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Leonardo-Finmeccanica e Fincantieri, chi spinge e chi frena sul campione nazionale

Fatti, indiscrezioni, analisi e scenari sul progetto di fusione tra Leonardo-Finmeccanica e Fincantieri (smentito oggi dal premier Giuseppe Conte)

 

Chi spinge davvero sulla fusione tra Leonardo-Finmeccanica e Fincantieri? Una parte del vertice del Movimento 5 Stelle? Ambienti di Palazzo Chigi? Consulenti del Tesoro? O Giuseppe Bono?

Oggi, dopo che a ottobre ne ha parlato in maniera approfondita Start Magazine, tre quotidiani in diverse forme (La Stampail Messaggero e Andrea Pira di Mf/Milano Finanza) rilanciano l’ipotesi di cui da tempo si bisbiglia in ambienti politici, legati sovente a un mondo della prima, primissima, Repubblica.

CHE COSA HA DETTO IL PREMIER SU LEONARDO-FINMECCANICA/FINCANTIERI

Ma a sgombrare il campo è stato stamattina il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, visto che gli spifferi erano attribuiti proprio ad ambienti di Palazzo Chigi: “A livello di governo non c’è nulla di tutto questo. Non c’è nulla sul tavolo”, ha detto oggi il premier rispondendo ai giornalisti che gli hanno chiesto, al termine del suo incontro con il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, delle indiscrezioni relative a una fusione tra Fincantieri e Leonardo-Finmeccanica. “Respingo nel modo più assoluto le indiscrezioni – ha concluso – sono società quotate in Borsa e il governo non interviene direttamente”.

IL PESO DEL TESORO

Il governo non interviene direttamente? Il ministero dell’Economia è socio di Leonardo e controlla la Cassa depositi e prestiti, che possiede la finanziaria Fintecna (la quale ha il 71% di Fincantieri).

IL SI’ DI BONO (FINCANTIERI)

Quindi il governo può intervenire. E chi lo desidera? Ha scritto oggi Paolo Baroni del quotidiano La Stampa: “A guidare il nuovo polo coi galloni di presidente dovrebbe essere Bono. Per Bono sarebbe un ritorno a casa, visto che nel 2002 lasciò la carica di amministratore delegato di Finmeccanica proprio per passare a Fincantieri”.

LE MOSSE DI BONO

Bono aveva sponde solide durante i governi del Pd e ora buoni rapporti con ambienti di spicco della Lega, eppure il progetto di un superpolo nazionale nella difesa è accarezzato anche da ambienti di vertice dei Pentastellati.

I MORMORII DI LEONARDO E DE GENNARO

Ma in casa di Leonardo l’attivismo di Bono anche nel settore militare e della sicurezza desta da tempo scarso entusiasmo, vista anche la presenza tra le persone più vicine a Bono dell’ex numero uno di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini. Per non parlare delle divergenze passate su Servizi e altro – come ha sottolineato giorni fa il quotidiano La Verità – tra il presidente di Leonardo, Gianni De Gennaro, e il presidente di Fincantieri, Giampiero Massolo.

IL CASO VITROCISET

Emblematico quanto successo sul dossier Vitrociset, come raccontato da Start Magazine. Anche se la decisione da parte di Fincantieri di non accodarsi al ricorso avviato da Mermec è stato giudicato dagli osservatori come un gesto di distensione, peraltro auspicato dal governo per i due gruppi.

IL NO DI LEONARDO-FINMECCANICA

“Il progetto di assorbimento di Leonardo dentro Cdp-Fincantieri ovviamente non è gradito ai manager di Leonardo né ai suoi vertici, l’amministratore delegato Alessandro Profumo e il presidente Gianni De Gennaro, perché verrebbero ridimensionati o potrebbero perdere il posto – ha scritto Gianni Dragoni del Sole 24 Ore sul suo blog Poteri Deboli – Il mandato triennale del cda di Leonardo scade nella primavera 2020, un anno dopo quello di Fincantieri”.

I GIUDIZI DEGLI ANALISTI

Ma che cosa ne pensano gli analisti? La maggioranza è perplessa, per non dire contraria. Mentre a sorpresa Equita sim – di cui in un recente passato è stato socio Profumo – non boccia lo scenario.

IL COMMENTO DI BANCA IMI

A evidenziare gli effetti negativi per Leonardo è un report di Banca Imi: “Crediamo che una unione tra le due società, che porterebbe alla creazione di un gruppo con 17-18 miliardi di euro di ricavi, non sarebbe particolarmente accrescitiva di valore per Leonardo, ma porterebbe a una diluizione dei suoi margini”, dice Banca Imi, sottolineando che l’ebitda margin atteso nel 2018 del gruppo guidato dall’ad, Alessandro Profumo, è di circa il 14% rispetto al 7,3% per Fincantieri. “Inoltre, le due società sono attive nei sistemi navali, ma crediamo che una fusione non necessariamente potrebbe creare un posizionamento più solido nel panorama internazionale e l’estrazione di sinergie rischierebbe di essere complessa e faticosa”, aggiungono gli analisti di Banca Imi (gruppo Intesa Sanpaolo).

IL REPORT MEDIOBANCA

Inoltre la fusione dovrebbe far scattare un’offerta pubblica sull’ex Finmeccanica: “Leonardo dovrebbe essere tolta dalla borsa prima di essere eventualmente fusa con Fincantieri. Il Governo italiano ha il 72% di questa ultima, mentre la sua quota in Leonardo è del 30%”, scrive Mediobanca Securities.

IL CASO EQUITA

Tra i broker, solo Equita non boccia lo scenario. La Sim ritiene “che la creazione di un unico polo nazionale della difesa, con ramificazioni nel civile, con dimensioni tali da colmare in parte il gap rispetto ai principali concorrenti possa considerarsi un progetto razionale. Resterebbero però da chiarire le modalità e i tempi di applicazione, senza dimenticare il supporto politico”.

IL RUOLO DELLO STATO

Equita, tra l’altro, evoca uno scenario che per primo sulla base di indiscrezioni politiche era stato avanzato da Start Magazine: ossia un ruolo di pivot da parte di Fintecna, la finanziaria controllata dalla Cassa depositi e prestiti che detiene la quota di controllo di Fincantieri: “Varie fonti parlano di passaggio della quota di controllo di Leonardo dal ministero del Tesoro a Fintecna, già azionista di maggioranza di Fincantieri col 72,5%, implicando l’opa obbligatoria, uno scenario che riteniamo evitabile. Con una semplice fusione ai prezzi attuali la quota di controllo dello Stato andrebbe al 41%”, riporta Mf/Milano Finanza.

SMENTITE E SCENARI

La smentita di Conte azzera le indiscrezioni, ma non troppo. D’altronde progetti e ipotesi del genere, con trasferimenti di quote fra Tesoro e Cdp, erano stati abbozzati anche durante il governo Renzi; progetto in parte rivisitato dal Movimento 5 Stelle come delineato tempo fa dal pentastellato Stefano Buffagni.

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