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Musk

La logica di Elon Musk stretto tra Usa e Cina. L’analisi di Aresu

Fini e mezzi di Elon Musk tra tecnologia e geopolitica. Estratto del nuovo libro di Alessandro Aresu, "Il dominio del XXI secolo. Cina, Stati Uniti e la guerra invisibile sulla tecnologia", edito da Feltrinelli

 

La storia manageriale di Tesla si nutre di figure provenienti da Apple e di una cultura della supply chain che imita il modello di Apple. La vicinanza tra le due aziende torna in tutti i principali volumi che raccontano la storia di Tesla e di Musk, inclusa la leggenda – non confermata dai partecipanti – che Apple sarebbe stata pronta a comprare Tesla, per poi ritirarsi davanti alla determinazione con cui Musk avrebbe affermato di dover ricoprire il ruolo di amministratore delegato della nuova azienda (cioè, anche di Apple).

In questa storia, rientra anche una forma di relazione speciale con la Cina. Musk mantiene alcuni canali di comunicazione con la Repubblica popolare anche durante i momenti più tesi della guerra commerciale di Trump, diventando un importante investitore estero nel paese, una storia di successo di cui la stessa leadership cinese ha bisogno. Così il fondatore di Tesla e SpaceX diviene il capitalista straniero preferito dal Partito comunista.

Ma questi legami sono anche problematici, vista la crescente tensione tra Stati Uniti e Cina. Tesla è criticata, per esempio, dai politici del Congresso per la sua espansione in Xinjiang. E le sue operazioni sono già state influenzate dalle difficoltà delle supply chains in Cina e dal blocco dei porti. Potranno inoltre subire, in futuro, i colpi del sanzionismo di Washington verso le aziende cinesi, e, dall’altro lato, quelli della burocrazia di Pechino contro gli imprenditori che alzano un po’ troppo la testa.

Musk è obbligato a vivere in questo sistema. Non può astrarsi dall’ottovolante delle relazioni tra Stati Uniti e Cina. Ci sarà sempre un ufficiale del Partito comunista che, per sua iniziativa o per quella di un concorrente interno, sarà preoccupato che il software delle Tesla possa spiare i movimenti dei capi della burocrazia celeste, e spifferare tutto a Washington. Musk deve sempre rilanciare la grande scommessa.

Nel mezzo, ci sono vere e proprie fanfaronate, come il suo progetto di rivoluzionare il sistema formativo degli Stati Uniti. Lo annuncia con un tweet: “Sto pensando di avviare una nuova università: Texas Institute of Technology & Science”. Si dà importanza a queste uscite inconcludenti invece di considerare che SpaceX è l’azienda più attraente per i giovani talenti americani nell’ingegneria e la sesta per l’informatica, mentre Tesla occupa la seconda posizione per l’ingegneria, la terza per gli studenti di management, la quarta per l’informatica.

Infine, Elon Musk vive in un mondo dove ha oltre cento milioni di follower su Twitter. “È l’uomo più ricco del mondo e, come molte altre persone ricche, ha qualche hobby eccentrico e costoso. Uno di essi è che spesso gli piace fingere di acquisire delle aziende”. Come interpretare d’altra parte la sua storia d’amore con Twitter, la sua fissazione con questo social network, fino alla sua acquisizione? Certo, anche per questo si possono trovare ragioni politiche: Elon vuole candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti, Elon vuole amplificare la sua piattaforma di “teslanari”, la curva dei suoi fan, per ottenere vantaggi, vuole orientare e dominare il discorso pubblico.

Tutte queste ragioni, nell’ultima incarnazione del mondo di Musk, sono triturate da un continuo, irrefrenabile cazzeggio. Per vivere e dichiarare senza freni. Dalla salvezza dei bambini imprigionati in una grotta in Thailandia che diviene l’occasione per una polemica infinita, all’interruzione delle proprie attività per postare Con te partirò e poi taggare Andrea Bocelli, dagli annunci contrari alla regolazione dei mercati che riguardano Tesla, in grado di originare un sottogenere della letteratura del diritto societario, fino alla sponsorizzazione delle criptovalute rese virali dal simpatico musetto dello Shiba Inu, razza canina giapponese. Per giungere al gusto di pubblicare un’immagine del supereroe onnipotente e tormentato del fumetto Watchmen, Dottor Manhattan, per dire al pubblico: io sono come lui.

Così Elon si compiace all’infinito di ciò che lo distingue dagli altri imprenditori tecnologici: lo status di celebrità che vuole continuamente e ostinatamente affermare. Tutta quella grandezza imprenditoriale e manageriale, simboleggiata dal foglio Excel che, dopo la delusione russa, contiene il destino di SpaceX, nella testa e nel cuore di Musk si incarna in una valvola di sfogo continua. O meglio, in un meme. Essere l’uomo più ricco del mondo non conta nulla se non si è un meme.

Se non si lascia una traccia nell’archivio di continue immediatezze che l’umanità produce, nell’infinito delirio del diventare una specie multiplanetaria. Ma queste tracce su Twitter hanno una forma dilettantesca, rispetto a quelle che cerca di fissare e archiviare un progetto nato nell’hub tecnologico di Pechino, Zhongguancun, e nella frontiera tra Stati Uniti e Cina: l’impero irresistibile di TikTok.

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