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Perché Carlo Cottarelli sbaglia nelle critiche alla Tria-nomics

Il commento di Gianfranco Polillo invita Carlo Cottarelli, che critica il ministro dell’Economia Tria, a dare un’occhiata agli squilibri commerciali e al ruolo che dovrebbe avere la Germania in termini di domanda come suggerisce anche il documento “Completare l’unione economica e monetaria dell’Europa” Carlo Cottarelli, nel suo intervento di ieri sulla Stampa, non è stato molto…

Carlo Cottarelli, nel suo intervento di ieri sulla Stampa, non è stato molto generoso con Giovanni Tria, il ministro dell’economia. L’accusa, nemmeno tanto larvata, è stata quella di attentato ai conti pubblici italiani. Il linguaggio felpato del Ministro non lo ha convinto: troppa retorica sull’”ormai mitico ‘effetto denominatore’”. Vale a dire una crescita più sostenuta che aumenta il reddito, quindi le entrate pubbliche, e di conseguenza riduce il rapporto debito-Pil.

La “Tria-nomics”, come lui stesso la definisce, si muoverebbe all’interno di questo schema, con un’unica variabile. Un aumento degli investimenti pubblici, invece di semplice spesa corrente. Rimesso in moto lo sviluppo, si otterrebbero anche le risorse necessarie per le “riforme strutturali” previste nell’accordo di Governo. Vale a dire flat tax, la “controriforma” della Legge Fornero, il reddito di cittadinanza. Pura illusione o meglio “ricetta impossibile” secondo le valutazioni del candidato alla Presidenza del Consiglio, durante i giorni più drammatici della crisi politica post-elettorale.

Un giudizio così è giustificato, da Cottarelli, con l’analisi comparata. Questo schema – afferma – non ha mai funzionato. “Peccato – chiosa – che non ci sia un Paese che sia riuscito a ridurre in modo stabile il rapporto tra debito pubblico è Pil facendo più deficit”. Ma – la domanda sorge spontanea – hanno ottenuto maggiore successo le politiche deflazionistiche? In conseguenza della crisi del 2008 quel rapporto é peggiorato di circa 30 punti non solo in Italia, ma in Francia e Spagna. Solo per citare i Paesi maggiori. Quindi? Vicolo cieco.

In tempi eccezionali (il protezionismo di Trump) tentare nuove strade è forse una necessità. Specie se si hanno solidi argomenti, purtroppo poco utilizzati. C’è un dato della situazione macroeconomica che è sistematicamente rimosso: il surplus della bilancia commerciale, che in Italia è strutturale e supera il 2,5 per cento del Pil. Le ragioni sono evidenti. Accennare a questo argomento, considerato che il surplus tedesco è pari all’8,2 per cento, è come parlare di corda in casa dell’impiccato. Non sono mancati, tuttavia, negli ultimi tempi accenni sempre più consistenti a come affrontare il problema.

Tirare fuori dal cassetto questi documenti può allora servire a risolvere un problema al quale né il ministro dell’Economia, né i suoi critici, sembrano dare l’importanza che merita. “La procedura per gli squilibri macroeconomici – è stato detto – dovrebbe anche promuovere riforme adeguate nei Paesi che accumulano in modo persistente consistenti avanzi delle partite correnti, se detti avanzi sono dovuti, ad esempio, all’insufficienza della domanda interna e/o ad un basso potenziale di crescita, in quanto anche ciò è importante per assicurare il riequilibrio efficace nell’ambito dell’Unione monetaria”.

Si tratta, forse, di un post del leghista Claudio Borghi, appena eletto presidente della Commissione bilancio della Camera ed accusato di aver provocato, con la sua nomina, un crollo di borsa? No: è semplicemente un passo del documento dei 5 presidenti (“Completare l’unione economica e monetaria dell’Europa).Tra i quali spicca il nome di Mario Draghi.

Carlo Cottarelli, nel suo intervento di ieri sulla Stampa, non è stato molto generoso con Giovanni Tria, il ministro dell’Economia. L’accusa, nemmeno tanto larvata, è stata quella di attentato ai conti pubblici italiani. Il linguaggio felpato del ministro non lo ha convinto: troppa retorica sull’”ormai mitico ‘effetto denominatore’”. Vale a dire una crescita più sostenuta che aumenta il reddito, quindi le entrate pubbliche, e di conseguenza riduce il rapporto debito-Pil.

La “Tria-nomics”, come lui stesso la definisce, si muoverebbe all’interno di questo schema, con un’unica variabile. Un aumento degli investimenti pubblici, invece di semplice spesa corrente. Rimesso in moto lo sviluppo, si otterrebbero anche le risorse necessarie per le “riforme strutturali” previste nell’accordo di governo. Vale a dire flat tax, la “controriforma” della Legge Fornero, il reddito di cittadinanza. Pura illusione o meglio “ricetta impossibile” secondo le valutazioni del candidato alla presidenza del Consiglio, durante i giorni più drammatici della crisi politica post-elettorale.

Un giudizio così è giustificato, da Cottarelli, con l’analisi comparata. Questo schema – afferma – non ha mai funzionato. “Peccato – chiosa – che non ci sia un Paese che sia riuscito a ridurre in modo stabile il rapporto tra debito pubblico è Pil facendo più deficit”. Ma – la domanda sorge spontanea – hanno ottenuto maggiore successo le politiche deflazionistiche? In conseguenza della crisi del 2008 quel rapporto è peggiorato di circa 30 punti non solo in Italia, ma in Francia e Spagna. Solo per citare i Paesi maggiori. Quindi? Vicolo cieco.

In tempi eccezionali (il protezionismo di Trump) tentare nuove strade è forse una necessità. Specie se si hanno solidi argomenti, purtroppo poco utilizzati. C’è un dato della situazione macroeconomica che è sistematicamente rimosso: il surplus della bilancia commerciale, che in Italia è strutturale e supera il 2,5 per cento del Pil. Le ragioni sono evidenti. Accennare a questo argomento, considerato che il surplus tedesco è pari all’8,2 per cento, è come parlare di corda in casa dell’impiccato. Non sono mancati, tuttavia, negli ultimi tempi accenni sempre più consistenti a come affrontare il problema.

Tirare fuori dal cassetto questi documenti può allora servire a risolvere un problema al quale né il ministro dell’Economia, né i suoi critici, sembrano dare l’importanza che merita. “La procedura per gli squilibri macroeconomici – è stato detto – dovrebbe anche promuovere riforme adeguate nei paesi che accumulano in modo persistente consistenti avanzi delle partite correnti, se detti avanzi sono dovuti, ad esempio, all’insufficienza della domanda interna e/o ad un basso potenziale di crescita, in quanto anche ciò è importante per assicurare il riequilibrio efficace nell’ambito dell’Unione monetaria”.

Si tratta, forse, di un post del leghista Claudio Borghi, appena eletto presidente della Commissione bilancio della Camera ed accusato di aver provocato, con la sua nomina, un crollo di borsa? No: è semplicemente un passo del documento dei 5 presidenti (“Completare l’unione economica e monetaria dell’Europa”). Tra i quali spicca il nome di Mario Draghi.

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