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Perché le grandi aziende tedesche non gradiscono le politiche anti Cina della Germania

È maretta tra il governo tedesco e le aziende del Paese, irritate per le posizioni anti Cina di verdi e liberaldemocratici, che rischiano di comprometterne le strategie di investimento in quello che è il primo partner commerciale della Germania.

 

È maretta tra il governo tedesco e i grandi gruppi industriali del Paese, irritati per le posizioni anticinesi dei junior partner dell’esecutivo, i verdi e i liberaldemocratici, che rischiano di comprometterne le strategie di investimento in quello che è il primo partner commerciale della Germania.

È Reuters a raccontarci di come la tensione sia salita alle stelle il mese scorso, quando il Ministero dell’Economia avanzò una proposta per rendere più rigido lo screening di tutti gli investimenti tedeschi in Cina. La rivolta degli industriali costrinse il ministro verde Roberto Habeck ad accantonare l’idea.

A quel punto, per saggiare l’umore dei suoi interlocutori, Habeck ha organizzato il 21 settembre una video call con i vertici dei principali gruppi economici del Paese tra cui Basf, Deutsche Bank e Siemens.

Durante l’incontro gli industriali hanno palesato il loro interesse a mantenere una sostanziale linea di continuità con le precedenti politiche merkeliane, che hanno fatto della Cina un importante hub per gli investimenti tedeschi.

“Possiamo solo mettere in guardia dall’idea di voltare le spalle alla Cina”, ha detto nel corso dell’incontro Markus Jerger, capo della potente Mittelstand Association, un’alleanza che rappresenta oltre 900.000 piccole e medie imprese tedesche.

“Mettere un freno alle attività cinesi dell’economia tedesca come vorrebbe fare il Ministero dell’Economia”, ha aggiunto Jerger, “sarebbe il modo sbagliato”.

Gli investimenti tedeschi e il commercio con la Cina hanno toccato livelli record nella prima metà del 2022, consolidando la motivazione delle imprese tedesche a mantenere ben saldi i piedi in quel mercato.

Giganti come Basf, Bmw, Mercedes-Benz e Volkswagen stanno aumentando considerevolmente i loro investimenti in Cina per creare locali catene di valore. Secondo uno studio del Rhodium Group quelle quattro società, messe insieme, hanno assommato un terzo di tutti gli investimenti europei in Cina nel periodo 2018 – 2021.

“È impossibile disgiungere completamente la Cina dall’Europa”, ha dichiarato a Reuters Tobias Just, portavoce di Mercedes-Benz, un gruppo che vende in Cina un numero di auto tre volte superiore a quelle degli Usa e che può contare tra i suoi investitori due entità cinesi. “La nostra strategia è ‘locale per locale’”, precisa Just, “non solo per ragioni geopolitiche ma per la prossimità ai mercati e per il rapporto costi benefici”.

Anche Bmw e Volkswagen hanno dichiarato a Reuters di voler persistere nei loro piani di investimento nelle loro operazioni cinesi.

Al termine della video call Habeck ha promesso di continuare il dialogo con la business community e ha fissato un altro incontro per il primo quadrimestre del prossimo anno.

Non è chiaro quanto gli industriali si siano sentiti rassicurati dalle parole di Habeck e soprattutto dai progetti del governo in materia di Cina. Alcune delle misure che Berlino ha in animo di perseguire per ridurre la dipendenza tedesca dalla Cina, come la ricerca di nuove fonti di commodities come le terre rare, non sono controverse come la proposta del mese scorso di tagliare le garanzie all’export e all’investimento.

Le aziende di Mittelstand hanno già fatto sapere che se una simile misura fosse approvata esse sarebbero colpite duramente e in modo più massiccio rispetto ai grandi gruppi industriali dotati di una notevole potenza di fuoco finanziaria.

Come ha dichiarato Jerger, il capo della Mittelstand, “se il sostegno del governo alle esportazioni venisse meno, allora stimo che dal 50 al 70% dei nostri membri non sarebbero più in grado di entrare in quel mercato”.

Alcuni business leader sono convinti che, anziché penalizzare le relazioni con la Cina, Berlino farebbe meglio a perseguire una strategia di conquista di nuovi mercati, per esempio attraverso la stipula di accordi di libero scambio.

“Invece di punire le aziende perché fanno affari con la Cina”, ha dichiarato Ulrich Hackermann, capo del dipartimento commerciale dell’Associazione degli Ingegneri VDMA, “l’approccio giusto sarebbe incentivare il business con altri Paesi”.

Gli industriali tedeschi naturalmente non vivono fuori dal mondo e sono perfettamente al corrente del generale deterioramento delle relazioni tra la Cina e l’Occidente. È dunque concreto il rischio reputazionale che corrono le società tedesche nel continuare a fare affari con un Paese che, da Taiwan a Hong Kong, passando per la repressione degli uiguri, sta creando parecchi mal di capo nelle cancellerie occidentali.

Il dilemma tedesco è stato ben riassunto dal deputato Markus Toens con un esempio concreto dedicato a Taiwan: “se dovesse succedere l’impensabile proprio ora, noi non saremmo in grado di imporre sanzioni, saremmo solo capaci di agitare un dito e dire ‘non potete fare questo’”.

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