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Ministro Gualtieri, si contenga: è a capo del Mef, non di un partito. Il commento di Polillo (ex Mef)

Le parole del ministro Gualtieri contro l'opposizione accusata di “una campagna terroristica per spaventare le persone” non sarebbero mai uscite dalla bocca di Ciampi, di Padoa-Schioppa o di Carli. Il commento di Gianfranco Polillo, già sottosegretario al Tesoro

Tra i tanti compiti del ministro dell’Economia, uno è particolarmente impegnativo: l’impegno pedagogico. Deve guidare e convincere i suoi (spesso) rissosi concittadini a fare cose che non vorrebbero fare. A tener conto del fatto che, nella vita, non esistono pasti gratis. E se c’è qualcuno che riesce ad intrufolarsi, questo può avvenire solo perché sono altri a pagare il conto.

Questo è stato il grande lascito testamentario di Quintino Sella, la cui effige troneggia di fronte il quadrilatero di Via XX Settembre, dove ha sede l’attuale ministero. Uomo della destra storica, si impegnò fino allo spasimo per far quadrare il bilancio dello Stato e tornare al pareggio, dopo anni in cui l’eccesso di spesa pubblica aveva rischiato di minare le basi del nascente Stato nazionale.

Per questo fu al tempo stesso odiato e combattuto. Contro di lui vi furono le grandi manifestazioni di piazza, a seguito dell’introduzione della tassa sul macinato. Il ricorso ad una satira devastante, da parte dei giornali dell’epoca. Come pure gli attacchi dell’opposizione. Ma Quintino Sella non ribatté colpo su colpo, scendendo sul terreno dei suoi avversari. Fece semmai appello alla ragione, per dimostrare che la sua medicina – la chinina – andava presa in dosi adeguate se si voleva vincere la febbre che, altrimenti, avrebbe ucciso il malato. Comportamenti che hanno disegnato, nel tempo, questa figura istituzionale.

Sarà forse per questo che non ci è piaciuta l’intervista di Roberto Gualtieri a Lucia Annunziata su Rai3. Quella sua invettiva contro Matteo Salvini e Claudio Borghi, accusandoli di “portare avanti una campagna terroristica per spaventare le persone” non sarebbero mai uscite dalla bocca di Carlo Azeglio Ciampi, o di Tommaso Padoa-Schioppa. Per non parlare di Guido Carli.

Negli annali del ministero, ancora oggi, si ricorda la polemica tra Beniamino Andreatta e Rino Formica: rispettivamente ministro del Tesoro e ministro delle Finanze dell’epoca. L’accusa del primo contro il commercialista di Bari. La risposta del secondo: “Abbiamo una comare come Lord dello Scacchiere”. Finezze intellettuali impensabili nell’attuale corrida politica. Eppure il tema era di quelli che scottavano: la solitaria decisione del ministro del Tesoro di procedere al “divorzio” con la Banca d’Italia, senza mandato da parte del governo e del Parlamento.

Differenze di temperamento? Certamente, ma soprattutto consapevolezza del proprio ruolo. Di quella pedagogia, di cui si diceva all’inizio, che impedisce al responsabile dell’Economia di essere come un politico qualsiasi che si butta nella mischia. Quando, invece, deve essere sempre un gradino più in alto nella polemica, per la delicatezza e la responsabilità dei compiti che è chiamato a svolgere. Che richiedono appello alla ragione ed alla coerenza. Ma forse è stata proprio la mancanza di uno di questi ingredienti – la coerenza – a determinare la scompostezza.

Gualtieri ha passato gran parte della sua ultima legislatura, come presidente della Commissione problemi economici e monetari del Parlamento europeo, a combattere contro il Fiscal Compact. Riuscendo alla fine a far bocciare la proposta della Commissione europea di inserirlo definitivamente nell’ordinamento europeo. Cacciato dalla porta quel complesso di regole e di regolette è rientrato dalla finestra. Ed inserito in uno degli allegati del Mes. Quel Trattato che il ministro difende con un eccesso di zelo.

Posizione che rischia di essere smentita dalla stessa risoluzione di maggioranza che il Parlamento si appresta a votare. Vedremo. Intanto Paolo Gentiloni si smarca. Forse su suggerimento di Marco Buti, il suo capo di gabinetto nonché uno degli artefici, in passato, del “Patto di stabilità” parla della necessità di un cambiamento profondo di quelle stesse regole, nate per far fronte a problemi completamente diversi dalla fase attuale. Un buon inizio: che potrebbe portare a quelle deroghe che l’Italia dovrebbe rivendicare. Non solo nel suo interesse, ma con il realismo che deriva dall’esatta percezione dei cambiamenti, che nel frattempo, sono intervenuti. Sennonché tutto ciò richiede una precondizione: che il Pd si metta d’accordo con sé stesso. Evitando di essere, in modo schizofrenico, Mr. Hyde e dottor Jekyll.

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