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Quota 102

Tutte le contraddizioni di M5S e Lega sulle pensioni d’oro

Le proposte del Governo in tema di pensioni elevate sono incoerenti. L’analisi di Giuliano Cazzola È consentito credere a tutto: all’esistenza delle scie chimiche, alla congiura delle “multinazionali” per costringere i bambini a vaccinarsi, al fatto che gli immigrati sottraggono il lavoro agli italiani (i quali sarebbero disponibili a spezzarsi la schiena nella raccolta del…

È consentito credere a tutto: all’esistenza delle scie chimiche, alla congiura delle “multinazionali” per costringere i bambini a vaccinarsi, al fatto che gli immigrati sottraggono il lavoro agli italiani (i quali sarebbero disponibili a spezzarsi la schiena nella raccolta del pomodoro se non ci fossero i negher ad accontentarsi di quattro soldi di paga).

LE LOGICHE CONTROVERSE DEL GOVERNO SULLE PENSIONI ELEVATE

Tuttavia, un barlume di logica non stonerebbe quando si è chiamati a definire i confini dei diritti soggettivi perfetti che il lavoratore-cittadino acquisisce nel momento in cui si verifica quell’evento che l’articolo 38 della Costituzione tutela con il nomen juris di “vecchiaia”. Cerchiamo, allora, di trovare una logica nelle proposte che il governo e la maggioranza giallo-blu mettono in circolazione a getto continuo, con trasparenza ma anche con tanta confusione.

I TRE FILONI D’INTERVENTO GIALLO-VERDE

Vi sono almeno tre filoni: le modifiche da apportare all’impianto della riforma Fornero (ormai si è capito che quelle norme non saranno travolte da una ruspa demolitrice); i tagli a cui sottoporre le cosiddette pensioni d’oro (la cui caratura sembra essere variabile tra lordo e netto); il significativo miglioramento delle pensioni minime (da elevare fino a 780 euro mensili lorde) destinate a diventare anch’esse “di cittadinanza”.

I COSTI DELLE DUE OPERAZIONI

Mentre alla prima operazione è riconosciuto un costo (anch’esso dipendente dai criteri che saranno adottati nel definire quota 100 e quota 41: ci saranno o meno un’età minima di 64 anni e un tetto al conteggio della contribuzione figurativa?), le altre due, in qualche modo, sono collegate tra loro, nel senso che i risparmi derivanti dalla ridefinizione delle pensioni elevate serviranno in parte assai modesta, a compensare i rilevanti oneri della pensione di cittadinanza.

LE VISTOSE INCOERENZE

Tutto lineare dunque? No, esiste una vistosa incoerenza: mentre le politiche proposte nell’accordo di governo a revisione della disciplina del 2011 (quota 100 e quota 41), intendono esplicitamente favorire (l’Inps ha fornito i dati di quante centinaia di migliaia di pensionati in più ci sarebbero nei prossimi anni) il pensionamento anticipato, ritenuto (a torto) penalizzato dal tiro mancino di Elsa Fornero, con la manomissione delle quote “retributive” dei trattamenti dorati (pari o superiori ad 80mila euro annui), si andrebbe proprio a colpire quella tipologia di prestazioni conseguibili prima di aver maturato l’età di vecchiaia.

IL GIUDIZIO

Volendo, possiamo osservare il paradosso da un altro angolo di visuale: con una “manina” sarebbero “punite” le pensioni di anzianità di importo elevato; con l’altra sarebbe rimesso a punto e lubrificato il meccanismo che le crea. In tutto questo Circo Barnum il ricalcolo contributivo – nuovo giustiziere e raddrizzatore di torti – non entrerebbe neppure in scena (anche perché diventerebbe impossibile inventarsi un montante contributivo di cui si hanno solo in parte i dati relativi: dal 1974 nei settori privati e, in teoria, dal 1996 in quelli pubblici).

CHE COSA DICE IL PROGETTO DI LEGGE M5S-LEGA

L’arcano è svelato in un progetto di legge (per ora in bozza) predisposto dai capigruppo alla Camera della Lega e del M5S, rispettivamente Molinari e D’Uva. La partita si gioca con due carte: in una è indicato il coefficiente di trasformazione (ovvero il moltiplicatore del montante contributivo riferito all’età in cui si è andati in quiescenza in rapporto all’attesa di vita) corrispondente agli anni che il lavoratore aveva in quel momento magico, in cui ha potuto esaudire la sua aspirazione; nell’altra il coefficiente previsto in quello stesso periodo per l’età richiesta come requisito per il trattamento di vecchiaia. I coefficienti sono quelli previsti dalla legge Dini del 1995, con i relativi aggiornamenti. Tanto per capirci: se il rapporto tra i due coefficienti (e quindi tra le due età anagrafiche) è uguale a uno (perché il soggetto interessato è andato in quiescenza all’età prevista per la vecchiaia) la sua pensione resta intatta. Se invece si traduce in un decimale più basso (0,70 per esempio), esso diventa la misura del nuovo importo dell’assegno.

LA RELAZIONE ILLUSTRATIVA DEL PROGETTO DI LEGGE

“Le quote retributive – recita l’articolo 1 – sono ridotte alla risultante del rapporto tra il coefficiente di trasformazione vigente al momento del pensionamento relativo all’età dell’assicurato alla medesima data e il coefficiente di trasformazione corrispondente all’età riportata nella tabella A allegata alla presente legge per ciascun anno di decorrenza della pensione. Nel caso in cui l’età alla decorrenza del trattamento fosse superiore a 65 anni, deve essere utilizzato il coefficiente di trasformazione relativo a tale età”. Ciò per le pensioni decorrenti dall’inizio dell’anno prossimo.

PERCHE’ LA NORMATIVA IN FIERI E’ PERVERSA

Ci permettiamo ancora una volta di far notare la logica perversa della norma. È plausibile che nel 2019 entrino in vigore anche i correttivi della legge Fornero tesi ad agevolare il pensionamento anticipato. Ma i percettori di un reddito elevato, candidati ad avere una discreta pensione, potranno evitare il taglio soltanto rinunciando all’anticipo ed aspettando l’età di vecchiaia. Lo stesso criterio vale per le prestazioni antecedenti il 1° gennaio 2019, le quali sono ricalcolate riducendo le quote retributive alla risultante del rapporto tra i due coefficienti. E non trovano pace neppure i trattamenti (pari o superiori all’importo canonico degli 80mile euro lordi) erogati prima del 1996. Ovvero si andrà a mettere le mani in tasca ad anziani signori ormai ultraottantenni, in nome di discutibili principi di equità.

I PRECEDENTI SUL TEMA

La storia, poi, non finisce qui. L’idea del due capigruppo ha un copyrigth: la proposta di legge allegata al documento “non per cassa ma per equità” elaborato dalla Presidenza dell’Inps nel 2015. Il comma 1 dell’articolo 12 usava più o meno le stesse parole ricopiate nel testo dei due capigruppo: “1. Gli importi delle quote retributive delle pensioni liquidate a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative dell’assicurazione generale obbligatoria, sono rideterminati applicando alle quote retributive una percentuale di riduzione pari al rapporto tra il coefficiente di trasformazione relativo all’età dell’assicurato al momento del pensionamento e il coefficiente di trasformazione corrispondente all’età riportata nella tabella A allegata alla presente legge per ciascun anno di decorrenza”.

GLI EFFETTI DELLA NORMATIVA IN CANTIERE

Nella relazione tecnica l’operazione veniva spiegata così: ”a chi ha redditi pensionistici elevati (superiori ai 5.000 euro lordi al mese), in virtù di trattamenti molto più vantaggiosi di quelli di cui godranno i pensionati del domani, viene richiesto un contributo equo dal punto di vista attuariale, ricalcolando le loro pensioni in base al rapporto fra i coefficienti di trasformazione vigenti per il sistema contributivo (ricalcolati all’indietro per ogni anno di decorrenza) per la loro età alla decorrenza della pensione e quelli all’età normale di pensionamento ottenuta applicando all’indietro negli anni gli aggiustamenti automatici all’aspettativa di vita previsti dalla normativa vigente. Ai pensionati con importi medio-alti (tra i 3500 e i 5000 euro al mese) e attuarialmente non in linea con i contributi versati, viene richiesto un contributo più dilazionato nel tempo, limitandosi a mantenere costanti in termini nominali (cristallizzando gli importi) le loro pensioni fino a quando queste raggiungeranno la pensione ricalcolata come sopra, senza riduzioni nominali negli importi delle loro pensioni”. E si giustappongono anche le previsioni di risparmio. Rispetto ai 500 milioni attribuiti alla bozza giallo-blu, secondo la proposta dell’Inps, al netto degli effetti fiscali, l’ammontare del taglio era di poco inferiore a 600 milioni, nel primo anno di applicazione (ma la platea dell’intervento come abbiamo visto era più ampia). Alla fine dei conti, nonostante le critiche che gli rivolge Matteo Salvini, è Tito Boeri a dare la linea.

(Estratto di un post tratto dal blog di Giuliano Cazzola su Huffington Post)

 

 

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