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Greensill Capital

Greensill Capital, Crédit Suisse e David Cameron

Il corsivo di Teo Dalavecuras.

 

Greensill Capital è costata molti soldi ad alcuni clienti del Crédit Suisse, un pezzo di reputazione alla banca e (col contributo anche di altri recenti “infortuni”) un terzo della capitalizzazione ai suoi azionisti. Ma nessuna moneta ha una sola faccia: all’ex primo ministro britannico David Cameron Greensill ha reso sette milioni di sterline (ovvero 10 milioni di dollari) in emolumenti e stock option, nel suo ruolo di “consulente” della società finanziaria fallita nel marzo di quest’anno, compensi che Cameron ha sì definito “generosi”, senza tuttavia indicarne l’ammontare, nemmeno nel corso di un’audizione parlamentare.

Finché non ci ha pensato, come usa di questi tempi, il mondo dei media – in questo caso la sigla più prestigiosa in assoluto, BBC – a far volare gli stracci. Ciò che ha consentito a The Spectator di distillare, con la maestria che viene da una pratica più che secolare, alcuni velenosi editoriali.

Niente di illegale, si affretta a puntualizzare il periodico, perché, almeno nel Regno Unito, la legge è ancora la legge e né la sua benefattrice Greensill né lo stesso Cameron ne hanno violato alcuna per quanto riguarda l’arruolamento dell’ex primo ministro e la retribuzione dei suoi servizi (sostanzialmente la faccia dello stesso Cameron che a questo punto, c’è da temere, sarà alquanto svalutata nel mercato delle consulenze eccellenti, o eccellenze consulenti che dir si voglia).

I commenti del periodico lasciano emergere, con acribia documentale, un rapporto minimizzatore col denaro e con la ricchezza, da parte dell’ex primo ministro, che a una domanda sul suo patrimonio, anni fa, aveva risposto: “Beh, ho una casa, una casa carina, vicino a Ladbroke Grove. Abbiamo una casa nel collegio elettorale, su cui grava un’ipoteca non indifferente, entrambi guadagniamo buoni stipendi, insomma siamo una famiglia che se la cava bene”. In un’altra intervista dichiarava che sua moglie Samantha possedeva “un campo” a Scunthorpe. “Il suo modo”, fa notare l’autore dell’articolo, per dire che Samantha era comproprietaria di seimila acri (tremilaseicento ettari) nel Lincolnshire, attorno alla casa di famiglia. Dati questi precedenti, si può dire che anche i dieci milioni di dollari ignorati durante l’audizione parlamentare “dimostrano solo coerenza con le precedenti manifestazioni di signorile disdegno per cose grossolane come il denaro. È una caratteristica dell’ambiente di Cameron”. Non significa modestia, ma il suo contrario. Lascia intendere che “ne hai talmente tanta di roba che non hai nessun bisogno di preoccupartene”.

L’autore del pezzo, James Kirkup, conclude così: “Quanto a noi, gente modesta, possiamo solo pesarli con la fantasia questi 10 milioni di dollari e chiederci come potrebbe essere diverso il nostro Paese oggi se David Cameron avesse mostrato, da primo ministro, la stessa energia e lo stesso impegno applicato per mettere le mani sudaticce su un’altra montagna di soldi”.

In un successivo articolo Stephen Daisley si chiede che cosa si può fare per tener lontani dagli uffici pubblici opportunisti come Cameron, ma non insiste sul bottino dei 10 milioni di dollari; fornisce, invece, un lungo elenco dei danni inferti dalla sua politica agli interessi del Regno Unito e avverte i fautori del Brexit, magari indotti a dargli credito per l’indizione del referendum del 2016, che questa scelta non fu il prodotto di fedeltà al principio democratico ma conseguenza di “inettitudine strategica”. Sicuro che il Leave non potesse vincere, “quando invece proprio questo accadde Cameron tagliò la corda da Downing Street lasciando ad altri il compito di sistemare il casino che aveva combinato”. Quindi, dopo un rapido elenco dei premier “forniti” da Eton alla Gran Bretagna negli ultimi cent’anni (Eden, Macmillan, Douglas-Home, Cameron e Johnson) Daisley conclude che, anche a costo di qualche ingiustizia, è meglio stabilire che d’ora in poi nessun anziano di Eton possa accedere alla carica di primo ministro.

Certo, il sarcasmo, le critiche senza riguardi che The Spectator riserva a un ex primo ministro in Italia non li rischia nessuno, perché noialtri sappiamo intenerirci per le vicende personali degli uomini pubblici e loro parenti stretti e non vogliamo girare i coltelli nelle piaghe (basta pensare alla distratta indifferenza con cui i nostri giornali hanno registrato gli intoppi organizzativi che, come per una maledizione divina, si accaniscono ultimamente sul Tribunale di Tempio Pausania). Questo nostro intenerirci per i sentimenti privati degli uomini pubblici è quello che, per esempio, spiega anche perché nessuno abbia mai chiesto a Giuseppe Conte come gli sia venuta la brillante idea di affidare il ruolo di commissario straordinario per il Covid a Domenico Arcuri, un signore, pur amico suo, che però avrebbe contemporaneamente dovuto seguitare a gestire nientemeno che “Invitalia-Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa”, quasi che per il compito di organizzare la difesa dalla pandemia in tutti i suoi aspetti bastasse un part-time.

Sono domande che non si fanno. Da noi o si parla del peccato, o del peccatore, ma di tutt’e due insieme mai: sarebbe totalmente indelicato.

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