All’annuncio, fatto appena due giorni fa, sono seguiti subito i fatti, e così ieri i Dipartimenti del Tesoro e del Commercio degli Stati Uniti, mantenendo la promessa di colpire duramente chi sta aiutando lo sforzo bellico russo con chip e software made in Usa, hanno allargato le maglie delle sanzioni e in particolare di quelle secondarie che puntano a sfoltire se non eliminare del tutto questo commercio teoricamente illegale. Ecco tutte le misure prese dall’amministrazione Biden che si estendono anche al settore finanziario russo dove si registrano già i primi contraccolpi.
Chiudere gli ultimi spiragli.
L’assunto da cui partono le ultime decisioni dell’amministrazione Biden è che le sanzioni finora approvate sono “sistematicamente eluse” da qualcuno, come osserva al quotidiano La Stampa l’economista della Brookings Institution, Robin Brooks.
Ci sono cioè aziende ed entità di Paesi Terzi che persistono nell’intrattenere relazioni con attori russi legati all’industria della difesa, cui vengono messe a disposizioni tecnologie chiave e componentistica fondamentali per la manifattura di armi e attrezzature belliche.
Le vie di questo commercio parallelo sono numerose. L’esempio fatto dal quotidiano torinese è quello delle nazioni del Caucaso, che fanno registrare incrementi vertiginosi dell’export altrimenti inspiegabili.
Ma il New York Times ricorda che tra i pensieri dell’amministrazione Biden c’è anche quella Cina da cui continuano a partire verso la Russia volumi sospetti di chip, macchinari e componentistica.
Le decisioni del Tesoro e del Commercio.
Quale effetto delle decisioni assunte ieri, le compagnie che continuano a fornire a Mosca tecnologie americane critiche incorreranno in quelle sanzioni secondarie che, come ben sanno gli ayatollah, ne compromettono l’accesso al sistema finanziario Usa tagliandole di fatto fuori dal mercato o, per lo meno, alla sua porzione più ampia e redditizia.
Il provvedimento, ha chiarito un funzionario del Dipartimento del Commercio, si applica non solo alle tecnologie prodotte su suolo americano, ma anche a quelle riconducibili in qualsiasi modo agli Usa per via, ad esempio, della proprietà intellettuale o del brand.
Nel mirino delle sanzioni ci sono oltre 300 soggetti ed entità basate soprattutto in Asia, ma anche in Africa ed Europa, resisi responsabili di un commercio di chip e altri item in scambi dal valore stimato di 100 milioni di dollari.
Il New York Times rileva una significativa concentrazione di società che hanno sede a Hong Kong e in quella regione cinese di Shenzhen nota per essere uno dei più importanti poli manifatturieri del Paese.
In aggiunta, il Tesoro, di concerto con il Dipartimento di Stato, ha sanzionato altre 100 entità impegnate nei settori russi dell’energia, dei metalli, e di quello minerario, mentre il Commercio ha introdotto nuove restrizioni mirate ad arginare l’export che da Hong Kong prende la via della Russia.
Commentando i nuovi provvedimenti, la Segretaria al Tesoro Janet Yellen ha sottolineato che “le odierne misure colpiscono le ultime modalità rimaste (alla Russia per procurarsi) materiali ed attrezzature” che vengono impiegate nella macchina bellica, intervenendo su quelle “terze parti” cui Mosca si è sin qui affidata per le sue “forniture critiche”.
Colpita anche l’infrastruttura finanziaria. Con effetti immediati.
Estendendo quanto deciso a dicembre con un ordine esecutivo della Casa Bianca, le sanzioni secondarie avranno ora una portata devastante anche sull’infrastruttura finanziaria russa, che si punta a isolare ulteriormente.
Nel mirino finisce in particolare quella piazza chiamata MOEX dove si effettuano le principali transazioni relative ai fondi azionari e ai cambi.
IL MOEX e le sue sussidiarie sono gli stessi che gli Usa accusano di oscurare l’identità di chi effettua transazioni attraverso le proprie piattaforme, in aperta violazione delle sanzioni.
Le sanzioni secondarie, osserva il New York Times, varranno come deterrente nei confronti soprattutto degli istituti di credito più piccoli dei Paesi Terzi e in particolare di quelli del Dragone.
Quanto decretato a Washington ha partorito immediatamente i suoi effetti a Mosca: con un comunicato diffuso a poche ore dal varo delle sanzioni, il MOEX ha reso noto di aver sospeso gli scambi in dollari ed euro.
A riprova della sua determinazione, il Tesoro ha anche annunciato di aver esteso da 1.200 a 4.500 il numero di entità russe considerate legate all’industria della Difesa di Mosca con le quali è assolutamente proibito condurre transazioni finanziarie di qualsiasi tipo.
Tra queste entità ci sono anche colossi del calibro di Sberbak e VTB, ossia le principali banche prestatrici della Russia.
Un cambio di paradigma
Il nuovo pacchetto di sanzioni, è il parere espresso a Reuters dall’ex direttore della sezione economia internazionale della Casa Bianca Peter Harrel, equivale a un netto “cambio di paradigma” da parte di quel presidente Biden che, non a caso, compie questo passo mentre si accinge ad incontrare i leader mondiali al G7 in Puglia dove tenterà di convincerli a giocare anche l’altra carta degli asset russi congelati da reimpiegare per finanziare Kyiv.
Le misure prese dal Tesoro, sottolinea ancora Harrel, rappresentano in particolare un serio tentativo di imporre un “embargo finanziario globale” de facto su Mosca.