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Fincantieri

Come Leonardo-Finmeccanica e Fincantieri possono andare d’amore e d’accordo per conquistare i mercati esteri

L'analisi del generale Mario Arpino, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa, sulle potenziali sinergie industriali fra Leonardo (ex Finmeccanica) e Fincantieri auspicate anche dal governo

L’Europa sembra si stia impoverendo ogni giorno di più, nonostante possieda risorse, industria con capacità tecniche rilevanti, tecnologie d’avanguardia e capacità imprenditoriale. Aerospazio, elettronica, logistica, trasporti sono settori avanzati che vedono alcuni Paesi europei – ma non l’Europa in quanto Unione europea (Ue) – ai primi posti nel mondo. Siccome nessuno riesce a fornire una spiegazione convincente, è ovvio come, se non si tratta di capacità e di risorse, il difetto debba necessariamente trovarsi nel ‘manico’. Ovvero nel modo – presumibilmente incoerente – in cui capacità e risorse, che pure ci sono, vengono gestite.

Dei 28 Stati che al momento compongono l’Ue, possiamo dire che Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Spagna e Svezia già possiedano in proprio (al di là di alcune materie prime) quasi tutte le capacità necessarie per procedere in proprio. Fa difetto la motoristica aeronautica, dove solo Francia e Regno Unito storicamente ottengono risultati di rilievo con sviluppo e concezione nazionale, mentre per tutti il prodotto di base rimane quello tradizionale di origine statunitense. Il materiale motoristico francese, tuttavia, ha sinora avuto scarsissima applicazione, generalmente limitata ai mezzi di produzione nazionale.

All’interno della compagine dell’Ue, nel settore duale di Aerospazio e Difesa, dopo Francia e Gran Bretagna, ma prima della Germania, l’Italia è uno dei Paesi membri meglio posizionati, avendo sviluppato capacità di qualità pressocché nell’intera gamma di prodotti di interesse. La nostra industria sa costruire aeroplani da caccia, da turismo e da trasporto, navi, vettori spaziali con stazioni di lancio, radar, satelliti, centri di comando e controllo, equipaggiamenti per la guerra elettronica e produzione di intelligence, mezzi militari protetti corazzati, cingolati, ruotati, artiglierie terrestri e navali, armamenti leggeri ed ogni tipo di sistema di addestramento e simulazione al combattimento, anche interattivo.

Scendendo per i rami europei, siamo quindi arrivati all’Italia, dove tutto il settore delle competenze strategiche navali, aeronautiche, spaziali e terrestri si polarizza attorno a pochi grandi agglomerati industriali (Fincantieri, Leonardo-Finmeccanica, Oto Melara, Iveco, il gruppo Avio di Colleferro, ecc.), su alcune industrie di media grandezza note per l’eccellenza nell’elettronica, la guerra elettronica, la logistica operativa e le armi leggere. Attorno a questi massimi sistemi, si muovono poi parecchie centinaia di industrie medie e piccole, ciascuna con le proprie eccellenze ed i propri prodotti innovativi. A prima vista, quindi, possedendo in varia misura tutti gli ingredienti del successo, il futuro della nostra posizione in Europa e nel mondo sembrerebbe assicurata.

Ma, purtroppo, non è così. Per sostenerci, non posiamo pensare di fare affidamento solo sulle vendite in casa, sui contratti domestici, come purtroppo spesso è accaduto. Certo, è più comodo e più facile, ma non si cresce. Bisogna vendere all’estero, con buna pace per quelle anime candide che con alti lai continuano a stracciarsi le vesti. E, se non cresciamo, nonostante le nostre eccellenze non riusciremo mai a raggiungere quelle masse critiche che ci consentiranno di continuare ad associarci in posizione non subordinata con gli assi pigliatutto, come abbiamo fatto con Tornado, Eurofighter, Fremm ed altri programmi minori. Sinergie europee e globali, che per potersi sviluppare devono prima essere precedute in casa da sinergie e collaborazioni più strette.

La politica e la ragione, in presenza di sviluppi come Pesco, Edp, Eda, Occar, asse franco-tedesco, spinta Usa e Nato, ecc., premono in questa direzione. Anche il nuovo Governo se ne è reso conto ben presto, e continua ad insistere perché i nostri due Campioni nazionali, Fincantieri e Leonardo, ricerchino reciproche sinergie, come ultimamente hanno iniziato a fare. Loro stessi se ne sono resi conto, quando entrambi sono stati sconfitti in due grosse gare internazionali, rispettivamente in settori remunerativi e di prestigio quali le navi militari e gli aerei da addestramento. Ma non è facile. Bisognerebbe cominciare con un grande lavoro interno, dove, prima ancora di trovare non scontate sinergie tra di loro, i due Campioni dovrebbero aver maggior cura, cercando di trarne vantaggio, di ciò che sanno fare le piccole e medie industrie. Questo comportamento non ha mai fatto parte del Dna dei due colossi, specie della ex Finmeccanica, orgogliosa di ‘avere già tutto ciò che serve’ all’interno delle proprie Divisioni. Non è così, e la cultura aziendale del “o lo faccio io, o non si fa”, ricorrentemente emergente, ha spesso perso per strada le eccellenze delle Pmi.

Purtroppo la cultura aziendale di una grande industria partecipata, che porta a preferire ciò che si sa già fare rispetto a ciò che ancora presenta dei rischi o intacca la prosperità delle trimestrali, è una massa conservativa permanente, il cui moto rettilineo uniforme è difficilmente modificabile da nuovi manager, nuove strutture o dal cambio del nome del Gruppo. È un’operazione difficile, non scontata, che richiede tempi lunghi (forse anche superiori a quelli a disposizione degli A.D. e dei C. di A.) perché evidenzi risultati osservabili.

Occorre vigilare, allora, perché Fincantieri e Leonardo non perdano il momento e parallelamente favoriscano, ciascuna, quelle collaborazioni preziose che fanno crescere anche i ‘piccoli’ .

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