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Che cosa Germania e Francia stanno escogitando per l’Antitrust Ue

L'analisi dell'editorialista Guido Salerno Aletta

In materia di antitrust, a Bruxelles c’è bisogno di una svolta. Per essere competitivi a livello globale bisogna lasciare spazio alle concentrazioni: servono veri e propri campioni europei, imprese di dimensioni comparabili con quelle dei colossi americani e asiatici. Negli scorsi giorni, il ministro francese dell’Economia Bruno Le Maire ha anticipato il contenuto della proposta franco-tedesca. È questa la conseguenza della bocciatura da parte dell’Antitrust europeo del progetto di fusione tra Alstom e Siemens, che avrebbe dato luogo a una sorta di monopolista europeo nel settore ferroviario.

La posizione di Le Maire conferma l’impostazione appena espressa dal ministro tedesco dell’Economia Peter Altmaier, nell’ambito del documento strategico sulle politiche industriali nazionali tedesche con orizzonte al 2030. Si interverrebbe su tre aspetti.

Innanzitutto, si eliminerebbe il privilegio di cui gode attualmente il commissario competente per l’Antitrust, che decide direttamente e definitivamente sui dossier al suo esame, senza investirne la Commissione: si proporrà la possibilità di fare appello alla Commissione contro le decisioni del commissario, anziché dover rimettere la questione alla sede giurisdizionale, presentando ricorso alla Corte di Giustizia. C’è poi la modifica fondamentale: il mercato rilevante rispetto a cui andranno effettuate le valutazioni relative alle concentrazioni e alle fusioni non sarà più quello europeo, bensì quello globale. Di conseguenza, il fatto che dalla fusione derivi una restrizione della concorrenza in ambito comunitario diventerà assai meno rilevante.

La terza modifica è altrettanto profonda: le decisioni relative ai «rimedi» che vengono offerti dalle imprese per compensare gli effetti delle concentrazioni sulla concorrenza saranno rese «dinamiche»: invece di bloccare preventivamente una fusione, la Commissione dovrebbe monitorare l’andamento dei mercati e imporre dei rimedi se e quando risulti davvero necessario.

Le Maire ha condiviso le impostazioni del documento predisposto da Altmaier: «È necessario aumentare gli investimenti nelle tecnologie industriali, abbiamo bisogno di investire molto di più nell’intelligenza artificiale e vogliamo farlo fianco a fianco con la Germania». Ha soggiunto, infine: «Tutte le iniziative che valuteremo con la Germania saranno aperte ad altri Paesi, tutti coloro che vorranno aderire saranno i benvenuti».

Ci sono due aspetti da prendere in considerazione. In primo luogo, il netto cambio di strategia degli Usa, che ha completamente abbandonato la tradizionale strategia antitrust nel settore delle nuove tecnologie e sulle nuove piattaforme informatiche, lasciando che si creassero dei veri e propri monopolisti globali: da Google ad Amazon, da Microsoft ad Apple. In secondo luogo, la collaborazione europea si è realizzata secondo due modalità completamente diverse: quella istituzionalizzata, attraverso la Ceca e l’Euratom, fino all’Esa; quella su base consortile con il Concorde e l’Airbus, fino all’Eurofighter.

La modalità di collaborazione istituzionale è poco duttile e mal si presta alle attività industriali. Pensare di mettere insieme in un unico consorzio di scopo le imprese di 27 Paesi europei è impossibile, oltre che insensato. Ma immaginare che l’asse franco-tedesco possa fare scopa come crede, aggregando le industrie dei due Paesi, è altrettanto inverosimile. Affermare che la porta resta aperta per chi vuole entrare, è quasi offensivo: «Noi andiamo avanti comunque; gli altri si arrangino». Se sono queste le prime conseguenze del Trattato di Aquisgrana, non c’è davvero da stare allegri.

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