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Mediobanca Multinazionali

Tutto quello che non si sa della Mediobanca di Cuccia

Che cosa emerge dal libro dello storico dell'economia, Giovanni Farese, su Mediobanca. L'articolo di Uberto Andreatta per Il Grand Continent

 

Il volume di Farese fa giustizia, attraverso una scrupolosa ricostruzione dei primi anni di vita di Mediobanca, di certe letture superficiali e romantiche che nel corso dei decenni hanno interpretato la vicenda dell’istituto di Via Filodrammatici come l’avventura di un indomito difensore dell’iniziativa privata contro lo strapotere della mano pubblica, del libero mercato contro le forze del pubblico oscure e inclini alla corruzione, specie quando si occupano di economia e finanza.

Mediobanca, al contrario, nasce e prospera proprio grazie alla corretta lettura, da parte della sua leadership, dell’assetto geopolitico che fa da sfondo alla vicende post-belliche. Se la necessità economica in senso stretto, infatti, fu quella di dotare l’Italia di un’istituzione che erogasse finanza a medio e lungo termine – attività che la legge bancaria di allora precludeva alle banche commerciali –, la sua vera funzione, insieme economico-finanziaria e geopolitica, emerse principalmente con l’allargamento del capitale (nel 1955) a Lazard e Lehman Brothers, ossia due delle principali banche d’investimento di Wall Street.

A orchestrare l’operazione fu André Meyer, banchiere francese di origine ebraica riparato nell’altra sponda dell’Atlantico (1940), curiosamente fino a quel momento “riluttante a investire al di fuori degli Stati Uniti, che considera come l’unico paese davvero affidabile, solido. Si tratta di una convinzione che […] in fondo non lo abbandonerà mai completamente. Meyer non ha la “vocazione africana” di Cuccia: le sue operazioni in Africa sono legate a considerazioni non solo e non tanto economiche, quanto geopolitiche”.

Per Meyer la grande finanza non deve andare alla ricerca unicamente del profitto, bensì è chiamata a operare come forza ‘di sistema’, assumendosi una comune responsabilità con la potenza di cui è emanazione nel formulare e nell’attuare gli indirizzi strategici della stessa. Una banca Lazard introvertita si sarebbe rivolta principalmente al mercato interno, massimizzando il valore del proprio portafoglio investendo in strumenti, quelli emessi da entità domestiche, che per Meyer presentavano il miglior profilo rischio/rendimento. Il suo destino, così come quello di altre grandi istituzioni finanziarie americane, le impone invece non soltanto di soddisfare i propri azionisti, bensì anche, in quella fase storica, di garantire agli Stati Uniti un presidio finanziario in uno dei Paesi che allora come oggi rivestono un ruolo strategico di primo piano agli occhi di Washington soprattutto in virtù della sua collocazione al centro del Mediterraneo.

Così, anche a seguito dell’ulteriore apertura del capitale di Mediobanca (1957-8) al ramo londinese di Lazard, alla belga Sofina e alla tedesca Berliner Handels-Gesellschaft, “per quanto minoritaria, la partecipazione americana e di Lazard in particolare è cruciale e serve a orientare la bussola. Non vi è affare internazionale di qualche importanza sul quale Cuccia non ricerchi il consiglio e il parere di André Meyer”. Il motivo è da ricercarsi, manco a dirlo, nel fatto che si tratta di “una compagine geopolitica, oltre che azionaria. Il che significa che risponde a gerarchie anche extra-economiche” e che al vertice di tali gerarchie ci sono gli Stati Uniti.

La storia di Mediobanca incrocia anche quella di altri grandi banchieri francesi, primo fra tutti Jean Monnet. Considerato uno dei padri dell’integrazione europea, negli anni Trenta Monnet approda a Wall Street e fonda, assieme a George Murnane, la Monnet & Murnane, boutique finanziaria particolarmente attiva nell’erogare finanziamenti alla Cina.

La rete di relazioni intessute da Monnet nella Costa Est degli Stati Uniti è vastissima e comprende tra gli altri John Foster Dulles, futuro Segretario di Stato sotto Dwight Eisenhower e fratello di Allen W. Dulles – che abbiamo visto protagonista nel promuovere l’ACUE – nonché John McCloy, figura poliedrica che ricoprì ruoli di primo piano come Alto Commissario per la Germania e, successivamente, come Presidente di Chase Manhattan Bank.

In un contesto in cui le porte girevoli tra amministrazione pubblica e settore privato rappresentavano – in contrasto con la diffidenza con cui si guarda allo stesso fenomeno oggigiorno – semmai un prerequisito per far parte di quelle élites che guidano e accompagnano i grandi processi storici, Jean Monnet e il suo réseau sulle due sponde dell’Atlantico forniscono un volto riconoscibile alla postura atlantista ed europeista della Francia di allora, consapevole che la sfida europea poteva essere vinta unicamente facendosi parte attiva nel rafforzare il vincolo atlantico.

Jean Monnet e il suo réseau sulle due sponde dell’Atlantico forniscono un volto riconoscibile alla postura atlantista ed europeista della Francia di allora, consapevole che la sfida europea poteva essere vinta unicamente facendosi parte attiva nel rafforzare il vincolo atlantico.

È una Francia che, nel preservare la propria autonomia strategico-militare in ambito europeo rifiutandosi di ospitare basi americane nel proprio territorio, sul piano geoeconomico decide di schierare le migliori risorse intellettuali di cui dispone al servizio della neonata costruzione europea – progetto strategico prima che economico – per tentare di condividerne la leadership con gli Stati Uniti. Così, il prestito Eximbank alla neonata CECA, snodo cruciale per la messa in pratica dell’idea di integrazione comunitaria, viene negoziato (1953-4) da Guyot con il coinvolgimento di Meyer e dai grandi investitori globali quali David Rockefeller e Siegmund Warburg.

Nel contempo, il vincolo atlantico impone alla Francia di accantonare le tradizionali rivalità continentali e a Monnet, inizialmente propenso a utilizzare il progetto di integrazione europea in funzione anti-britannica, di scrivere a Cuccia (1967) per dichiararsi favorevole all’inclusione di Londra nel consesso comunitario. La strada, peraltro, era già stata segnata sia da Cuccia stesso che, come si è visto, aveva accolto nel capitale di Mediobanca il ramo londinese di Lazard qualche anno prima, sia da Siegmund Warburg, che curò l’emissione (1963) del primo Eurobond della storia a beneficio dell’italiana Autostrade.

Proprio il cambio di rotta di Monnet sul piano dei rapporti col rivale d’Oltremanica segna forse il definitivo abbandono dell’ambizioso progetto di Impero latino proposto qualche anno prima da Alexandre Kojève al Generale De Gaulle e destinato, nelle intenzioni del suo ideatore, a porre le basi per un antagonismo tout court con gli Imperi allora esistenti.

A non rispondere all’appello di Kojève è proprio la penisola italica: l’uggiosa Milano dove ha sede la Mediobanca di Cuccia aderisce, invece, con dignità di vertice, al triangolo con Parigi e New York immaginato dalla Lazard di Monnet e Meyer: troppo astratte le geometrie del nipote di Kandinskij, troppo vaghi i richiami alla douceur de vivre come fondamento sentimentale dell’Impero latino, troppo cogente l’imperativo americano di tenere legata a sé l’Europa unita e ricostruita, troppo concrete le operazioni di finanziamento alle infrastrutture, alle reti, alle grandi imprese globali.

Troppo astratte le geometrie del nipote di Kandinskij, troppo vaghi i richiami alla douceur de vivre come fondamento sentimentale dell’Impero latino, troppo cogente l’imperativo americano di tenere legata a sé l’Europa unita e ricostruita, troppo concrete le operazioni di finanziamento alle infrastrutture, alle reti, alle grandi imprese globali.

La vicenda di Mediobanca e di Lazard si sovrappone anche a quella, tragica, dell’ebraismo a cavallo della Seconda Guerra Mondiale fino a rappresentare, a nostro avviso, una parte non secondaria della stessa questione ebraica in quella fase storica. La ragione è da rintracciarsi non soltanto nel profilo e nel ruolo cruciale svolto dalle personalità che abbiamo avuto modo di conoscere soprattutto al di là dell’Atlantico, ma anche nella piena adesione da parte di queste, negli stessi anni in cui nasceva lo Stato d’Israele proprio su spinta americana, agli imperativi geopolitici della superpotenza dell’Occidente. Meyer, Lilienthal, David Weill, anche come forma di gratitudine nei confronti dello Stato che li avevi accolti, partecipano consapevolmente allo sforzo corale volto ad assicurare agli Stati Uniti il primato strategico nel mondo e a contenere il rivale russo nel teatro decisivo del Vecchio Continente. Ciò che li accomuna, pertanto, è l’obbedienza ai dettami della ‘religione civile’ dell’Impero non meno che l’origine ebraica stessa, e chissà se l’Impero americano che si compie ritraendosi non abbia riecheggiato, alle loro orecchie, lo tzimtzum, ossia il ritrarsi con cui il Dio della tradizione cabalistica crea il mondo.

 

Estratto di un articolo pubblicato su legrandcontinent.eu

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