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Ion di Pignataro si papperà pure Prelios presieduta da Palenzona, ecco come

E' Prelios degli americani di Davidson Kemper l'ultima preda del gruppo Ion con base in Irlanda dell'imprenditore e finanziere italiano Andrea Pignataro. Fatti, nomi, numeri e approfondimenti

 

Continua lo shopping compulsivo del gruppo Ion con base in Irlanda dell’imprenditore e finanziere italiano Pignataro (molto coccolato dal Sole 24 ore): dopo Cedacri, Cerved, il 9,8% di Illimity e un 2% nel capitale di Mps, ora è la volta di Prelios, uno dei principali gruppi attivi in Italia ed Europa nelle gestioni patrimoniali alternative e nei servizi immobiliari specialistici, con oltre 40 miliardi di asset gestiti, che fa capo al colosso americano Davidson Kemper Capital Management attraverso il veicolo Lavaredo che ha il 99,7% di Prelios, gruppo presieduto da Fabrizio Palenzona (nella foto).

Ma vediamo le ultime novità.

ION DI PIGNATARO SI PAPPA PURE PRELIOS PRESIEDUTA DA PALENZONA

“Nonostante le turbolenze del mercato e le nuove tensioni finanziarie legate all’aumento dei tassi, il gruppo Ion di Andrea Pignataro va avanti su Prelios e starebbe definendo gli ultimi dettagli di un finanziamento da circa 700 milioni, per poter arrivare alla firma del contratto. L’accordo per rilevare il 100% del gruppo tricolore specializzato nei crediti di cattiva qualità e nell’immobiliare, era stato firmato lo scorso dicembre con il fondo Usa Davidson Kempner (Dk), ma da allora tante cose sono cambiate. Ion non ha voluto rinegoziare al ribasso il prezzo stabilito nell’accordo preliminari – pari a circa 1,3 miliardi – preferendo invece rinegoziare le condizioni del finanziamento propedeutico all’operazione, dato il mutato contesto di mercato”, ha scritto oggi il Sole 24 ore.

Aggiunge il Sole: “Lo scorso dicembre, all’atto di firmare l’accordo preliminare Dk, Ion si era infatti impegnata a finanziare l’operazione con capitale proprio, pari a 650 milioni, e per la restante parte attraverso una linea di credito concessa dall’advisor Jp Morgan. Dopo il fallimento di Svb prima e quello di First Republic poi, il costo del debito è schizzato rendendo l’operazione con la banca d’affari americana troppo onerosa. Ion ha quindi negoziato con un pool di banche italiane e estere, nuove linee di credito, senza garanzie o covenant particolari, con una formula innovativa di prestito ponte, che a differenza dei soliti prestiti di questo tipo ha una durata lunga, e pari a 3 anni, prolungabili eventualmente di altri due anni fino a un massimo di 5 anni. Questa linea di credito darebbe a Prelios una maggiore flessibilità perché, una volta che l’emergenza sull’inflazione e quindi del costo del denaro, dovesse rientrare, l’azienda in qualunque momento potrà cogliere la finestra di mercato a lei più propizia per rifinanziarla a condizioni favorevoli. Nell’ambito dell’operazione è anche previsto che Ion reperisca un centinaio di milioni in più rispetto a quanto necessario, per dare al management di Prelios un margine di flessibilità finanziaria per gestire la fase di transizione. Salvo nuovi scossoni di mercato, l’operazione dovrebbe essere perfezionata entro l’estate, portando così l’esposizione di Ion sull’Italia verso quota 5 miliardi di investimenti”.

CHI FINANZIA ION DI PIGNATARO? I DUBBI DEL MESSAGGERO DI CALTAGIRONE

La galassia di società facenti capo a Pignataro al 90% è domiciliata all’estero, secondo una ricostruzione del Messaggero di Caltagirone: “Ion Investment è la holding capogruppo basata in Irlanda; controlla quattro subholding, anch’esse irlandesi, e da questa catena vengono gestite le partecipazioni. Ma sopra Ion ci sono alcune scatole (sarebbero non più di 5) con sedi alle Cayman, un paese a pieno titolo nella black list, che rappresentano il vero schermo che tiene al riparo da occhi indiscreti gli interessi del finanziere italiano. Di lui non si conoscono bilanci consolidati, strutture societarie organiche e ordinate, Proprio per questo la Bce non ha esitato a dare lo stop all’operazione Volterra: nemmeno Francoforte è riuscita a ricostruire ruoli e responsabilità nella catena societaria di Pignataro”.

Ecco gli altri dati snocciolati dal quotidiano romano: “Se gran parte del reticolo di attività resta al buio, il lavorìo di ricerca ha portato ad alcune evidenze. Per esempio le subholding sono in pegno alle banche italiane ed estere. A cominciare da Cedacri, società di servizi informatici per banche e finanziarie controllata dalla DGB Bidco Holdings Ltd (irlandese) che è in pegno a Kroll Trustees Services, JpMorgan, Uncredit, Goldman Sachs a fronte di linee di credito ricevute. Stesso copione per Kojima Ltd, socio al 58,5% di Macron, che vanta ricavi per 180 milioni, un Mol di 37,6 milioni, un utile di 23,6 milioni. Kojima è in garanzia a JpMorgan, Unicredit, Deutsche Bank, Goldman. Quanto a Cerved, il 100% è nei libri di Castor Bidco Holdings Ltd con diritto di pegno di Lucid Trustee Services Ltd, Lucid Agency Services Trustee, JpMorgan, Deutsche Bank, Goldman Sachs, Unicredit. Riguardo la parte italiana delle partecipazioni, la situazione appare più chiara, ma è ancora poco: Intesa Sp, Unicredit, Bpm, Credem sono i principali creditori. Secondo la Centrale rischi di Bankitalia, tra dicembre 2022 e gennaio 2023, un istituto italiano deve aver revocato fidi a scadenza: l’accordato è sceso da 242,9 a 203,4 milioni mentre l’utilizzato da 71 a 64,4 milioni. Sono queste ultime le uniche certezze su un impero quasi interamente estero che le Vigilanze bancarie hanno messo sotto osservazione”.

IL DOSSIER MILANOSESTO PER PRELIOS E NON SOLO

Insomma, indirettamente l’operazione Ion-Prelios fa tornare a parlare dell’ex Stalingrado d’Italia, o meglio l’area di Sesto San Giovanni dove nel 1906 sono sorte le acciaierie Falck. Infatti Prelios era molto coinvolta nel progetto. Negli scorsi giorni c’è stato l’accordo di massima sull’area di MilanoSesto. E’ stata firmata una lettera di intenti, non vincolante, che permetterà di dare inizio alla due diligence sull’operazione per definire la vendita del progetto da Hines e Prelios a Coima e Redo. Secondo indiscrezioni il controvalore deciso per l’area si attesterebbe su quei cento milioni di euro che costituivano la base dell’offerta lanciata a metà marzo.

La novità è che, secondo indiscrezioni raccolte dal Sole 24 Ore, verranno scorporati gli uffici del lotto Unione O, per una superficie di 50mila metri quadrati su un totale di 150mila mq, dove il colosso americano Hines con Prelios realizzerà entro il 2027 un complesso direzionale già affittato a Intesa Sanpaolo.

Se la due diligence, come si aspettano le parti in causa, darà esiti positivi, la firma definitiva dell’accordo dovrebbe essere prevista, sempre secondo indiscrezioni, attorno al 24 maggio, data in cui dovrebbe tenersi anche un Cda di Ca’ de Sass, che nell’operazione è il principale finanziatore. In quella sede, Intesa Sanpaolo, al pari delle altre banche finanziatrici (UniCredit, BancoBpm e Banca Ifis) dovrebbe esaminare il dossier per analizzare la posizione finanziaria e allungare il debito (si parla di altri tre anni), scaduto formalmente a fine gennaio.

Dunque si conferma in pieno l’ipotesi, anticipata dal Sole 24Ore lo scorso 15 marzo, dell’ingresso dei due nuovi soggetti e dello spacchettamento del progetto immobiliare.

MilanoSesto, il più grande progetto di rigenerazione urbana in Italia e uno dei più grandi a livello europeo, apre infatti al tandem Coima-Redo, che lo scorso 15 marzo ha lanciato l’offerta, subito formalmente respinta da Hines e Prelios, per rilevare il progetto che insiste sulle ex acciaierie Falck di Sesto San Giovanni, a nord di Milano.

IL PROGETTO E LE CORDATE IN CAMPO

Le ex Acciaierie di Sesto San Giovanni sono state dismesse nel 1996 e il progetto punta a riqualificare una maxi area di 1,4 milioni di metri quadri, secondo Edoardo De Biasi sul Corriere della Sera “il più grande piano di rinascita urbana d’Italia e uno fra i maggiori in Europa” con un impatto economico iniziale di circa 3 miliardi di euro oggi salito intorno ai 5 miliardi per Il Sole 24 Ore.

Il pool dei finanziatori vede – insieme alla capofila Intesa Sanpaolo – Unicredit, Banco Bpm e Banca Ifis e in totale ha aperto una linea di credito pari a circa 1 miliardo. Come sviluppatori si è fatto avanti inizialmente il fondo americano Hines, nato nel 1957, che è attivo in 25 Paesi e gestisce asset per più di 144 miliardi di dollari. In Italia è guidato dal 2016 da Mario Abbadessa.

Hines ha siglato una partnership industriale con Prelios, fra i più importanti gruppi in Italia nei servizi immobiliari e nella gestione dei crediti deteriorati – presieduto da Fabrizio Palenzona – e che ha pure una partnership con Ca de’ Sass.

Passato un po’ di tempo, però, è arrivata una nuova cordata Coima-Redo, composta dalla società protagonista dello sviluppo del quartiere Porta Nuova e dal fondo promosso da Fondazione Cariplo e partecipato da Cassa Depositi e Prestiti.

Assai piccata la risposta della prima cordata che in una nota congiunta ha specificato che il progetto MilanoSesto non è in vendita. “Stupisce – si legge nel comunicato – che sia pervenuta un’offerta senza alcuna base seria meritevole di approfondimento e senza alcuna possibilità di trovare un riscontro se non nel fermo diniego”.

LE SVALUTAZIONI

A fine gennaio sono scaduti i finanziamenti avviati nel 2019, pari a circa 1 miliardo, come si diceva. In particolare Intesa Sanpaolo ha tirato fuori circa 900 milioni, di cui 300 già svalutati, da una cifra iniziale di fine 2018 pari a 680 milioni. A Ca’ de Sass il dossier è seguito da Raffaello Ruggieri, classe 1970, chief lending officer da gennaio 2020 ma nel gruppo dal 1999. Per quanto riguarda il resto del pool Unicredit ci ha messo circa 70 milioni, Banco Bpm circa 50 milioni e Ifis circa 10.

IL “MALESSERE” DI INTESA SANPAOLO

La questione però potrebbe comprendere anche altri aspetti e, come hanno riportato nelle scorse settimana sia Il Sole sia Il Corriere, circolavano indiscrezioni sul fatto che i rapporti fra Hines-Prelios e Intesa Sanpaolo si fossero complicati.

In particolare, secondo quanto evidenziato, chi vorrebbe rimettere in discussione l’impianto del progetto punterebbe a sviluppare aree dedicate all’housing sociale e alla costruzione di studentati, con un parco urbano di 45 ettari, “secondo una logica di welfare abitativo – ha scritto settimane fa il quotidiano confindustriale – che intende rispondere anche alla mancanza (sinora) di un’adeguata offerta residenziale accessibile per i redditi medi e medio-bassi, in una città in cui i prezzi medi, al metro quadrato, hanno superato i 5mila euro e i canoni di locazione, di fatto, escludono dalla fascia metropolitana un numero sempre maggiore di abitanti”.

 

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