Il commento di Giuliano Cazzola Sl pacchetto del jobs act, su di esso si scatenano le accuse di aver ridotto le tutele contro il licenziamento e le coperture degli ammortizzatori sociali (stendendo un velo d’oblio sulla loro estensione tendenzialmente universalistica) e di aver ampliato il c.d. precariato. Non conta dire – statistiche alla mano –…
Sl pacchetto del jobs act, su di esso si scatenano le accuse di aver ridotto le tutele contro il licenziamento e le coperture degli ammortizzatori sociali (stendendo un velo d’oblio sulla loro estensione tendenzialmente universalistica) e di aver ampliato il c.d. precariato. Non conta dire – statistiche alla mano – che il tasso d’occupazione è tornato ai livelli del 2008. Banditi i voucher, ridimensionate le collaborazioni, ora sono imputati i contratti a termine, prevalenti nei flussi, ma sostanzialmente allineati con gli standard europei negli stock.
Come ha dimostrato Stefano Patriarca su “Il Diario del lavoro” va smentita anche l’affermazione che c’è un po’ di occupazione in più, ma è tutta precaria, volatile, destinata a sparire al primo stormir di fronte. Di quel milione di nuovi posti di lavoro complessivi creati dal momento dell’entrata in crisi, il 57% è a termine, il 43% a tempo indeterminato.
Ma è utile fare anche un po’ di confronti internazionali per capire come davvero stanno le cose. Nel 2016, l’anno di cui si hanno i dati un po’ di tutti i Paesi, l’occupazione a tempo indeterminato è stata in Italia pari all’86,0%, sopra la media europea che è risultata pari all’84,4%. Stiamo peggio della Germania, che ha a tempo indeterminato l’86,8% dei suoi occupati, ma meglio della Francia (83,9%), della Svezia felix (83,9%) e dell’Olanda (79,4%).
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