La crisi economica da pandemia influenzerà sempre l’Italia (e non solo l’Italia) ma i signori della finanza trovano il tempo e la voglia di farsi la guerra.
Tutti, ovviamente, vogliono difendere l’Italia e l’italianità del colosso Assicurazioni Generali, anche quando le munizioni partono dal Lussemburgo.
Infatti la holding Delfin – alla testa del gruppo di Leonardo Del Vecchio – ha sede proprio in Lussemburgo.
Lunedì 1 giugno Delfin ha confermato che il 29 maggio scorso – come svelato ieri da Repubblica – è stata depositata in Banca d’Italia l’istanza per l’autorizzazione a incrementare la partecipazione detenuta da Delfin e da Del Vecchio, in via diretta ed indiretta, in Mediobanca al di sopra della soglia del 10% del capitale sociale e fino all’ulteriore soglia autorizzativa del 20%.
La società del patron di Luxottica ricorda che il procedimento autorizzativo, salvo sospensione, ha una durata massima di 60 giorni lavorativi dalla data dell’avviso di ricevimento della notifica da parte della Banca d’Italia.
La notizia ha provocato un’impennata a Piazza Affari del titolo di piazzetta Cuccia (+8%): la banca d’affari milanese è il primo socio di Generali.
Il piano di Del Vecchio? “Proteggere e rafforzare il sistema Italia”, strilla oggi in un titolone il Corriere della Sera di Urbano Cairo (primo azionista di Rca), per nulla critico verso le mosse del patron di Luxottica.
L’idea di fondo di Del Vecchio – scrive il Corsera – è “realizzare un investimento che consegni alla banca un nuovo nucleo di azionariato, come da sempre Piazzetta Cuccia lo ha avuto con il patto di sindacato tra i suoi soci più importanti, appartenenti alle famiglie storiche del capitalismo italiano. La differenza sarebbe che Del Vecchio, che ha un patrimonio di 20 miliardi di euro, gode di una forza finanziaria enorme e non avrebbe bisogno di appoggiarsi alla banca di cui sarebbe socio di riferimento. Niente dunque riproposizioni di salotti passati”.
Tutto liscio dunque per Del Vecchio in Mediobanca e Generali? Mica tanto, secondo Repubblica: “La Bce in passato non è mai stata incline a dare troppo potere agli imprenditori, richiedendo stringenti requisiti di onorabilità e solidità finanziaria, e ora potrebbe chiedere a Del Vecchio se intende essere un azionista attivo o silente: in proposito l’imprenditore aveva parlato di una partecipazione «finanziaria»”.
Il quotidiano edito da Exor (primo azionista di Fca) offre ampio spazio alle tesi dei vertici di Mediobanca inviperiti per l’ascesa di Del Vecchio: «Questa non è un’operazione di mercato, ma un progetto vintage che ci riporta indietro di un trentennio, quando le tre Banche di interesse nazionale avevano il 25% del nostro istituto», è il giudizio della banca d’affari guidata dall’amministratore delegato Alberto Nagel come lo riporta Repubblica.
Come mai Nagel mette l’elmetto contro Del Vecchio? Ecco l’arringa di Repubblica a difesa del numero uno di Piazzetta Cuccia: “L’istituto per decenni è stato camera di compensazione del potere industriale e finanziario italiano, da quando Nagel è diventato amministratore delegato nel 2008 si è impegnato a imboccare una strada diversa: meno partecipazioni da “salotto buono”, lasciando solo la quota del 13,2% in Generali e quella del 6,2% in Rcs, e più gestione industriale; meno intrecci con i soci e più operazioni di mercato; meno “patti di sindacato” (quello che governava piazzetta Cuccia si è dissolto due anni fa) e l’aspirazione di essere una “public company” all’italiana, dove i manager gestiscono e i soci li votano o meno a seconda dei risultati. Adesso, invece, con un signore di 85 anni dal gloriosissimo passato e presente industriale, ma senza un grande visione finanziaria, che potrebbe arrivare al 20% dell’istituto – spiegano in Mediobanca – ci si troverebbe in un caso forse unico in Europa: «Quello di una banca che ha come azionista di maggioranza un industriale che non l’ha fondata». Se non è un film dell’orrore finanziario, per Mediobanca è almeno un film assai strano, con una trama inspiegabile”.
Ma il vero nodo del contendere non è Mediobanca bensì Assicurazioni Generali (primo azionista del gruppo assicurativo è Mediobanca con il 12,86%). Il Leone di Trieste è una delle poche multinazionali italiane, con 70 miliardi di premi ed è operativa in 50 Stati. E ha un asset sottolineato in queste settimane dal Copasir: il colosso assicurativo ha attivi gestiti per 630 miliardi ed è fra i principali detentori di titoli di Stato con circa 60 miliardi di Btp stabili in portafoglio, ha ricordato di recente l’amministratore delegato di Generali, Philippe Donnet.
Le reazioni del centrodestra (finora solo Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno espresso critiche sulle mosse di Del Vecchio) e quelle del Copasir (il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) sono emblematiche.
Ha detto il presidente del Copasir, Raffaele Volpi: “Riteniamo che, oggi in particolare, il Sistema Paese abbia la necessità di non vedersi depauperato di capisaldi strategici in favore di attori che proseguono interessi diversi da quelli nazionali”.
Ovvero: restino in Italia banche e assicurazioni. Ovverossia: Generali resti italiana. Dunque: Assicurazioni Generali non entri nell’orbita del colosso francese Axa.
Secondo i critici di Del Vecchio, la Delfin del patron di Luxottica ha solidi rapporti con il mondo francese vista la fusione di Luxottica con la francese Essilor (dove la governance di fatto è nelle mani dei francesi).
E sullo sfondo si stagliano le due maggiori banche: Intesa Sanpaolo e Unicredit. Già in competizione, sono ora su fronti opposti anche sull’Ops lanciata da Intesa su Ubi Banca (qui l’ultimo approfondimento di Start sul dossier) e hanno visioni diverse anche su Generali: Intesa capeggiata dall’amministratore delegato, Carlo Messina, ha feeling con Mediobanca e Unicredit guidata dall’amministratore delegato, Jean-Pierre Mustier, ha relazioni strette con Del Vecchio.
Buona guerra a tutti.