Qualche settimana fa Start Magazine aveva riportato l’indiscrezione secondo la quale Elon Musk con la sua Tesla fosse finalmente riuscito a fare breccia in India. Quello indiano è un mercato che – i costruttori d’auto occidentali ben lo sanno – il governo centrale di Narendra Modi ha blindato a doppia mandata, con dazi doganali anche superiori al 60% per le auto con un prezzo inferiore ai 40.000 dollari e del 100% per le auto sopra questa cifra utilizzata come spartiacque.
TESLA ACCELERA SULL’INDIA
Secondo indiscrezioni dell’agenzia di stampa Reuters, già bersaglio nelle ultime ore degli strali di Musk via X, Elon Musk avrebbe intenzione di arrivare all’accordo con Modi con una flotta di auto elettriche già pronta per essere consegnata nel subcontinente indiano. Ma andiamo con ordine.
GLI ACCORDI CON MODI
Modi, sull’esempio cinese, finora ha chiuso lo sterminato mercato indiano (in rapida crescita, con oltre 1,4miliardi di cittadini e una economia in via di sviluppo ma, al contrario della Cina, ancora senza marchi autoctoni sufficientemente forti ) agli importatori occidentali chiedendo loro di stabilire i propri impianti sul suolo nazionale, così da avvalersi della manodopera locale e portare lavoro e ricchezza.
Per lungo tempo Musk e Modi hanno battagliato proprio su questo, con l’imprenditore sudafricano che avrebbe preferito vedere prima come vanno le Tesla sul mercato indiano e poi, nel caso, impiantarvi qualche gigafactory.
IL MERCATO CINESE È SATURO (DI RIVALI CINESI)
Ora, la rapida chiusura del mercato cinese – ormai saldamente nelle mani dei marchi autoctoni – e la baldanza delle Case di Pechino, Shenzen e compagnia bella sembrano aver suggerito a Musk di tuffarsi quanto prima nell’ultimo grande mercato ancora vergine: l’India, appunto.
Dall’altro lato Modi, sotto elezioni e con l’intenzione di accelerare la transizione ecologica per agguantare il vicino di casa cinese, starebbe mettendo mano alle misure protezionistiche così da allentarle per attrarre capitali, imprenditori e know-how occidentali.
GLI INVESTIMENTI TESLA IN INDIA
E a quanto è dato sapere il patron di Tesla avrebbe già promesso a Modi, in cambio di un allentamento di un quinquennio, di investire in India almeno 500milioni di dollari (il piano complessivo ammonterebbe in realtà a 2miliardi) in infrastrutture per la ricarica e in un impianto che potrebbe sorgere, secondo il Financial Times, negli stati del Maharashtra, del Gujarat o del Tamil Nadu.
LE PRIME AUTO ELETTRICHE SARANNO FATTE IN EUROPA?
L’accordo tra Musk e Modi dovrebbe prevedere insomma soldi in cambio delle chiavi di casa di Modi: ma qui germina l’indiscrezione di Reuters, secondo la quale, portando avanti una politica industriale aggressiva e forse pure un po’ sfacciata il patron di Tesla intenderebbe arrivare a quell’appuntamento con diverse auto elettriche appena sfornate da vendere in India. Del resto la deroga durerà appena un lustro. Non Tesla made in India per l’India, come da accordi con Modi, ma Tesla made in Berlin.
Infatti, secondo Reuters nell’ultimo periodo nella gigafactory di Brandenburg alle porte della capitale tedesca si starebbero assemblando Tesla con guida a destra destinate non al Regno Unito bensì all’India. È peraltro interessante notare come Musk abbia scelto la strada “più lontana”, evitando di sfruttare lo stabilimento di Shanghai. E non c’entra solo la possibilità di sfruttare comunque a pieno regime un impianto, quello di Berlino, che altrimenti visto il calo della domanda dovrebbe probabilmente rallentare.
LE TENSIONI TRA INDIA E CINA PREOCCUPANO MUSK?
Nell’ultimo periodo, infatti, sulle vette dell’Himalaya si sono intensificate le scaramucce fra indiani e cinesi, riaccese per via di mai sopite beghe su confini contesi e, dicono gli osservatori, dal lavorio carsico degli statunitensi che starebbero fomentando Delhi affinché s’imponga come rivale all’egemonia di Pechino in Asia in virtù dell’antico detto secondo cui il nemico del tuo nemico è un possibile alleato.
In un mercato dell’auto sempre più globalizzato gli imprenditori devono del resto imparare a sentire arrivare per tempo i conflitti, se non vogliono finire come Stellantis e Renault, la cui rocambolesca e maldestra fuga dalla Russia a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca è costata cara a entrambi i marchi occidentali.