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Fondazioni Bancarie

Mps, Banca Marche e non solo. Cosa hanno combinato le fondazioni bancarie

Il saggio “I signori delle città. La prima inchiesta completa sul potere e i segreti delle fondazioni bancarie" letto da Giuseppe Gagliano

 

La lunga e articolata inchiesta dei giornalisti Alessandro di Nunzio — giornalista investigativo e collaboratore di Report oltre che della Bbc — e Diego Gandolfo — giornalista investigativo e collaboratore di Repubblica, il manifesto e Report — che trova modo di concretizzarsi nel saggio dal titolo “I signori delle città. La prima inchiesta completa sul potere e i segreti delle fondazioni bancarie” (Ponte alle Grazie 2020) può indubbiamente considerarsi la prima inchiesta sulle fondazioni bancarie.

Grazie alla legge Ciampi le fondazioni svolgeranno un ruolo fondamentale come aveva intuito Pannella perché attraverso le fondazioni era possibile — ed è possibile — condizionare in modo rilevante gli assetti di potere del Paese. Proprio per questa ragione, i partiti in relazione alle fondazioni rivestono un ruolo fondamentale: entrare in questi enti significava — e significa — non solo gestire il controllo dell’erogazione sul territorio ma soprattutto condizionare il credito bancario.

I padroni delle fondazioni finiscono dunque per essere al di sopra della logica democratica e finiscono per acquisire un’influenza determinante nel consiglio d’amministrazione delle banche pur senza essere stati eletti dai cittadini e neppure dagli azionisti. Il meccanismo che sta alla base della selezione dei componenti delle fondazioni non ha nulla a che vedere insomma con la democrazia.

Con la riforma Tremonti infatti fu possibile consentire ai gruppi di poteri politici di entrare nei consigli di amministrazione delle fondazioni come nei consigli di indirizzo. Grazie all’autonomia giuridica delle fondazioni — che risultano enti di diritto privato — le fondazione sono riuscite a svolgere un ruolo fondamentale persino all’interno della Cassa depositi e prestiti ritagliandosi in questo modo un ruolo istituzionale di grande spessore e rilevanza.

Tuttavia — come molto lucidamente osserva il professor Ugo Mattei docente all’università di Torino — il patrimonio delle fondazioni dovrebbe essere pubblico e non privato poiché appartiene a tutti i cittadini.

Detto questo ciò non toglie che le fondazioni grazie al loro patrimonio sono in grado di restaurare palazzi di interessi storici, finanziare borse di studio, musei d’arte e associazioni del terzo settore ma soprattutto sono in grado di contribuire in modo decisivo al bilancio del Comune. Insomma sono in grado di gestire un fiume di denaro.

In altri termini le fondazioni essendo un sistema di tipo privatistico — sottolinea Mattei — hanno un’altissima concentrazione di potere e quindi di esclusione e di cooptazione. Con molta franchezza e lucidità il docente torinese afferma che lo Stato ha dato del denaro pubblico alle fondazioni che lo gestiscono nel proprio interesse. Se guardiamo al caso di Torino — prosegue il docente torinese —vedremo che la Compagnia di San Paolo e la fondazione sono determinanti per la classe politica torinese.

Se rivolgiamo la nostra attenzione al rapporto tra fondazioni e banche e, in modo particolare a Unicredit, ci rendiamo conto del peso che le fondazioni hanno. Infatti il fronte societario di Unicredit comprende le più importanti fondazioni a livello nazionale come dimostra il fatto che nel 2014 le fondazioni avevano in mano il 9% delle azioni della banca Unicredit ma di fatto avevano il potere di nominare più dell’80% del Cda. In modo particolare le due fondazioni di maggiore peso e significato erano la fondazione CariVerona e la CRT di Torino. Saranno proprio queste due fondazioni a volere la testa di Alessandro Profumo amministratore delegato di Unicredit (in in modo particolare sarà Fabrizio Palenzona dominus della fondazione di Torino e amico di Bisignani a voler liquidare Profumo).

Per quanto riguarda l’altra grande banca italiana e cioè Intesa Sanpaolo, sia Giovanni Bazoli sia Giuseppe Guzzetti — entrambi legati da amicizia e dall’appartenenza alla Dc — hanno svolto un ruolo determinate sia nelle scelte della banca che nella Fondazione Cariplo. Basti pensare che l’amministratore delegato di questa banca — Corrado Passera — fu voluto proprio da Guzzetti e Bazzoli.

I due autori analizzando nel dettaglio le dinamiche di potere di Intesa Sanpaolo dimostrano come le fondazioni non si erano limitate a nominare i vertici ma erano intervenute orientando “le fusioni e dettando le strategie muovendosi come un branco di pachidermi in una cristalleria di Vienna senza rompere niente“ (p.95).

Il saggio degli autori si sofferma in modo più o meno approfondito su tutte le principali fondazioni presenti nel nostro paese a cominciare dalla Fondazione dei Monti di Paschi di Siena che risulta una delle fondazioni “più politicizzate del nostro paese poiché tutti i vertici della fondazione venivano decisi dalla politica sia locale che nazionale e cioè dal Pd. Infatti gli enti locali e cioè il Comune e la Provincia nominavano la maggior parte dei consiglieri della fondazione la quale a sua volta nominava poi vertici della banca dei Monte dei Paschi di Siena” (pag.101).

Insomma un vero e proprio intreccio o se vogliamo un vero e proprio circolo vizioso che di fatto ha distrutto sia la Fondazione che la banca. Infatti la fondazione fu utilizzata come una vera e propria cinghia di trasmissione della politica locale e della logica consociativa che la ispirava come si legge in maniera chiara nella relazione finale sulla commissione di inchiesta regionale sulla fondazione. Il punto di non ritorno, o meglio l’inizio della fine, incomincia con la sciagurata acquisizione di Banco Antonveneta per la quale la fondazione dovrà sborsare ben 9 miliardi di euro, una cifra questa assolutamente fuori mercato.

Se passiamo poi ad analizzare Banca Marche — banca che fallisce nel 2015 con un crack di quasi 1 miliardo di euro — emerge un quadro drammatico in cui venivano concessi fidi a società con due lire di capitale, prestiti facili senza garanzie reali. Non casualmente ben 13 amministratori di Banca Marche finiranno sotto processo con accuse che andranno dalla bancarotta fraudolenta al falso in bilancio e fra questi ci fu anche l’ex direttore generale Massimo Bianconi. Il fallimento della Banca Marche fu determinato dal ruolo delle fondazioni: la maggior parte dei membri che componevano il consiglio di amministrazione della banca era nominati proprio dalle fondazioni. Ma come capita assai di frequente il crack della banca non fu pagato tanto dagli azionisti ma dai marchigiani che avevano riposto la loro fiducia nelle scelte della banca.

Un caso analogo con epiloghi drammatici — alludiamo al suicidio di Paolo Bonora ex vice direttore generale di Carife che si è sparato nel luglio del 2015 all’età di 72 anni e ad altri decessi quantomeno inquietanti come quello di Paolo Malagoli e Andrea Malfacini — è individuabile nella Banca Carife legata a doppio mandato alla Cassa di Risparmio di Ferrara. Il fatto che Carife abbia concesso crediti in modo scriteriato e senza garanzie a gruppi di imprenditori ha determinato la bancarotta fraudolenta per dissipazione e distruzione determinandone il crack nel 2009.

Dopo avere ampiamente analizzato il modus operandi del presidente della Fondazione Roma Emmanuele Emanuele, gli autori rivolgono la loro attenzione alla Fondazione Cariverona che è in grado di influenzare e di determinare le scelte del comune di Verona.A tale proposito senza il sostegno di questa fondazione difficilmente il sindaco Tosi avrebbe potuto stabilmente mantenere il potere. Da un lato il Comune di Verona sosteneva infatti le politiche di investimenti immobiliari voluta dal responsabile della fondazione ingegnere Biasi e dall’altro il Comune aveva disponibilità liquide dalla fondazione. Non a caso l’ingegner Biasi è stato sempre considerato l’uomo più influente di Verona.

Tuttavia vorremmo rivolgere la nostra attenzione a due casi abbastanza singolari opportunamente evidenziati degli autori del saggio.

Il primo caso è quello del presidente Flavio Repetto della fondazione Carige e delle sue quantomeno discutibili erogazioni liberali. Incominciamo da quella del 2008, anno in cui la fondazione aveva erogato 300.000 € per acquistare dei dvd prodotti dalla società Lux vide presieduta da Ettore Bernabei ex direttore della Rai. Questi finanziamenti erano anche il risultato delle sollecitazioni da parte di Marco Simeone che guarda caso era membro del consiglio di amministrazione della Fondazione Carige oltre che essere direttore di Rai Vaticano, ambasciatore di Mediobanca in Vaticano. Per quanto riguarda la seconda erogazione questa fu di 90.000 € ed era destinata all’acquisto di centinaia di stole, talari e abiti cardinalizi in occasione di un’assemblea mondiale dei vescovi di Roma.

Qual era l’utilità di queste erogazioni per la società civile genovese? Nessuna naturalmente.

Nel 2010 il presidente pone in essere una strana operazione tra la fondazione e la banca vaticana – lo Ior – che finirà sotto indagine da parte della magistratura. Quest’ultima fu una operazione in perdita – di di circa 9 milioni di euro – mentre la banca vaticana ebbe una plusvalenza. Si trattava forse di un tentativo di favorire cardinali e alte cariche del Vaticano?

Il secondo caso analizzato dagli autori è per certi versi ancora più inquietante perché ha una dimensione internazionale. Stiamo parlando di Giovanni Antonino Puglisi, presidente della fondazione Banco di Sicilia, che nel giro di poco tempo aveva accumulato incarichi prestigiosissimi come quello di vice presidente della conferenza dei Rettori, presidente della commissione nazionale dell’Unesco, vice presidente della Commissione nazionale per la promozione della cultura italiana all’estero ma soprattutto era membro di due circoli molto influenti a livello internazionale e cioè l’Aspen Institute Italia e il Forum Ambrosetti. A seguito di un’inchiesta del giornalista Emanuele Lauria del 2013 emerge chiaramente la ragione di tutte queste prestigiose cariche: attraverso la fondazione, Puglisi aveva erogato ingenti quantità di denaro alla Treccani di cui guarda caso la fondazione Sicilia era anche azionista, alla conferenza dei Rettori di cui guarda caso il professore era vicepresidente, all’Unesco di cui guarda caso era presidente e finanziamenti all’Aspen Institute. Ma il finanziamento più rilevante è quello di 6,5 milioni al Forum Ambrosetti dal 2008 al 2013.

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