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Bollette

Che cosa cambierà nei rapporti economici fra Germania e Cina

Il governo tedesco vuole evitare di ripetere con la Cina gli errori di dipendenza commerciale commessi con la Russia. Seconda parte dell'approfondimento di Pierluigi Mennitti sulle relazioni Germania-Cina.

 

Dopo l’attacco della Russia all’Ucraina, sono parecchi i campanelli d’allarme risuonati nel quadrilatero del potere politico berlinese. Lo stretto rapporto con la Cina, primo partner commerciale di Berlino (246,1 miliardi secondo i dati del 2021) davanti a Paesi Bassi e Stati Uniti, può determinare dipendenze in alcuni settori chiave come quello delle materie prime legate alla transizione ecologica e della mobilità, come accaduto con l’energia per la Russia. Il quadro internazionale non gioca più a favore e il perimetro di libera uscita di cui la Germania ha goduto dopo il 1989 si è ristretto. A Berlino ci si starà pur chiedendo chi abbia fatto saltare i tubi dei Nord Stream, tagliando forse per sempre il cordone ombelicale russo-tedesco.

LA LEZIONE RUSSA RIFLESSA SULLA CINA

Ecco: cosa accadrebbe se il regime comunista di Pechino attaccasse Taiwan? Le aziende tedesche rischierebbero di essere sottoposte al rullo compressore delle sanzioni, con conseguenze ben più pesanti di quel che è accaduto con Mosca. Date le 5.000 imprese tedesche presenti in Cina, tra cui giganti come Volkswagen, la domanda è se la superpotenza asiatica sia già diventata troppo importante per la Germania.

A livello politico, qualche timido riposizionamento c’è stato. Fino allo scoppio della pandemia, Angela Merkel si era recata nel Regno di Mezzo accompagnata da robuste delegazioni d’imprenditori quasi una volta all’anno. Un pendolarismo che costituiva un chiaro segnale di dove mirasse l’Ostpolitik merkeliana, sostenuta dal Comitato per l’Asia e il Pacifico dell’imprenditoria tedesca che auspicava una sempre più stretta cooperazione fra Berlino e Pechino all’ombra delle suggestioni lungo la Via della Seta.

Qualche primo raffreddamento c’era stato con l’insediamento del presidente Xi Jinping e con il suo corso più aggressivo in politica interna ed estera: già sotto la Merkel si era assistito a un graduale raffreddamento degli entusiasmi, con un monitoraggio sempre più attento da parte di Berlino su acquisizioni e investimenti cinesi in Germania.

IL CAMBIO DI ROTTA CON I VERDI AL GOVERNO

Ma è con l’ingresso dei Verdi nel nuovo governo Semaforo (dal colore dei tre partiti che lo compongono) che la musica verso Pechino cambia. Le violazioni dei diritti umani in Cina sono passate in primo piano rispetto agli interessi economici. Il ministero dell’Economia ha già sparato un colpo di avvertimento alle aziende quando ha respinto quattro richieste di Volkswagen per estendere le garanzie sugli investimenti statali nella provincia cinese di Xianjing, citando la persecuzione della minoranza musulmana degli Uiguri. Con un gioco di squadra, la ministra degli Esteri Annalena Baerbock non ha usato giri di parole in un incontro con gli imprenditori: “Non possiamo permetterci, e credo che nemmeno voi possiate permettervi, il principio di agire ancora una volta solo secondo il credo business first, senza tenere conto dei rischi e delle dipendenze a lungo termine”.

MORAL SUASION DI HABECK E BAERBOCK

Secondo informazioni rilanciate da Reuters, da settimane il ministero dell’Economia sta esaminando in via confidenziale tutta una serie di misure per convincere le aziende a rivolgersi ad altri Stati asiatici invece che alla Cina. Si stanno valutando, ad esempio, investimenti statali e garanzie sulle esportazioni, ha scritto l’agenzia.

La KfW, la banca statale di investimenti equivalente dell’italiana Cassa depositi e prestiti, sta inoltre valutando la possibilità di ridurre il suo programma per la Cina e di offrire alle imprese più prestiti per attività in altri Paesi asiatici, come l’Indonesia. Anche i programmi più piccoli, come la promozione delle fiere o la formazione dei manager con la Cina, vengono rivisti. Risultano indicazioni informali da parte del ministero di Habeck alle aziende che alcuni eventi con la Cina non sono più desiderati. Secondo fonti governative, il governo tedesco punta a imporre la reciprocità nei confronti della Cina, una richiesta avanzata peraltro da anni proprio dalla comunità imprenditoriale: stesse condizioni per le aziende straniere in Cina e per le aziende cinesi nell’Unione Europea.

La linea dura nei confronti della Cina, oggi sposata anche dai socialdemocratici di Scholz, gode di un sostegno trasversale nel Bundestag. “La crescente dipendenza di settori strategicamente importanti dell’economia tedesca dal mercato cinese non è un problema delle imprese private. In caso di conflitto, la Cina può usare questa dipendenza come un’arma contro di noi”, ha detto di recente Norbert Röttgen, esperto di politica estera della Cdu.

Lo stesso cancelliere ha lanciato un segnale di rottura, decidendo di compiere in Giappone e non in Cina il suo primo viaggio all’estero in Asia a maggio e offrendo a Tokio il piatto forte dei rapporti diplomatici tedeschi, le consultazioni tra i governi (Regierungskonsultationen) che partiranno dal prossimo anno.

IMPRENDITORI ALLA RICERCA DI MERCATI PIÙ SICURI

Ma qualcosa si muove anche sul fronte imprenditoriale. Secondo un rapporto dell’Istituto di ricerca economica Ifo, il 45% delle aziende tedesche legate ai rifornimenti cinesi vorrebbe ridurre la propria dipendenza e affidarsi ad altri mercati più sicuri. Lo stesso vorrebbero fare i venditori all’ingrosso (44%) e quelli al dettaglio (55%). Tra le motivazioni: voglia di diversificare, aumentati costi del trasporto, insicurezza politica. Le strozzature nelle catene di approvvigionamento subite con l’inizio della pandemia e aggravate dalla politica “zero Covid” del governo cinese hanno aperto gli occhi sull’azzardo di legare i propri destini a quelli di Pechino. La guerra russa in Ucraina ha poi risvegliato l’attenzione degli imprenditori tedeschi per i rischi geopolitici.

Sul tavolo del governo è piombato qualche mese fa un rapporto dell’Accademia federale per la sicurezza politica che metteva in guardia sulla dipendenza cinese per le materie prime. Il consiglio: il tema deve diventare una componente decisiva della nuova politica di sicurezza nazionale.

(2.fine; la prima puntata si può leggere qui)

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