C’è una clamorosa contraddizione, ovviamente non raccontata, sulla questione Monte dei Paschi di Siena (Mps).
Il Tesoro insiste per “liberarsi” di Mps, motivando questa accelerazione – e quindi spingendo l’istituto senese verso Unicredit – con la necessità di portare la “mano pubblica” fuori del recinto bancario.
Ma l’aggregazione tra Rocca Salimbeni e Piazza Gae Aulenti farebbe uscire lo Stato dal settore creditizio, passando dalla finestra, ma lo farebbe rientrare un istante dopo, attraverso il portone principale, quello, appunto, della seconda banca italiana, ossia Unicredit.
Ecco perché: oggi il ministero dell’Economia ha il 64,2% del Monte dei Paschi di Siena (dopo l’operazione Amco di giorni; ma sia il sito del Mef che quello di Mps indicano ancora il 68,2%), ma con il necessario concambio tra le azioni delle due banche il Tesoro si troverebbe in mano tra il 10% e il 15% di Unicredit, diventandone il primo azionista (Equita ha stimato l’11%); i fondi oggi hanno singolarmente al massimo il 5% di Unicredit e tutte le attuali partecipazioni, peraltro, sono destinate a diluirsi proprio con l’ingresso del ministero dell’Economia e delle Finanze.
Viene da chiedersi, quindi, perché il governo abbia così fretta di cedere il controllo di Mps, in un quadro assai confuso sia per il settore bancario sia per l’economia italiana e globale.
Probabilmente è un classico caso di interessi convergenti.
Forse il Pd vuole mettere le mani sulla banca destinata a diventare la prima in Italia?
Forse il Tesoro (nello specifico qualche alto dirigente) ha desiderio di archiviare la pratica al più presto, magari per ambizioni personali ostacolate da patate bollenti?
Ah saperlo.
Si vedrà.
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