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Bocconi

La privatissima Bocconi chiede allo Stato un reddito di studianza per gli universitari

Modello danese e Supporto per la formazione e il lavoro, ma anche campus in stile anglosassone. Ecco cosa propone il rettore della Bocconi, Francesco Billari, per il reddito studentesco. Fatti, numeri e commenti

 

Gli studenti fuorisede in Italia sono 591mila, di cui oltre 200mila frequentano gli atenei di Milano e circa 15mila l’Università Bocconi, guidata dal rettore Francesco Billari, che si è unito alle proteste di ragazze e ragazzi che hanno piantato le tende di fronte a diversi atenei di tutto il Paese chiedendo un cambio rotta per quanto riguarda le politiche abitative e l’introduzione di un reddito studentesco.

IL MODELLO NORDEUROPEO E L’OSSESSIONE ITALIANA DEL MERITO

Già qualche giorno fa Billari aveva auspicato “più patti abitativi famiglie-fuorisede e sussidi modello Nord Europa”. Ora sul Corriere della sera ha spiegato quali sono secondo lui i modelli di riferimento a cui ispirarsi: “[…] Paesi, tipicamente nel Nord Europa, sostengono gli studenti (e non i loro genitori) con assegni universali che vanno direttamente agli universitari in regola con gli studi”

“In regola con gli studi” ma senza considerare la media, sottolinea il rettore, che parlando col quotidiano Domani la definisce “un’ossessione solo italiana”.

La condizione, invece, vincolante è che i giovani non vivano con i genitori.

COME E PERCHÉ AIUTARE GLI UNIVERSITARI A ESSERE AUTONOMI

“Una maggiore autonomia degli universitari – ha detto Billari al Corriere – sarebbe poi fondamentale per un Paese che è leader nella lunghezza della transizione dei giovani allo stato adulto, con un’età media di uscita dalla famiglia di origine che supera i 30 anni, contro i 21-22 dei Paesi nordici e i 23-24 della Germania. Nel lungo periodo contribuirebbe a diminuire il costo dei figli: da noi la natalità, come sappiamo, declina da decenni”.

SOLUZIONI FATTIBILI E NON

Per il rettore della Bocconi “esistono diverse soluzioni tecniche, da quelle più costose della Danimarca a quelle miste a prestiti garantiti dei Paesi Bassi. Servirebbe ovviamente un investimento importante da parte della finanza pubblica, da connettere a obiettivi di aumento della quota di laureati (troppo bassa in Italia) e della competitività del sistema universitario (sia interna che internazionale)”.

Il nostro Paese è infatti il secondo in Europa, solo dopo la Romania, a detenere il più basso numero di laureati, con ovvie conseguenze economiche per l’Italia.

Il modello danese citato da Billari, spiega Domani, “si chiama Statens Uddannelsesstøtte e ammonta a 825 euro per tutti gli studenti che hanno lasciato la famiglia d’origine”, mentre chi vive in famiglia riceve molto meno. Il rettore ha però aggiunto che pur trattandosi del “top di gamma”, le nostre risorse pubbliche non lo consentono.

Per questo propone, invece, oltre a dare la precedenza a “chi proviene da famiglie più svantaggiate”, di dare agli studenti il “Supporto per la formazione e il lavoro” (Sfl), se si dovessero trovare le risorse. L’Sfl, chiarisce il quotidiano, è “uno dei due strumenti che sostituiranno il reddito di cittadinanza […] è rivolto alle persone occupabili, consiste in 350 euro, entrerà in vigore il primo settembre e potrà essere dato per 12 mesi a chi parteciperà a programmi di formazione e progetti utili alla collettività”.

In merito all’Sfl, Billari propone di togliere il riferimento alla famiglia d’origine per quanto riguarda l’Isee, che al momento non deve superare i 6mila euro: “Questa soglia – ha detto a Domani – andrebbe estesa molto di più e andrebbero lasciati fuori solo i benestanti”, sui quali però non si è sbilanciato con una cifra precisa.

IL MODELLO CAMPUS

Se per il breve periodo è necessario pensare a soluzioni di immediata attuazione, l’obiettivo a lungo termine secondo Billari è quello di offrire agli studenti dei veri e propri campus dove la vita universitaria diventa opportunità per fare rete e creare “una comunità di crescita, studio e ricerca”, come accade nelle grandi metropoli – Boston, San Francisco, Londra – ma anche in città più piccole come Oxford, Cambridge o Princeton.

I DATI SUGLI ALLOGGI UNIVERSITARI

Secondo l’ultimo report sul diritto allo studio universitario del ministero dell’Università e della ricerca, pubblicato il 14 aprile 2023 e citato dal Sole24Ore, “a inizio novembre 2022 erano poco più di 40mila i posti letto nelle residenze gestite dagli enti preposti: l’offerta pubblica non fornisce risposte adeguate e soddisfa appena il 5% della domanda”.

Il quotidiano economico afferma poi che la pandemia ha peggiorato la situazione in quanto “ha obbligato la trasformazione di alcune stanze da doppie a singole, causando una perdita di posti letto che non è ancora stata recuperata: il 7,1% in meno rispetto al 2021”.

La Bocconi, come riferito da Billari, può contare su “2.100 possibilità di residenza (gestite direttamente o in convenzione) su un totale di 15mila iscritti”.

COSA PREVEDE IL PNRR

Per risolvere il problema, il Pnrr, precisa Il Sole, “ha stanziato 960 milioni di euro per realizzare ulteriori 60mila nuovi alloggi entro il 2026, di cui 7.500 entro il 31 dicembre 2022: per ora ne sono arrivati 8.500 per 300 milioni di euro”. Inoltre, “sono stati sbloccati la scorsa settimana altri 660 milioni di euro, con cui il Governo intende reperire i 52.500 alloggi rimanenti”.

Per Billari, il cui ateneo quest’anno ha ricevuto 7.178.503 di euro di finanziamenti statali, “gli investimenti connessi con il Pnrr e messi a terra dalla ministra Bernini vanno nella direzione giusta, ma andranno potenziati con obiettivi ambiziosi di lungo periodo”, come i campus.

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