Caro direttore, vorrei proporti un pezzo.
Non so se lo sai, ma mentre tutti parlano di Trump, zitto-zitto il Parlamento sta per varare il provvedimento sulla partecipazione dei lavoratori alla vita delle aziende.
Mi riferisco al recepimento della legge di iniziativa popolare promossa dalla Cisl che, a detta del sindacato, andrebbe ad attuare l’articolo 46 della Costituzione e aveva ricevuto 400mila firme. La proposta di legge è composta da 22 articoli suddivisi in IX capi. Ovviamente (gran classico di questo Paese nonostante ogni governo si riempia la bocca di aumentare la trasparenza) il testo è per lo più semplicemente incomprensibile: un susseguirsi di richiami ad altri articoli, ad altre norme…
Per questo sono andato a leggermi la relazione introduttiva nella quale si fa riferimento agli articoli della Costituzione che riguardano il lavoro e la sua dignità, a iniziare dall’art.41 (“L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”) seguiti da rimandi anche all’art 4 Cost., secondo comma (“Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”).
Lungi da me, sia chiaro, calpestare la Costituzione italiana, tuttavia mi pare strano che dopo 77 anni ci sia ancora il bisogno di norme attuative. Tu mi dirai: che male c’è? Se si tratta di una norma che stabilisce nuovi principi, ben venga. Ce ne è un gran bisogno in tempi così immorali. E poi i principi non costano nulla.
Sbagliato.
Perché se il testo è un gran casotto, c’è un articolo comprensibile, l’ultimo, che recita: Agli oneri derivanti dall’attuazione della presente legge, valutati in 50 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2023, si provvede mediante corrispondente riduzione della dotazione del Fondo di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.
50 milioni per cosa???
Ah, saperlo. Anzi: ah, capirlo.
Qualcosa però spulciando il testo si intuisce. Per esempio l’articolo sei recita: “Le somme derivanti dalla distribuzione ai lavoratori dipendenti di una quota di utili di impresa non inferiore al 10 per cento degli utili complessivi sono soggette a un’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 5 per cento, entro il limite di importo complessivo di 10.000 euro lordi, se erogate in esecuzione di contratti collettivi aziendali o territoriali di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81”.
Ma, soprattutto, il 19 aggiunge: “Nella determinazione del reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche sono deducibili le spese sostenute in attuazione di un piano di partecipazione finanziaria di cui all’articolo 7 nonché delle disposizioni per l’acquisto o per la sottoscrizione di strumenti finanziari da parte dei lavoratori dipendenti della società emittente il titolo o delle società controllanti, o da essa controllate o a essa collegate, per un importo annuo non superiore a 10.000 euro. Sono deducibili, altresì, i premi per l’innovazione e l’efficienza di cui all’articolo 10.2. Le imprese che hanno adottato il piano di partecipazione finanziaria possono dedurre dal reddito di impresa imponibile a fini fiscali, nel limite di importo previsto dal comma 1, per ciascun lavoratore:
a) gli interessi, nonché quota parte del capitale, sui prestiti accordati ai lavoratori per la sottoscrizione o l’acquisto degli strumenti finanziari;
b) la differenza tra il valore delle azioni, determinato sulla base del patrimonio netto della società risultante dall’ultimo bilancio approvato, e il prezzo al quale sono offerte per la sottoscrizione o la vendita ai lavoratori;
c) in caso di assegnazione gratuita, l’intero valore delle azioni o quote di capitale, determinato sulla base del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio approvato.
3. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sono stabilite le modalità attuative delle disposizioni del comma 2.
4. Con riferimento ai soggetti di cui all’articolo 11, comma 3, per un periodo massimo di ventiquattro mesi decorrenti dalla data di deposito del contratto, si applicano i seguenti benefìci per le aziende:
a) ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, è previsto l’esonero totale dal versamento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL);
b) è riconosciuto lo sgravio totale dei contributi a carico del datore di lavoro per il finanziamento della nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego (NASpI), di cui all’articolo 2, comma 36, della legge 28 giugno 2012, n. 92, e dello 0,30 per cento previsto dall’articolo 25 della legge 21 dicembre 1978, n. 845.
5. I benefìci contributivi di cui al comma 4 sono riconosciuti a condizione che i contratti di cui all’articolo 10, commi 1 e 3, unitamente ai piani di miglioramento e innovazione definiti dalle commissioni paritetiche cui i contratti fanno riferimento, siano depositati per via telematica presso la Direzione territoriale del lavoro competente”.
Non sono un commercialista ma, a naso, mi sembra una sfilza di incentivi per premiare appunto la partecipazione dei lavoratori alle imprese. Che, ripeto, giusto attuarla, tuttavia mi chiedo perché debba essere pagata da tutti noi, con le nostre tasse. Altrimenti anche io inizierò a chiedere una partecipazione alle varie aziende, dato che come contribuente risulto socio occulto delle stesse finanziando i loro sgravi.
Peraltro, le mance e mancette non sembrano finite perché la maggioranza, oltre a tener buoni i sindacati, starebbe pure elargendo regalucci alla stampa (ovviamente di carta: lo sai che nei Palazzi romani i dinosauri non si sono mai estinti). Prima di scriverti per proporti il tema, lo stavo approfondendo e su Milano-Finanza nell’articolo “Arriva il ddl per i lavoratori soci – Previsti ogni anno 50 milioni di copertura con benefici per le imprese e le casse pubbliche”, leggo che nell’aria ci sarebbe – in un decreto sulla Cultura – pure un credito di imposta del 30 per cento (ripeto, 30 per cento) sulle spese sostenute per chi fa pubblicità sui giornali.
Qui, direttore, permettimi di ghignare: la stampa è morta, le edicole chiudono ovunque, i giornali non sono più letti da nessuno e tu, Stato, mi spingi a farmi pubblicità su una piazza che si sta spopolando? Farei prima a pubblicizzare l’attività in un cimitero: ci sarebbero meno eco e più orecchie tese all’ascolto.
Insomma, direttore, ti può interessare un approfondimento su questi spunti? Il tuo silenzio (consueto) lo intenderò come assenso, dunque come un via libera.
Soliti saluti di rito,
Claudio Trezzano