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Energia

Cosa si agita in Europa sul trattato del Mes

L'analisi di Giuseppe Liturri.

 

Il rituale Consiglio Europeo di fine anno seguito dall’Eurosummit, cioè il vertice dei 19 capi di governo che affronta i temi di politica economica dell’eurozona, è stata l’occasione per fare il punto della situazione e delineare gli obiettivi per il semestre successivo.

Il belga Charles Michel venerdì 10, in veste di Presidente dell’Eurosummit, si è visto recapitare la consueta lettera da parte del Presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe, in cui quest’ultimo relaziona sui “compiti” che i leader hanno affidato ai ministri economici durante l’anno precedente e illustra le principali sfide da affrontare nel prossimo anno.

Diversi i temi toccati dal ministro irlandese tra cui spicca quello dell’entrata in vigore del Trattato del Mes, nella sua versione riformata firmata dai ministri plenipotenziari a gennaio scorso e che, per la sua efficacia, necessita di una legge di ratifica da parte di tutti i 19 Stati dell’eurozona.

Donohoe definisce come ormai “prossima” l’anticipata operatività da gennaio 2022 del prestito “paracadute” che il Mes potrebbe erogare al fondo unico di risoluzione delle crisi bancaria, qualora quest’ultimo esaurisse il fondo costituito ad hoc con i contributi di tutte le banche dell’eurozona. Parliamo di un fondo di circa 50/60 miliardi che potrebbe quindi ricevere, al bisogno, un prestito del Mes all’incirca dello stesso ammontare. È doveroso aggiungere che questo strumento “dovrebbe entrare in vigore a condizione che siano completate le procedure di ratifica di tutti gli Stati”, ma il fatto di proporlo – anche con una certa enfasi – come uno dei principali obiettivi conseguiti dall’Eurogruppo, lascia intendere che si tratti di mere formalità. Siamo quindi andati a verificare che, su diciannove, sono ben otto gli Stati che non hanno ancora ratificato il Trattato, tra cui l’Italia e altri pesi massimi come Francia e Germania. Abbiamo poi fatto un veloce sondaggio tra una decina di nostri parlamentari per sapere se fosse stato annunciato il disegno di legge per la ratifica o calendarizzata la discussione e la risposta è stata unanime: nessuno sa nulla.

Allora, delle due, l’una: o Donohoe ha promesso ciò che non poteva promettere o qualcuno da Roma gli ha assicurato che la ratifica arriverà, magari sul filo di lana del brindisi per salutare il 2022. D’altronde c’è il precedente del luglio 2012, quando la ratifica del Trattato originario, dopo l’esame del Senato, fu una pratica sbrigata dalla Camera in soli tre giorni tra commissione e assemblea. Ricordiamo che quelli erano i giorni del governo Monti e dello spread intorno a 500 punti.

Lo strumento del prestito paracadute è però solo il cavallo di Troia che reca in pancia ben altro. Infatti il testo riformato del Mes porta in dote anche una più chiara disciplina di due linee di credito che il Mes è abilitato a erogare a Stati che abbiano perso o rischino di perdere l’accesso ai mercati: la linea di credito precauzionale e quella rafforzata. E i requisiti per accedere alla prima sono così stringenti da escludere in partenza un eventuale accesso dell’Italia (oggi, anche di numerosi altri Paesi) che si troverebbe così confinata alla linea rafforzata che si accompagna alla sottoscrizione di un programma di aggiustamento macroeconomico “lacrime e sangue” che i greci (ma anche, in diversa misura, portoghesi, ciprioti, irlandesi e spagnoli) conoscono bene.

Il ruolo del Mes riformato è soprattutto quest’ultimo non quello di fornire un prestito paracadute all’incirca pari ai mezzi propri di una banca come Intesa o Unicredit. Troppo piccolo per l’eventuale dissesto di una grande banca e troppo grande per ritenere che ce ne sia bisogno così in fretta. Eventualità che, da sola, desterebbe una certa preoccupazione.

La fretta di poter almeno vantare lo “scalpo” della ratifica del Mes è probabilmente dettata anche dall’ammissione del sostanziale fallimento sul fronte del completamento dell’unione bancaria. Donohoe non nasconde ai leader europei che si tratta di un tema complesso e politicamente molto delicato e che i lavori nel corso dell’anno sono approdati a risultati inferiori agli obiettivi, al punto che Donohoe ha sospeso i lavori ed intende riprenderli con rinnovato vigore nel prossimo semestre. Ricordiamo solo che, in questa trattativa nel mirino ci siamo noi, perché i tedeschi pretendono che i titoli di Stato nei bilanci delle banche non siano più considerati a rischio zero, con i prevedibili effetti sull’assorbimento di capitale.

Nell’agenda dei leader, il ministro irlandese ha inserito anche altri due temi altamente divisivi: la riforma delle regole per i bilanci pubblici e il relativo orientamento (espansivo o restrittivo) per i prossimi anni. Sul primo, per la riforma delle regole l’Eurogruppo lavorerà alla gattopardesca soluzione di “snellire e semplificare” il quadro complessivo. Sul secondo, dopo aver ribadito che il 2022 sarà l’ultimo anno con un orientamento moderatamente espansivo, l’Eurogruppo ribadisce l’invito della Commissione per gli Stati ad elevato indebitamento, chiedendo “l’adozione delle misure di riduzione della spesa corrente richieste dalla Commissione”. Per la crescita bastano e avanzano gli investimenti del Recovery Fund.

A costo di ripeterci, temiamo che riparare il tetto della casa, tagliando contemporaneamente le spese per cibo e riscaldamento, non sia una buona soluzione per il nostro Paese.

(Versione ampliata a aggiornata di un articolo pubblicato su La Verità)

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