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Generali Caltagirone

Generali, ecco mosse e furbizie di Caltagirone (che esce dal patto con Delfin e Crt)

Tutti i motivi dell'ennesima mossa furbetta di Caltagirone in Generali.

 

È una lotta senza esclusione di colpi (di scena) quella che porterà all’assemblea chiamata a rinnovare il consiglio d’amministrazione di Generali, ad aprile. A scombinare ulteriormente le carte è arrivata nella serata di ieri – mentre l’attenzione era tutta rivolta a Montecitorio per l’elezione del Presidente della Repubblica – la decisione di Francesco Gaetano Caltagirone di recedere dal patto di consultazione costituito con Leonardo Del Vecchio e Fondazione Crt.

Fino al pomeriggio la lotta vedeva, su fronti contrapposti, il board uscente – appoggiato da Mediobanca (con quota del 12,8% che può arrivare al 17,2% delle azioni con diritto di voto) – che presenterà una propria lista, ricevuto anche il via libera della Consob dopo che un mese fa l’authority si era espressa genericamente sulla questione, evidenziando che in Italia ci sono 52 società quotate che – per statuto – prevedono un tale sistema di nomine e 11 che lo mettono in pratica.

Una lista sarebbe dovuta saltar fuori anche dal patto di consultazione, che aveva una quota complessiva del 16%, cui magari si sarebbe potuto associare il gruppo Benetton (3,97%), ancora rimasto sotto traccia. E pare che volesse partecipare alla contesa anche Assogestioni, l’associazione che riunisce le società di gestione del risparmio.

Peraltro nei giorni scorsi ci sono state anche varie uscite dal cda: dopo quelle di Caltagirone – il 13 gennaio scorso – sono infatti arrivate le dimissioni di Romolo Bardin, il 17 gennaio, che rappresenta il patron di Essilor-Luxottica, e quelle della professoressa Sabrina Pucci, il 25 gennaio, nel board in rappresentanza della Fondazione Crt.

COS’HA DETTO E FATTO CALTAGIRONE SU GENERALI

In una lettera inviata alla cassaforte di Del Vecchio, Delfin, e alla Fondazione Crt, le società del gruppo Caltagirone aderenti al patto – racconta Il Sole 24 Ore– hanno comunicato il recesso “unilaterale e immediato” ritenendo “ormai superata la funzione cui il patto era preordinato” ossia “favorire la consultazione delle parti in vista delle determinazioni da assumere in occasione della prossima assemblea di Generali”. Dal momento che non è stato preso alcun impegno di presentare insieme una lista per il nuovo board e di votare nello stesso modo in assemblea, il gruppo dell’imprenditore romano si dice disponibile a presentare una sua lista “sebbene non sia stata ancora assunta univoca determinazione circa la promozione di una lista lunga oppure corta”.

Con i “colleghi” del patto, invece, si puntava a una più stretta collaborazione informativa visto che Generali “ignora le istanze di cambiamento condivise dagli aderenti al patto e ha presentato un piano nel solco della gestione sino ad ora portata avanti” e ritenuta “insoddisfacente” dal patto di consultazione. In sostanza, si conclude la missiva, il gruppo Caltagirone vuole “perseguire le proprie strategie e prescegliere le proprie politiche di voto e di esercizio delle prerogative di azionista in modo aperto al confronto con il mercato e la generalità degli investitori”.

LE VERE RAGIONI DELLA DECISIONE DI CALTAGIRONE SECONDO REPUBBLICA

Ma la divisione nel patto è vera o finta? E’ finta, o meglio fittizia, secondo gli analisti del settore. Insomma, i tre componenti del patto anti Mediobanca in Generali hanno deciso di dividersi per meglio colpire in totale sintonia. Ma allora perché l’ex vice presidente di Generali ha deciso di andare avanti per la sua strada? “In ambienti legali qualcuno fa notare che le recenti dimissioni a raffica dei “pattisti” dal consiglio, con l’attesa di un piano industriale alternativo a quello presentato lo scorso 15 dicembre dall’amministratore delegato Philippe Donnet,  potuto essere interpretate come un’azione di concerto ,più che un semplice patto di consultazione. Lasciando il patto Caltagirone fa decadere l’ipotesi”, scrive oggi Repubblica, che aggiunge: “Alcuni legali, facendo riferimento all’articolo 120 del Testo unico sulla Finanza, fanno notare che se il patto avesse avuto altre finalità oltre alla consultazione, come quello della presentazione di una lista, avrebbe dovuto dichiarare all’Ivass il superamento della soglia del 10% del capitale. In ambienti finanziari sono convinti che Caltagirone abbia dato disdetta «immediata» proprio perché, così facendo, lui personalmente e gli altri soci congiuntamente, possono continuare a comprare azioni in vista dell’assemblea decisiva di fine aprile, chiedendo autorizzazione all’Ivass per la soglia del10% singolarmente e per quella del 20% in seconda battuta. Con un patto a tre, superare la soglia del 20% sarebbe stato difficile, ai sensi dell’organo che vigila sulle Società di assicurazione”.

Insomma, quella di Caltagirone si connota come una seconda mossa furbetta per avere ancora più mani libere come è successo quando si è dimesso dal consiglio di amministrazione del Leone (qui l’approfondimento di Start Magazine)

L’ANALISI DEL SOLE 24 ORE SULLA MOSSA DI CALTAGIRONE

Dunque perché uscire dall’accordo? Ha scritto oggi il Sole 24 Ore: “Per il timore che il patto di consultazione agli occhi dei regolatori potesse assumere una connotazione diversa? Nell’intesa siglata lo scorso settembre si legge che «le parti si impegnano a consultarsi con particolare riferimento alla nomina del nuovo cda» ma al contempo viene precisato che «le parti manterranno la piena facoltà di determinarsi liberamente in merito alle decisioni da assumere in vista e nel corso dell’assemblea». In più, si aggiunge che i pattisti faranno «tutto quanto necessario affinché non sorgano congiuntamente o disgiuntamente obblighi di Opa». La mossa compiuta ieri da Caltagirone, che peraltro potrebbe preludere a uno scioglimento definitivo del patto, sembra, a prescindere, voler sgomberare il campo da ogni dubbio. E in più sembra offrire un’ulteriore garanzia: assicura a tutti mani ancora più libere rispetto all’acquisto di azioni Generali e dunque rispetto alla possibile costruzione di un pacchetto che in qualche modo possa sfidare il consiglio e i candidati supportati dal primo socio singolo Mediobanca. In questo modo infatti potrebbe essere tranquillamente superato, dall’ormai ex patto, il 20% del Leone senza che i singoli soggetti debbano inciampare in specifici obblighi informativi. Singolarmente Caltagirone e Del Vecchio possono raggiungere il 9,99% del gruppo di Trieste e la Fondazione CrT ha in mano il mandato per arrivare al 2%”.

GENERALI IN ITALIA E NEL MONDO

Ma qual è il peso e qual è l’articolazione del gruppo Generali? Presente in 50 Paesi del mondo, Generali ha oltre 72mila dipendenti e 65,9 milioni di clienti e si classifica tra le 100 compagnie sostenibili in tutto il mondo. Nel 2020 il gruppo assicurativo con 191 anni di storia ha raccolto 70,7 miliardi di premi, di cui il 36% in Italia, il 20% in Germania, il 18% in Francia, il 10% in Austria, Paesi dell’est Europa e Russia, il 13% in altri Paesi esteri.

Secondo quanto emerge dal sito del gruppo, la compagnia triestina è il primo operatore nel nostro Paese, il secondo in Germania e in Francia è l’ottavo nel segmento assicurativo vita e nel segmento danni e il quinto in A&H. Inoltre è tra i primi tre leader di mercato in Repubblica Ceca, Ungheria, Austria e Slovacchia. Dalla prima metà del 2019 la struttura International comprende Spagna, Svizzera, Asia, Americhe e regioni del Sud Europa, dove è tra i primi operatori.

Di questi giorni la notizia che Generali ha aumentato il proprio peso in India dove è diventata la prima compagnia estera a detenere il controllo di una joint venture assicurativa. Il governo di Nuova Delhi – ricorda Milano Finanza – lo scorso anno ha alzato la soglia massima di partecipazione delle compagnie straniere in jv assicurative dal 49% al 74% e il Leone “ha stretto la presa sulle due imprese che erano state create insieme al Future group, colosso indiano della distribuzione, già nel 2006, sia nel ramo Danni sia in quello Vita”. Del resto, rilevano da Trieste, il subcontinente indiano è uno dei mercati assicurativi più promettenti e con un tasso di crescita nominale dei premi che si prevede superi il 10% tra 2022 e 2030. Già arrivato il via ibera dell’Antitrust indiano, si aspetta ora quello delle altre autorità coinvolte. Il quotidiano economico ricorda poi che è ancora in ballo – ma la trattativa sarebbe in dirittura d’arrivo – l’acquisizione della francese La Médicale da Crédit Agricole per circa 400 milioni.

PESO DEL GRUPPO IN ITALIA E NEL MONDO

La presenza di Generali nel nostro Paese e a livello internazionale si riscontra anche nel patrimonio. Al 31 dicembre 2020 – si legge nella Relazione annuale integrata e bilancio consolidato 2020 – il gruppo guidato da Philippe Donnet aveva quasi 350 milioni di strumenti a reddito fisso (l’84,8% del totale), in crescita del 6,4% su anno. In particolare nel portafoglio obbligazionario i titoli governativi rappresentavano il 55,4% del totale attestandosi a 193,7 milioni. “L’esposizione verso i singoli titoli di Stato – si legge – è principalmente allocata ai rispettivi paesi di operatività”. Infatti, tanto per fare qualche esempio, dei quasi 200 milioni di esposizione totale 61 milioni sono ascrivibili ai titoli di Stato italiani, 36,8 milioni a quelli francesi, 25,7 milioni a quelli spagnoli e 21,4 milioni a quelli di area CEE ovvero Europa centrale e dell’est.

NELLO SCONTRO COL SAPORE DI CAPITALISMO D’ANTAN ATTENZIONE AL TERZO INCOMODO

Quello che si sta consumando in Generali, secondo l’economista Alessandro Penati, per i contendenti e per le motivazioni rimanda al capitalismo d’antan con Mediobanca che “vuole difendere il suo ruolo in Generali – ha scritto su Domani -, una partecipazione che detiene da tempo immemorabile, quasi fosse un cassettista o una holding”. Dall’altra parte il patto di consultazione che pare agire “come un fondo attivista o un corporate raider che punta a rovesciare il vertice di una società per acquisirne il controllo”.

Secondo Penati è “lecito ipotizzare che anche Caltagirone e Del Vecchio puntino in realtà a quei ‘benefici privati’ che Mediobanca difende. Questo spiegherebbe l’assenza di documentate argomentazioni a favore e contro l’attuale vertice, e di proposte precise per l’assemblea, come invece farebbe un fondo attivista”. D’altronde, sebbene la gestione del Leone “non può certo essere definita deficitaria”, ci sarebbe “ampio margine per creare valore in Generali”. Non però “tramite le grandi acquisizioni che Caltagirone e Del Vecchio sembrerebbero auspicare, perché la regolamentazione pone un limite alla leva delle assicurazioni, e perché diluirebbero troppo gli azionisti se fatte con azioni. Più percorribile la strada della redditività e della crescita prospettica degli utili, anche per aumentare i multipli ai quali il mercato valuta il titolo”.

Un appello a trovare un accordo fra i contendenti per far vincere il mercato arrivava invece da Ferruccio de Bortoli che sul Corriere Economia affermava: “Il futuro di Generali, una delle poche, vere e ultime multinazionali del nostro Paese è legato alla contesa aperta tra due schieramenti nazionali. Evviva. Una volta tanto non siamo preda”. Ma il suo richiamo era a che Caltagirone e Del Vecchio – “due anziani e risoluti padroni” – non ne facciano “una questione di potere”. Insomma, si domandava l’ex direttore del Corsera, “hanno in testa lo stesso disegno o sono tatticamente uniti solo dall’avversione al management di Milano e Trieste?”. Perché non c’è dubbio che alla potente compagnia triestina servano sinergie “per attrarre investitori seri” oltre che “per dimostrare il grado di maturità di un Paese” tanto più che “se il risparmio è l’ultima ricchezza degli italiani è incomprensibile che non si studino aggregazioni e sinergie per gestirlo al meglio”.

Gli attivi di Generali valgono un terzo del Pil del Paese, ricordava de Bortoli, che teme prima o poi, sic stantibus rebus, qualche incursione straniera ma – come ripeteva Enrico Cuccia – “quello che l’Italia non può permettersi è di perdere le Generali”.

E SPUNTA PURE LA TERZA LISTA (ASSOGESTIONI)

Nel frattempo, tanto per affollare un altro po’ il quadro, spunta anche una possibile terza lista di candidati al cda del Leone. Stando a quanto riferisce Il Sole 24 Ore, infatti, Assogestioni si è messa al lavoro e ha già individuato un head hunter, che dovrebbe essere Heidrick & Struggles International, per farsi aiutare. L’associazione nonostante “il probabile affollamento di pretendenti” e il rischio “di non riuscire a entrare nel board” ha deciso di far giocare almeno la partita ai fondi. “Evidentemente si è ritenuto che la scelta di fare un passo indietro, compiuta in occasione dello scontro tra Elliott e Vivendi per il controllo del cda Tim, non potesse essere pedissequamente replicata in questo scenario. Che risulta molto diverso” scrive il quotidiano confindustriale che ricorda come gli investitori istituzionali, italiani ed esteri, rappresentino quasi il 35% del capitale di Generali, pure se non tutti si presentano in assemblea. Peraltro, ricorda Il Sole, “negli ultimi anni hanno sempre raccolto un consenso piuttosto esteso e tendenzialmente sempre in crescita. Nel 2019 i due candidati di Assogestioni, Ines Mazzilli e Roberto Perotti hanno ricevuto l’ok del 21,7% del capitale (quasi il 39% dei voti dei presenti), nel 2016 il 15,07% (pari al 32,16% dei presenti) e nel 2013 il 14,72% (ossia il 30% dei votanti)”.

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