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Energia

Le soluzioni dell’Ue per la crisi: danni certi, benefici incerti

Che cosa si è detto all’Eurogruppo e all’Ecofin. L'analisi di Giuseppe Liturri

 

Lunedì e martedì a Bruxelles sono stati due giorni intensi per i ministri dell’economia dei Paesi dell’eurozona impegnati nell’Eurogruppo e poi affiancati dagli altri colleghi per il Consiglio Ecofin.

Molto fitta l’agenda: le sanzioni alla Russia e il loro impatto sull’economia della UE; le linee guida per la politica di bilancio del 2023; il completamento dell’Unione Bancaria; una nuova ipotesi di quadro temporaneo per gli aiuti di Stato legati alla crisi energetica in atto; il varo di una tassa basata sull’import di prodotti ad elevata impronta di CO2 ed il prosieguo dei lavori sull’imposta minima sui redditi delle grandi società.

La sintesi è che c’è incertezza su tutto, ma esiste un’unica certezza, quella delle sanzioni contro la Russia, costi quel che costi. L’entità di questi ultimi ha dei contorni piuttosto chiari ed imponenti, ma su come mitigarne l’impatto regna la nebbia più fitta e tutti – dall’Eurogruppo, alla Commissione, al Consiglio – si tengono le mani libere per adattarsi in modo flessibile al corso degli eventi.

La Commissione ha rinviato a maggio – quando saranno pubblicate le raccomandazioni Paese – qualsiasi dettagliata indicazione sulle linee di politica economica per il 2023. Tuttavia non ha perso l’occasione per ribadire che l’orientamento della politica di bilancio passerà da espansivo a neutrale e che gli Stati con debito elevato (ogni riferimento all’Italia è puramente intenzionale) dovranno da subito impostare un percorso di riduzione. A tenerci in vita sul sentiero della crescita dovrebbero bastare gli investimenti e le riforme del Next Generation (Ngeu), mentre la spesa pubblica corrente dovrà essere contenuta e soggetta a spending review. Insomma, con la mano del PNRR costruiremo ospedali e scuole e, con la mano del Patto di Stabilità, dovremo tagliare il costo di medici e insegnanti.

Nessuna novità sull’auspicata sospensione del Patto di Stabilità anche per il 2023, anche se poi nei giorni successivi, non sono mancate le aperture in tal senso. Il Presidente Paschal Donohoe ed il Commissario Paolo Gentiloni, nella conferenza stampa serale, non hanno provato imbarazzo nel confermare la gravità dei danni causati all’economia dalle sanzioni e dalla crisi energetica in atto, a fronte dei quali la cassetta degli attrezzi si presenta desolatamente vuota. Anzi, la cassetta contiene solo due vecchi attrezzi che finora nessuno ha usato.

Il direttore del MES, Klaus Regling non ha esitato a definire “una positiva esperienza”(?) la linea di credito speciale progettata per la pandemia e ha dichiarato di ritenere possibile la ripetizione di quell’esperienza per fronteggiare la crisi energetica, anche se è troppo presto per parlarne e i ministri non ne hanno discusso. L’altro vecchio arnese a disposizione è stato rispolverato dal vicepresidente Valdis Dombrovskis che, al termine del Consiglio Ecofin, dopo aver enumerato tutti i danni inferti alla Russia con la quarta tornata di sanzioni varata proprio durante l’Ecofin di martedì, ha dovuto riconoscere le pesanti conseguenze per l’economia UE e non ha trovato di meglio che invitare gli Stati ad attingere a piene mani ai 200 miliardi ancora disponibili di prestiti del Ngeu. Una involontaria ammissione del fallimento del NGEU che, a fronte di 385 miliardi di prestiti disponibili, ha visto accorrere solo Italia (per l’intero importo disponibile pari a 122 miliardi), Grecia, Portogallo e Romania. Stendiamo un velo pietoso su come la gabbia rigidissima, creata per attingere a quei fondi, con un calendario per i prossimi 5 anni di obiettivi e traguardi definiti nel massimo dettaglio, possa essere modificata per renderli utilizzabili per fronteggiare lo shock di offerta derivante dagli eventi bellici in Ucraina, che hanno solo fatto divampare un incendio già in atto.

Il completamento dell’Unione Bancaria, su cui l’Eurogruppo arranca da circa un anno alle prese col nodo gordiano dell’assegnazione di un livello di rischio ai titoli pubblici detenuti dalle banche, è stata l’occasione colta da Regling per ribadire che il primo passo da compiere è quello della ratifica della riforma del Mes. Anche in questo caso, a Roma chi ha orecchie per intendere, intenda e provveda.

Nel frattempo il Consiglio è finalmente venuto a capo del progetto di una nuova tassa (Cbam), finalizzata a colpire alla frontiera i prodotti importati da Paesi extra UE meno rigorosi nel diminuire le emissioni di gas serra. I prodotti colpiti saranno cemento, alluminio, concimi, ferro e acciaio. Queste entrate, accanto a quelle derivanti dalla revisione dei diritti per le emissioni di CO2 e dalla tassazione dei profitti delle grandi società (la cui proposta non è ancora pronta), sono decisive per rimborsare i debiti che la UE ha contratto per finanziare il NGEU. Ma ciò che è stato concepito ormai due anni fa in piena deflazione, oggi equivale a gettare ancora benzina su un pagliaio in fiamme. Tale tassa non potrò che scaricarsi lungo l’intera filiera dei settori coinvolti con prevedibili effetti inflattivi. A Bruxelles non paiono preoccuparsene.

E ciò è soprattutto confermato se si guardano i pochi spiccioli che la Commissione si appresta ad autorizzare come tetto massimo per gli aiuti di Stato per le imprese colpite dall’impennata dei costi energetici. Il 10 marzo la Commissione ha reso disponibile in consultazione agli Stati membri una bozza per un nuovo quadro temporaneo di aiuti ritenuti non distorsivi della concorrenza. Il 16 è poi scaduto il termine per le osservazioni e dai media internazionali trapela la solita spaccatura tra il fronte mediterraneo e quello nordico. Il primo incline a consentire un generoso intervento degli Stati a favore delle imprese danneggiate dai costi energetici impazziti, il secondo preoccupato di eventuali aiuti ad imprese zombie o eccessive distorsioni della concorrenza.

Oltre alla riproposizione dei soliti prestiti con garanzia a costo ridotto o con tasso agevolato, il quadro temporaneo (documento di 16 pagine che abbiamo avuto modo di analizzare) prevede che i sussidi possano essere erogati solo oltre una certa soglia di aumento dei costi, fissata molto alta prendendo come base il trimestre novembre 2021-gennaio 2022, quando già il costo dell’energia era già molto elevato. Basti pensare che le imprese (fortunatamente non tutte) il cui prezzo dell’energia subisce la variabilità del PUN (Prezzo Unico Nazionale), dal 2019 al 2022 hanno visto moltiplicarsi per 4/5 volte il costo della componente energia. Da nostre elaborazioni, in base ai dati fino al 18/3, gli aiuti compatibili dovrebbero oscillare tra il 6% e l’8% del costo dell’energia. Ben al di sopra del 20% di credito di imposta per le imprese energivore disposto dal governo Draghi per i primi due semestri. Questa discrepanza – tutta da confermare in base al testo definitivo che sarà pubblicato dalla Commissione presumibilmente entro fine mese – potrebbe portare ad uno scontro con Bruxelles. Francamente ci rifiutiamo di credere che si arrivi all’assurdo di chiedere alle imprese la restituzione degli aiuti eventualmente eccedenti le soglie UE.

La famosa frase “se non hanno più pane, che mangino brioche” potrebbe cambiare in peggio. Rischiamo di non avere nemmeno le brioche.

(Versione aggiornata e ampliata di un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità)

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