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Grano

Geopolitica del grano: cosa cambierà con la guerra tra Russia e Ucraina

Il blocco del grano non solo ne fa lievitare il prezzo ma rischia di provocare forti proteste in tutto il mondo. Ecco in quali Paesi una rivolta del pane potrebbe essere dietro l’angolo

 

Il perdurare della guerra in Ucraina, le sanzioni alla Russia e il blocco delle importazioni di grano potrebbero far esplodere o esasperare situazioni già a rischio non solo nei Paesi vicini al conflitto ma anche in altri molto più lontani fortemente dipendenti dalle esportazioni. È il cosiddetto “effetto farfalla”, come ricordato anche dal fondatore di Slow Food, Carlo Petrini.

LA REAZIONE PROTEZIONISTA DI MOSCA E NON SOLO

Per evitare carenze e arginare il drastico aumento del prezzo del grano, la Russia ha deciso di limitarne l’export verso i Paesi dell’Unione economica eurasiatica, tra cui ci sono anche diverse ex Repubbliche sovietiche. A riferirlo è Reuters che riporta il servizio stampa del governo russo.

L’Unione comprende Russia, Kazakistan, Bielorussia, Armenia e Kirghizistan. La decisione di limitare le esportazioni di materie prime, come nel caso della Russia, è stata presa anche da altri.

La Russia, stando a Reuters, ha ancora da 6 milioni a 6,5 milioni di tonnellate di grano da esportare fino al 30 giugno.

LE CONSEGUENZE AL CHICAGO BOARD OF TRADE

Intanto, fa sapere Agi, i future americani sul grano sono in rialzo, sostenuti dalle preoccupazioni per il raccolto negli Stati Uniti a seguito della forte siccità in corso e dal blocco temporaneo delle esportazioni di cereali decretato da Mosca.

Il contratto sul grano al Chicago Board of Trade, punto di riferimento mondiale del commercio delle materie prime agricole, è aumentato dell’1,4% a 10,94 dollari per staio (+2,3%) dopo essere sceso del 15% nelle ultime quattro sessioni.

IL PESO DELL’EXPORT RUSSO E UCRAINO

Russia e Ucraina insieme rappresentano quasi un quarto delle esportazioni mondiali di grano. Oltre al grano sono anche grandi esportatori di mais, orzo e altri cereali su cui si basa gran parte del mondo per produrre cibo. Il grano da solo, si legge su The Conversation, rappresenta circa il 20% del consumo calorico umano.

Grafico via Al Jazeera

CHI NE COMPRA DI PIÙ

Tra i maggiori importatori di grano al mondo ci sono Egitto, Algeria e Nigeria, una delle nazioni più povere del mondo. A loro si aggiungono Indonesia, Turchia e Filippine. L’Italia ne importa in totale il 64% del suo fabbisogno.

Grafico via Al Jazeera

BOMBE A OROLOGERIA

Se qui da noi solo la minaccia di una crisi alimentare ha già portato in alcuni casi a vedere scaffali vuoti nei supermercati, in Sudan, fa sapere Euronews, migliaia di persone sono scese per strada a protestare contro il rapido deterioramento delle condizioni di vita, dovuto anche a un “forte aumento del prezzo del pane, principale alimento per la popolazione locale, il cui prezzo al 13 marzo era già schizzato a +40%”.

Il razionamento della farina, scrive l’Ispi, è già in corso in diverse parti del Medio Oriente e del Nordafrica.

“I prezzi del cibo, del carburante e dei fertilizzanti sono alle stelle – ha detto il segretario generale Onu, Antonio Guterres – Le catene di approvvigionamento sono state interrotte. E i costi e i ritardi nel trasporto delle merci importate ancora disponibili, sono a livelli record. Tutto questo sta colpendo duramente i più poveri e piantando i semi per l’instabilità politica e disordini in tutto il mondo”.

EFFETTO FARFALLA

“Può il conflitto scoppiato in Ucraina causare una nuova rivolta del pane in Egitto? Ahimè sì, ci sono le condizioni affinché ciò avvenga”. È l’avvertimento di Petrini su La Stampa.

“Un mondo profondamente interconnesso, – ha ricordato – ci riporta a fare i conti con le implicazioni negative del cosiddetto ‘effetto farfalla’. Ecco allora che le conseguenze di un evento drammatico circoscritto a una specifica area geografica, si possono manifestare in modi a volte anche inaspettati in aree del pianeta molto lontane; ponendo le basi per crisi gravi e durature”.

Come ha scritto Petrini, “conflitti e fame sono fenomeni intimamente connessi, al verificarsi di uno l’altro segue quasi naturalmente”.

YEMEN

Ma quello del Sudan non è un caso isolato. Petrini ha portato molti altri esempi di Paesi che senza il grano russo e ucraino si trovano in una situazione che può esplodere da un momento all’altro.

“Lo Yemen ad esempio – si legge nell’articolo – importa il 90% del cibo, di cui il 50% del grano da Russia e Ucraina. Per un Paese dove oltre metà della popolazione (15 milioni di individui) vive già in condizioni di insicurezza alimentare, la guerra rappresenta il peggioramento di una situazione già tragica”.

EGITTO

“L’Egitto, una volta grande produttore di grano grazie alle fertilità del Nilo, a causa dell’urbanizzazione e desertificazione, acquista l’80% di questo prodotto dall’Ucraina – ha spiegato Petrini -. E in un territorio dove il pane è sempre stato un bene politicamente controverso (nonché sussidiato), si teme che l’innalzamento nei prezzi della materia prima crei instabilità economica e insurrezioni da parte della popolazione”.

Come ha sottolineato Global News, l’Egitto è una nazione di oltre 100 milioni di persone, che spende 4 miliardi di dollari all’anno per importare cibo. Inoltre, lo stesso Egitto esporta poi il grano in Somalia, dove è in corso la peggiore siccità degli ultimi decenni.

MAROCCO

Anche in Marocco l’emergenza climatica sta causando la peggiore siccità degli ultimi 30 anni e, secondo Petrini, nel medio termine il Paese “sarà costretto a far arrivare dall’estero molti cereali, fronteggiando costi più alti di quelli auspicati a causa del conflitto”.

KENYA E AFRICA ORIENTALE

In Kenya, invece, il governo è in allarme per il prezzo dei fertilizzanti, altro bene largamente esportato dalla Russia.

La sola Africa orientale, che soddisfa la maggior parte della sua domanda di grano attraverso le importazioni – ricorda Quartz -, ottiene il 90% del suo grano importato da Russia e Ucraina.

TURCHIA

La Turchia, scrive Al Jazeera, nel 2019 ha acquistato da entrambi i Paesi il 74% del grano importato per un valore di 1,6 miliardi di dollari e per il raccolto 2021-22 è stato il più grande acquirente di grano russo, comprandone 4,5 milioni di tonnellate metriche al 30 dicembre 2021.

I RISCHI PER L’EUROPA

Anche l’Europa dovrà fare i conti col blocco del grano sia da un punto di vista economico che alimentare. “L’Ucraina è infatti il quarto fornitore di cibo dell’Unione, mentre la Russia ci fornisce il 40% del gas utilizzato per il riscaldamento delle serre dove coltiviamo più della metà degli ortaggi che consumiamo – ricorda Petrini -. Un aumento nei prezzi del gas, può comportare non solo un aumento del prezzo del cibo, ma anche un fallimento di alcune aziende agricole, e dunque una diminuzione dell’offerta”.

PREVISIONI

“Gli impatti immediati – ha detto l’ucraino Tymofiy Mylovanov, ex ministro dello Sviluppo economico, del commercio e dell’agricoltura – si sentiranno in Medio Oriente, Africa e Sud-Est asiatico”.

Come ha scritto su Start Sonal Desai, chief investment officer di Franklin Templeton Fixed Income, “i problemi per le stagioni della semina e del raccolto, aggravati da problemi di manodopera e trasporti provocati dal conflitto, possono avere un impatto sui mercati globali per queste materie prime agricole per i prossimi 2-3 anni, e portare a prezzi dei prodotti per la nutrizione elevati per il prossimo futuro”.

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