce anche a conquistare il non invidiabile primato di essere tra coloro che sono più colpiti nel ribasso delle previsioni, rispetto ai precedenti report. Si riducono infatti dello 0,1 per cento tanto per il 2020 che per l’anno successivo. Nonostante il forzato ottimismo della volontà, speso a piene mani dai responsabili governativi, in corso d’opera – vedremo quel che succederà nei prossimi mesi – l’ipotetico consuntivo fa sempre più accapponare la pelle. Specie se visto in controluce, avendo come punto di riferimento ciò che succede nei 28 Paesi che compongono l’Unione Europea. Che marciano se non proprio a vele spiegate, almeno con un passo cadenzato. Nel conto c’è anche la Gran Bretagna, nonostante la Brexit.

E’ quindi un’Italia più che ferma, quella che traspare dai mille report che la riguardano. Immobile nella contemplazione di un equilibrio politico squinternato. Portare a casa l’ultima legge di bilancio (la vecchia finanziaria) è stato talmente faticoso, da aver esaurito ogni forza ulteriore. Non ci sono provvedimenti da approvare in Aula o in Commissione, le stesse riunioni del Consiglio dei Ministri, tra rinvii e contestazioni, somigliano sempre più all’Olandese volante. Unico tema: la prescrizione. Tema identitario: si dice. Per difendere il quale il guardasigilli Alfonso Bonafede sembra essere disposto a giocarsi la camicia, sotto forma di una mozione di sfiducia ad personam, che Matteo Renzi ha, più volte, preannunciato.

Sarà senz’altro così: non abbiamo grande esperienza di “temi identitari”. L’impressione, tuttavia, è diversa. Il Governo, ma sarebbe più giusto parlare dei gruppi dirigenti della maggioranza, non sono pronti. Non hanno alle loro spalle un’elaborazione tale da consentir loro la predisposizione alcun provvedimento. Il continuo riferimento alla cosiddetta “fase due”, al cronoprogramma e via dicendo altro non è stato che una foglia di fico per guadagnare tempo. Ed ecco allora che la prescrizione, insieme al che fare di Alitalia, Autostrade e via dicendo, diventa il vero riempitivo. Ma poiché per questi altri dossier non è facile venirne a capo – lo stesso capita per l’Ilva – si tira a campare. Che è sempre meglio che tirare le cuoia, come diceva il sublime Andreotti, ma solo fin quando la discussione conserva un minimo di ragionevolezza. Altrimenti il rischio della catastrofe diventa preminente.

Nel crescente nervosismo che circonda i luoghi della politica, Davide Casaleggio, nel salotto di Bruno Vespa, ha mostrato un aplomb a prova di bomba. Si è dilungato a lungo, sulle caratteristiche della rete, considerata ormai l’architrave della futura democrazia, grazie alla quale milioni di persone possono, in tempo reale, decidere dei propri destini e di quelli del Paese. Basta un clic: verrebbe da dire. Ma è proprio così? Che le risorse delle nuove tecnologie dovessero essere utilizzate al meglio ed in tutti i possibili campi è tesi difficilmente contestabile. Il luddismo non ha mai fatto compiere passi in avanti. Soprattutto si è dimostrato una tigre di carta. Ma il rapporto tra la rete ed il formarsi di una possibile intelligenza collettiva è molto più complesso, rispetto alle tesi enunciate dall’erede di Gianroberto.

Se non fosse così il Governo, diretto dai 5 stelle, vista la subalternità del Pd, non sarebbe in apnea. Grazie alla rete avrebbe nel cassetto decine se non centinaia proposte di legge, costruite direttamente da gruppi di militanti volenterosi, in grado di tracciare una rotta utile per l’intero Paese. Al tempo stesso non sarebbe necessario ipotizzare riunioni degli Stati generali – quelli généraux risalgono alla Rivoluzione francese – per discutere del futuro del Movimento, dei suoi assetti di potere interno e via dicendo. Quindi attenti a non confondere la potenza della rete, che indubbiamente esiste, con degli automatismi in grado di sostituirsi ad un’intelligenza che la prescinde. Che è fatta di cultura politica, di esperienza maturata, di letture e pratiche di vita che non si improvvisano. Insomma l’esatto contrario dell’”uno vale uno”.

Nel rapporto tra gli attivisti e Rousseau esiste la stessa relazione che c’è tra il singolo ed Internet. Anche in questo caso, la rete è uno strumento che dilata enormemente le possibilità della conoscenza. Che consente cose che fino a qualche anno fa erano inimmaginabili. Socializzando un sapere prima disperso ed il più delle volte inaccessibile. Ma è anche un grande rumore di fondo che va governato al fine di evitare che l’eccesso d’informazione, con le sue fake news, possa risolversi nel suo contrario e determinare l’offuscamento della ragione, nell’eccesso di suggestioni. Abbiamo bisogno di tecnologie. Non di scientismo.

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