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Google manipola le aste pubblicitarie? Cosa dicono a sorpresa i manager di Big G

Tra le accuse mosse a Google nel processo in corso negli Stati Uniti per violazione delle norme antitrust c'è il modo in cui il colosso regola il prezzo che i suoi inserzionisti devono pagare per apparire nei risultati di ricerca. Ecco cosa hanno dichiarato alcuni dei suoi manager

 

In quello che è considerato il processo antitrust del secolo, che vede come protagonista Google, il gigante di Mountain View è chiamato a rispondere di varie accuse – mosse dal governo statunitense – per abuso di posizione dominante. Quattro in particolare: monopolio nella ricerca online; pagamenti record ad Apple per essere il motore di ricerca predefinito sul suo browser Safari; strategia mirata per escludere Bing di Microsoft dalla concorrenza; e metodi illeciti per aumentare i prezzi delle inserzioni pubblicate sulla sua piattaforma dai privati.

Proprio su quest’ultimo punto, durante il processo, sono emerse testimonianze da parte di alcuni dipendenti di Big G, citate nel documento finale stilato dal dipartimento di Giustizia Usa e riportate da Search Engine Land.

Nel 2023, dei 237,85 miliardi di dollari totali di ricavi pubblicitari, 175,03 miliardi di dollari provengono dalla ricerca su Google attraverso AdWords,  il programma pubblicitario online di Google.

Fonte: FourWeekMBA

LE ASTE PUBBLICITARIE (SECONDO GOOGLE)

La search advertising consiste nella pubblicità che si visualizza nei motori di ricerca come Google e nelle campagne di search advertising l’inserzionista paga una determinata quota per inserire un collegamento al proprio sito. Come ricorda il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, un’azienda è accusabile di monopolio se è in grado di fissare i prezzi senza preoccuparsi dell’impatto che questi hanno sulla propria attività e Google, secondo il dipartimento, “può aumentare i prezzi dal 10% al 15% senza alcuna minaccia per i suoi profitti”. Con evidenti benefici per le proprie entrate.

Inoltre, in un monopolio non si è tenuti a considerare i prezzi degli annunci dei rivali e Google, da testimonianze e documenti interni, risulta non averlo fatto.

Per questi motivi, il dipartimento ha definito tale potere come “il potere di controllare i prezzi o di escludere la concorrenza”.

I TRUCCHETTI PER AUMENTARE I PREZZI (E INCREMENTARE LE ENTRATE)

Tra le varie testimonianze circa l’aumento dei prezzi delle inserzioni per incrementare i guadagni dell’azienda, Adam Juda, VP Product Management, ha dichiarato: “Non lo descriverei come un aumento dei prezzi, ma piuttosto come una proposta di prezzi migliori o più equi, in cui i nuovi prezzi sono più alti di quelli precedenti”.

Hal Varian, Chief Economist, invece, ha indicato che Google aveva “molte leve” da utilizzare per modificare il design dell’asta pubblicitaria in modo da ottenere il risultato desiderato, come cambiare l’algoritmo che regola l’asta.

Juda e Jerry Dischler, VP e General Manager di Google Ads, hanno anche dichiarato che Google dispone di “manopole” o “sintonizzazioni” di prezzo che può utilizzare per influenzare i prezzi degli annunci di ricerca dal 5% al 15%.

Come mostra la slide del dipartimento di Giustizia, i Cpc – ovvero il costo per ogni clic ottenuto da un annuncio – degli annunci di Google Search sono più che raddoppiati tra il 2013 e il 2020.

CHI CI RIMETTE SONO (ANCHE) GLI INSERZIONISTI

Questo potere di aumentare i prezzi, per Google, fa parte delle normali pratiche di “regolazione”, mentre per il dipartimento si tratta di “manipolazione” e il danno ricade sugli inserzionisti. In particolare a causa di tre pratiche: il format pricing, lo squashing e l’Rgsp (Randomized Generalized Second-Price, ovvero il “secondo prezzo generalizzato randomizzato”).

Per quanto riguarda il format pricing, Search Engine Land spiega che secondo Google gli inserzionisti non pagano mai più della loro offerta massima. Tuttavia, l’azienda non ha menzionato il “Progetto Momiji”, lanciato in sordina nel 2017 e attraverso cui “gonfia artificialmente l’offerta fatta dal secondo classificato”. Il risultato è, quindi, “un aumento del 15% per l’inserzionista ‘vincitore’ e più entrate pubblicitarie per Google”.

Con lo squashing, invece, Google aumenta il prezzo contro il miglior offerente, in modo da creare un aumento di prezzo più ampio, e il vincitore dell’asta paga di più. Questo, secondo il dipartimento, ha portato a una “esperienza negativa per l’utente” in quanto Google ha classificato gli annunci “in modo non ottimale in cambio di maggiori entrate”.

Infine, l’Rgsp, introdotto nel 2019, ma che secondo Google non ha portato a una migliore qualità, è una “manopola” che permette di “aumentare i prezzi con piccoli incrementi nel tempo”. Il risultato era incentivare gli inserzionisti a fare offerte più alte e, non a caso, osserva Search Engine Land, le entrate di Big G sono aumentate del 10%.

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