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Emanuele Felice, cosa pensa il prof (anti Renzi) neo responsabile Economia del Pd

Mosse, tweet e idee dell'economista Emanuele Felice nominato responsabile Economia del Pd da Nicola Zingaretti tra Sud, Sardine, Renzi, imposta sui patrimoni e articolo 18

Una nuova nomina destinata a dare un indirizzo ben diverso alle politiche economiche del Pd rispetto al recente passato. Il nuovo responsabile economico del Nazareno, nominato due giorni fa dal segretario Nicola Zingaretti, è Emanuele Felice, docente universitario 43enne, contrario ai “partiti personali”, attento alle difficoltà del Mezzogiorno e favorevole a reintrodurre garanzie nel mercato del lavoro.

CHI E’ EMANUELE FELICE

Nominato responsabile economico da Zingaretti durante l’ultima direzione del partito, classe 1977, abruzzese, Emanuele Felice è ordinario di Politica economica all’università di Pescara (dal 2019), e – come scrive oggi Dario Di Vico sul Corriere della Sera – “è esponente di punta del neo meridionalismo ed è molto vicino al ministro Giuseppe Provenzano”. Con lui ha scritto un libro “Perché la democrazia è in crisi? Socialisti e liberali per i tempi nuovi”, pubblicato nel 2019 dalla casa editrice bolognese Il Mulino.

Laureato all’università di Bologna, Emanuele Felice si è addottorato a Pisa e si è specializzato alla London School of Economics e alla Harvard University. Negli anni scorsi è stato editorialista per La Stampa, La Repubblica e L’Espresso. I suoi libri, tutti editi dal Mulino, si occupano soprattutto dei  problemi del Sud e del divario regionale esistente nel Paese.

Con il ministro per il Sud, Provenzano, condivide – ricorda l’editorialista del Corriere della Sera – una linea decisamente critica verso la sinistra riformista e proposte come “l’imposta progressiva sui patrimoni” e il “ripristino delle garanzie nel mercato del lavoro”. Tradotto: il neo responsabile economico del Pd è contro l’abolizione dell’articolo 18 prevista dal Jobs act renziano.

CHE COSA PENSA EMANUELE FELICE

Felice ha espresso su Twitter, a poche ore dalla nomina, i suoi obiettivi per l’incarico che  ha appena ricevuto. “Ieri sono stato nominato da Zingaretti responsabile economico del PD. E’ una grande responsabilità, per me anche una sfida nuova (non faccio più politica attiva praticamente dai tempi del liceo, e poi questa è un’altra cosa). Sono contento e anche un po’ timoroso, emozionato” ha scritto il professore tramite il suo account @emanuelefelice2.

Felice ha voluto nominare anche Andrea Orlando, attuale vicesegretario nazionale dei dem oltre che deputato, cui riconosce “lungimiranza e statura, anche umana”. “Da ora in poi allo studio si affianca la lotta” ha detto ancora evidenziando che “per quanto possibile vorrei contribuire a questo nel @pdnetwork: creare una nuova classe dirigente e provare a ridare alla politica, alla sinistra e all’Italia, un orizzonte ideale”.

Il docente universitario ha notato “l’importanza di avere partiti non personali (il contrario del Pd renziano, ndr) che sappiano formare classe dirigente e che abbiano un’idea di società, che sappiano convincere con argomenti razionali ma anche toccare i sentimenti (che sono importanti in politica)”.

TRA SUD E SARDINE

Sempre secondo Di Vico la sua nomina “segnala da parte di Zingaretti un’operazione più ambiziosa: tentare di ricostruire attorno al Pd una galassia di intellettuali focalizzati su Sud e giustizia sociale che veda coinvolto anche l’ex ministro Barca”. Certo “quanto questa scelta riesca a propiziare il dialogo con le Sardine e serva a competere con i 5 Stelle sullo stesso perimetro di gioco lo vedremo con il tempo”. Da ricordare, infatti, che in un recente post su Facebook Provenzano ha “aperto” al movimento: “Care 6.000 sardine, il Sud come priorità di un movimento come il vostro è una gran bella notizia, che non accadeva da tempo e di cui vi ringrazio”. E ancora: “Non importa dire del lavoro già fatto in Legge di Bilancio, sul Sud e sulle aree interne e che per primo so non bastare a riannodare quel filo ‘un po’ maltrattato’. Mi interessa parlare del lavoro da fare, anche in questi giorni in cui stiamo definendo il #PianoSud. (…) Sarei felice di ascoltare le vostre proposte. (…) Insomma, quando vorrete accanto a confronto più generale che sono certo avvierete con il Presidente Conte, le porte del mio ministero sono aperte”.

COSA PENSA DI RENZI

In un commento apparso su L’Espresso nel maggio 2019 all’indomani della vittoria di Pedro Sánchez in Spagna, l’economista Felice proponeva di prendere spunto proprio dall’operato del  iberico che “ha fatto tutto il contrario di quello che proponeva da noi il Pd a guida renziana: che infatti è sceso al minimo storico”.

Il Nazareno, scriveva, deve guardare a lui: “Il successo di Sánchez non è solo una speranza che rinasce, nel quarto paese più importante dell’Unione. Ma può e deve rappresentare un insegnamento vitale per il Pd italiano e per la sinistra europea tutta, di fronte alla sfida dei nazional-populisti. Per l’idea di società che propone, la ‘narrazione’: il primo fra gli ingredienti che impastano la politica, e le leadership. Ma anche per la coerenza strategica e l’abilità tattica: le due gambe senza le quali non si va da nessuna parte, e qualunque orizzonte rimane un miraggio. Il tutto condito da un po’ di fortuna, che non guasta mai in questi casi (aiuta gli audaci)”.

Nello specifico, poi, il professore abruzzese  rilevava che “sarebbe troppo facile dire che Sánchez ha vinto perché ha fatto tutto il contrario di quello che proponeva da noi il Pd a guida renziana: che infatti è sceso al minimo storico. In realtà nei governi Pd ci sono state diverse misure di orientamento progressista”. Ma su queste Felice era tranchant: “Erano timide, ambigue, accompagnate da messaggi e interventi di natura opposta. Le norme contro il capolarato, assieme all’abolizione dell’articolo 18. Una buona legge sulle unioni civili (cui manca solo l’adozione), ma scarso coraggio sulla cittadinanza ai figli di immigrati. Il reddito di inclusione partito tardi e male, a fronte dell’abolizione indiscriminata delle tasse sulla prima casa, anche per i più ricchi. Più soldi in tasca per i ceti medi, gli 80 euro; ma la proposta di un salario minimo legale arrivata solo nel gennaio 2018, quando ormai si era in campagna elettorale”. E poi “il tutto condito da una narrazione e perfino da atteggiamenti, quelli del leader e dei suoi collaboratori, lontani dalla tradizione della sinistra. Difettavano perfino di europeismo, strizzando l’occhio ai populisti, ignoravano una questione tanto importante qual è l’ambiente”.

Insomma Renzi “guardava al centro, in direzione opposta a quella di Sánchez. E del resto ancora oggi nel Pd alcuni preferiscono quella sponda, più che i socialisti e la sinistra europei”.

Infine, secondo Felice la vittoria di Sánchez doveva anche “insegnarci qualcosa anche sul piano della coerenza strategica. E forse perfino della tattica”. Ricordava infatti che “quando Sánchez divenne per la prima volta segretario del Psoe nel 2014, veniva considerato poco più che un ingenuo belloccio: messo lì per soddisfare il grande pubblico, che tanto poi c’era la solita nomenclatura a comandare”. Di acqua sotto i ponti, però, ne è passata: nel 2016 si dimise da deputato in polemica con i maggiorenti del partito che poi nelle primarie sfidò e sconfisse. “In questo senso, la sua traiettoria è davvero la nemesi di quella di Renzi – affermava senza tanti giri di parole – : lui era partito per rottamare, ha finito per allearsi con i cacicchi del Sud, o per candidare Casini a Bologna, mentre i giovani dirigenti più preparati (i migliori, spesso) venivano messi ai margini”.

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