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Perché i fondi Esg si stanno sgonfiando?

BlackRock, Amundi e altre grandi gestori di asset hanno declassato i loro fondi Esg per 125 miliardi di dollari. Gli investimenti davvero "sostenibili" sono pochi, e le regole si fanno più stringenti. Ecco numeri e prospettive per il 2023.

Alcune delle più grandi società di investimento al mondo come BlackRock, NN Investment Partners (controllata da Goldman Sachs) e Amundi (controllata da Crédit Agricole) hanno rimosso la denominazione dell’Unione europea per gli ESG da almeno 125 miliardi di dollari di fondi nei loro portafogli.

Con ESG si intendono quei fattori che valutano la sostenibilità ambientale (environmental), sociale (social) e gestionale (governance) di un investimento finanziario.

COSA HA FATTO AXA IM

L’ultima società di asset management a procedere in questo senso è stata la francese AXA IM, la cui revisione dei parametri di sostenibilità del proprio portfolio ha portato all’esclusione di investimenti per 20 miliardi di euro.

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Grafico via Bloomberg.

Il taglio più profondo agli asset ESG è stato operato da Amundi, per un totale di 46 miliardi di dollari. Seguono BlackRock con 26, la appena citata AXA IM con 21, BNP Paribas con 16, NN Investment Partners con 7 e Pimco con 6 miliardi.

SOLO IL 5 PER CENTO DEI FONDI “SOSTENIBILI” RISPETTA L’ARTICOLO 9

Nello specifico, la denominazione ESG oggetto delle verifiche è il cosiddetto “Article 9” della normativa europea sulla finanza sostenibile, nota come Sustainable Finance Disclosure Regulation o SFDR.

L’Unione europea ha specificato che l’Article 9 si può applicare solo agli investimenti completamente sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale, con qualche esenzione relativa alla liquidità e alle coperture. La soglia del 100 per cento di sostenibilità è però rispettata da meno del 5 per cento dei fondi che presentano questa denominazione, ha scritto Bloomberg.

CHI PREME PER IL RISPETTO DELLE REGOLE SUGLI ESG

Better Finance, il principale europeo gruppo di investitori retail, ha chiesto alla Commissione europea e all’ESMA, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, di ottenere dalle società di gestione degli asset garanzie sull’effettività “sostenibilità” dei loro fondi ESG.

Quello di Better Finance non è un caso isolato: esiste infatti una tendenza, da parte degli investitori “attivisti” maggiormente sensibili alla crisi climatica (e alle opportunità di profitto derivate), a spingere i gruppi di asset management a prendere maggiormente in considerazione le conseguenze ambientali e il rischio legato al clima dei loro investimenti.

COSA FANNO USA E UE CONTRO IL GREENWASHING FINANZIARIO

Il contrasto del cosiddetto greenwashing – ossia, in questo caso, la comunicazione ingannevole circa l’impatto ambientale positivo di un investimento finanziario – è un tema che sta impegnando non soltanto i regolatori europei, ma anche quelli statunitensi.

La SEC, l’ente federale americano che vigila sulla borsa, sta per l’appunto conducendo un’indagine sui fondi ESG per verificarne l’effettivo rispetto dei princìpi di sostenibilità. In Europa, invece, la presidente dell’ESMA Verena Ross ha assicurato di voler “indagare più da vicino sul greenwashing“.

Il nome stesso di un fondo, ha dichiarato il mese scorso, “è uno dei più importanti identificatori dei fondi d’investimento per gli investitori, soprattutto quelli retail, e un grande strumento di marketing”: la comunicazione ingannevole, in altre parole, comincia già dal nome del fondo, prima ancora che dal suo contenuto.

“Siamo preoccupati”, ha aggiunto Ross, “che alcuni fondi utilizzino nei loro nomi termini legati agli ESG o alla sostenibilità senza necessariamente essere all’altezza delle corrispondenti caratteristiche di sostenibilità”.

COSA TEMONO GLI OPERATORI FINANZIARI

Il timore delle società di investimento è che le regole europee, data la loro complessità, finiscano per danneggiare le loro operazioni, causando ad esempio il declassamento improvviso di grandi quantità di fondi ESG.

A essere scarso non è solo il rispetto dei parametri dell’Article 9 (il 5 per cento del totale), ma anche di quelli – meno stringenti – dell’Article 8 della regolazione europea: solo il 18 per cento dei fondi che attualmente presentano questa denominazione vi rientrano davvero. Stando ai dati Goldman Sachs, ripresi da La Stampa, il mercato dei fondi Article 8 vale all’incirca 4000 miliardi di dollari di patrimonio amministrato.

COME SARÀ IL 2023 PER I FONDI ESG?

Nel 2022 l’indice S&P 500 ESG, che misura la performance degli investimenti sostenibili, ha perso il 18 per cento, si legge su La Stampa. Prevedere l’andamento di questo mercato, però, è difficile, e non mancano opinioni contrarie.

Ad esempio la banca Barclays ha detto che quest’anno le vendite globali di obbligazioni societarie ESG torneranno a crescere e supereranno i 460 miliardi di dollari. Nel 2022 il volume dei bond ESG è calato del 2022 per cento, arrivando a 362 miliardi, all’interno però di un più generale rallentamento delle emissioni di obbligazioni societarie dovuto al restringimento delle politiche monetarie.

Secondo Barclays, dunque, nel 2023 le vendite di bond ESG torneranno suppergiù ai livelli del 2021, quando accumularono un valore di 461 miliardi.

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Grafico via Reuters.

Negli Stati Uniti, prima economia mondiale e maggiore mercato di consumo che finisce spesso per influenzare gli altri paesi, si è sviluppato un movimento di reazione alla cosiddetta “finanza verde”. I critici degli investimenti ESG sostengono che l’attenzione ai princìpi di sostenibilità finisca per pregiudicare i ritorni economici degli investimenti, facendoli passare in secondo piano quando invece dovrebbero invece rappresentare l’obiettivo prioritario dei gestori di asset.

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