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Ecco perché alle Bcc non piace il nuovo decreto Mef sugli esponenti bancari

Che cosa prevede il nuovo decreto del Mef sugli esponenti bancari e che cosa pensano le Bcc. L'intervento di Marco Bindelli, vice presidente del Banco Marchigiano e consigliere delegato ai rapporti con il credito cooperativo e le capogruppo (gruppo Ccb)

 

Atteso sin da quando al Mef (ministero dell’Economia e delle Finanze) sedeva Pier Carlo Padoan, il Regolamento che disciplina i requisiti ed i criteri di idoneità che devono possedere gli esponenti bancari, ossia gli amministratori, i componenti del collegio sindacale e i direttori generali, ha visto finalmente la luce il 15 dicembre 2020 con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto ministeriale del 23 novembre 2020, n. 169, attuativo della direttiva Ue del 2013 (c.d. Crd IV).

La consultazione dello schema di Regolamento conclusa il 22 settembre 2017, dopo l’indifferenza dell’ex ministro Tria e l’approvazione con marginali modifiche da parte dell’attuale ministro Gualtieri, parrebbe aver certificato, da una parte, la scarsa utilità della stessa consultazione di cui non sono state accolte le richieste più significative e, dall’altra, l’incapacità di allontanare la politica dalle banche, per le quali invece, sin dall’emanazione del Tub (Testo unico bancario) del 1993, si continua a tentare una difficile assimilazione alle aziende che si dimostra sempre più apparente e meno di sostanza. Diversamente non si spiegherebbe la cooptazione nel consiglio di amministrazione di Unicredit dell’attuale deputato Padoan, peraltro designato ad assumerne l’incarico di Presidente, il quale, oltre ad aver redatto ed approvato lo schema di Regolamento di cui si discute, ha gestito la delicata fase di default (con costi a carico dei contribuenti) di MPS, banca destinata a nozze proprio con Unicredit.

In ogni modo, come recentemente osservato da Carlo Di Foggia su Il Fatto Quotidiano, il decreto Mef che doveva assicurare alla Bce e alla Banca d’Italia i poteri di rimuovere gli esponenti bancari infedeli sanzionati dalle stesse Autorità, parte con una sanatoria sul passato, quanto meno per quanto riguarda le sanzioni comminate prima del 2015 inferiori al massimo edittale (così l’art. 25, comma 3, delle Disposizioni finali e di coordinamento del decreto Mef).

Prima di esaminare gli impatti che il nuovo decreto produrrà sulle Banche di credito cooperativo (Bcc) alle prese con capogruppo ancora alla ricerca della loro identità e martoriate dalle irragionevoli regole europee sul default della clientela, sugli accantonamenti richiesti dal calendar provisioning e sull’essere considerate significant per il solo fatto di aver obbligatoriamente aderito ad un gruppo bancario di grandi dimensioni, è essenziale analizzare i requisiti ed i criteri di idoneità che gli esponenti bancari dovranno soddisfare.

ONORABILITÀ

Il nuovo decreto Mef, confermando sostanzialmente la disciplina del previgente decreto rubricato al n. 161/1998, amplia la categoria dei reati che, se accertati con sentenza penale irrevocabile, fanno venir meno il requisito di idoneità dell’esponente. Tra questi, oltre all’interdizione (temporanea o permanente) intervenuta con condanna definitiva ai sensi del Tub o del Tuf (Testo unico della finanza), si segnalano quelli in materia societaria e quello di usura.

CORRETTEZZA

Il criterio è stato introdotto dalla direttiva Crd IV e pertanto rappresenta una novità rispetto al previgente decreto n. 161/1998.

Fanno venire meno la correttezza una serie di situazioni, tra cui le condanne anche non definitive per gli stessi reati rilevanti per l’onorabilità, l’irrogazione di sanzioni ammnistrative, i provvedimenti disciplinari quali la sospensione o la radiazione da Albi, le informazioni negative contenute nella Centrale dei rischi, lo svolgimento di incarichi in banche o altri intermediari cui sia stata irrogata una sanzione ammnistrativa, indagini e procedimenti penali in corso.

Ad ogni modo, il verificarsi di tali situazioni non comporta automaticamente l’inidoneità dell’esponente, ma richiede una valutazione da parte dell’organo amministrativo da effettuarsi sulla base di diversi parametri indicati dalla norma stessa, tra cui la gravità dei fatti commessi, la frequenza dei comportamenti, la tipologia e l’importo della sanzione, eventuali condotte riparatorie, ecc.

Conformemente a quanto previsto nel previgente decreto, le sanzioni irrogate rilevano ai fini della correttezza solo se di importo pari al massimo edittale.

A parere dello scrivente, di tutti i criteri previsti quello della correttezza, insieme all’onorabilità, dovrebbe assumere particolare rilevanza proprio per un esponente bancario, specie alla luce dell’analisi condotta sui fallimenti bancari dell’ultimo decennio, per lo più riconducibili a fenomeni di mala gestio o quanto meno a comportamenti eticamente e moralmente discutibili.

Difatti, pur evidenziando una forte discriminazione degli esponenti appartenenti ad Albi professionali rispetto ai non iscritti, come ad esempio coloro che svolgono attività d’insegnamento universitario, la previsione della sospensione o radiazione da Albi presuppone la fondatezza e la valorizzazione di principi etici e morali racchiusi nei codici deontologici delle varie categorie professionali che il decreto avrebbe dovuto richiamare espressamente per tutti gli esponenti bancari.

PROFESSIONALITÀ

Questo requisito si basa essenzialmente sull’esperienza maturata nel corso degli anni precedenti all’assunzione dell’incarico bancario.

Gli esponenti con incarichi esecutivi, per soddisfare il requisito, devono aver esercitato per ameno 3 anni attività di amministrazione, controllo o compiti direttivi nel settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo, ovvero presso società quotate o aventi una dimensione e complessità maggiore o assimilabile (in termini di fatturato, natura e complessità dell’organizzazione o dell’attività svolta) a quella della banca presso la quale l’incarico deve essere ricoperto.

Per gli esponenti non esecutivi è sufficiente che abbiano esercitato per almeno 3 anni attività professionali in materia attinente al settore creditizio, finanziario, mobiliare, assicurativo o comunque funzionali all’attività della banca ovvero attività d’insegnamento universitario in materie giuridiche o economiche o materie comunque funzionali all’attività del settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo ovvero funzioni direttive o dirigenziali presso enti pubblici o pubbliche amministrazioni aventi attinenza con il settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo e a condizione che l’ente presso cui l’esponente svolgeva tali funzioni abbia una dimensione e complessità comparabile con quella della banca presso la quale l’incarico deve essere ricoperto.

Il presidente del consiglio di amministrazione è scelto fra persone che abbiano maturato un’esperienza complessiva di almeno 2 anni in più rispetto ai precedenti componenti (quindi 5 anni di esperienza).

L’amministratore delegato e il direttore generale sono scelti tra persone in possesso di una specifica esperienza in materia creditizia, finanziaria, mobiliare o assicurativa, maturata attraverso attività di amministrazione o di controllo o compiti direttivi per un periodo non inferiore a 5 anni nel settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo, oppure in società quotate o aventi una dimensione e complessità comparabili con quella della banca presso la quale l’incarico deve essere ricoperto.

Analoghi requisiti sono richiesti per gli incarichi che comportano l’esercizio di funzioni equivalenti a quella di direttore generale.

È di tutta evidenza come il legislatore ravvisi nella gestione di una banca un’attività altamente complessa, molto più di quella attinente ad un’azienda industriale, nonostante la prima non abbia né il problema di gestione delle rimanenze né quello della ricerca e sviluppo e, soprattutto, a differenza di quest’ultima, possa usufruire di una pregnante attività di vigilanza che dovrebbe coadiuvarla ed indirizzarla nel perseguimento della sana e prudente gestione. Considerata l’elevata professionalità richiesta, sembrerebbe naturale concludere che eventuali futuri dissesti bancari potranno essere attribuiti esclusivamente a sopravvenute carenze di onorabilità e correttezza, in linea con quanto accaduto sino ad ora.

PROFESSIONALITÀ PER LE BCC

Per le Bcc, essendo state escluse dalla classe delle banche maggiori, il decreto Mef prevede una professionalità leggermente più soft attraverso i seguenti periodi minimi di tempo: 1 anno per gli amministratori sia con incarichi esecutivi che per quelli non esecutivi; 3 anni per il presidente e 4 anni per l’amministratore delegato e il direttore generale.

Nelle Bcc di minori dimensioni o complessità operativa, per i soli incarichi non esecutivi e solo per la metà dei componenti non esecutivi, gli esponenti, esclusa la carica di presidente, possono essere scelti fra persone che abbiano esercitato, per almeno 1 anno, anche alternativamente, attività di amministrazione, controllo o direzione presso imprese o enti del settore della cooperazione del credito, attività di insegnamento in materie giuridiche, economiche o in altre materie funzionali all’attività del settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo, ovvero funzioni amministrative, direttive, dirigenziali o di vertice presso enti pubblici o pubbliche amministrazioni aventi la solita attinenza con il settore creditizio, finanziario ecc., ovvero presso enti pubblici o pubbliche amministrazioni purché le funzioni svolte comportino la gestione di risorse economiche-finanziarie.

In attesa di analizzare la posizione espressa da Federcasse e Confcooperative, è possibile affermare che agli aspiranti esponenti delle Bcc, che ricordiamo essere banche a mutualità prevalente, sono stati concessi, a fronte dei medesimi criteri di onorabilità e correttezza, lievi sconti temporali di esperienza connessi esclusivamente alla minore dimensione delle stesse, senza tener conto della diversità di genere che le caratterizza con conseguenti significative limitazioni operative rispetto alle altre banche non mutualistiche (c.d. banche lucrative) e che, peraltro, risultano avvantaggiate anche dalla non proporzionalità della regolamentazione bancaria di cui si è avuto modo di discutere qui, in più occasioni.

COMPETENZA

Oltre alla professionalità, è richiesta una particolare competenza individuale degli esponenti che fa riferimento, da un lato, sia al possesso di una conoscenza teorica, acquisita attraverso gli studi e la formazione, sia all’esperienza pratica, acquisita in precedenti attività lavorative o in corso, in determinate materie elencate dal decreto e, dall’altro, alla relativa idoneità rispetto al ruolo da ricoprire e alle caratteristiche della banca o del gruppo bancario.

Il criterio di competenza non è soddisfatto quando le informazioni acquisite delineano un quadro grave, preciso e concordante sull’inidoneità dell’esponente a ricoprire l’incarico. Qualora invece vi siano specifiche e limitate carenze, l’organo amministrativo può adottare misure necessarie a colmarle.

Sono previste presunzioni di competenza per l’esponente in possesso del requisito di professionalità maturato per una durata almeno pari a quella indicata nell’allegato al decreto stesso.

INDIPENDENZA

Il Decreto del Mef regola i requisiti di indipendenza di alcuni amministratori.

Si prevede, ad esempio all’art.13, che non siano indipendenti: a) i partecipanti nella banca, ossia gli azionisti ed i loro coniugi, parenti e affini sino al 4° grado; b) coloro che hanno rapporti economici o professionali con la banca tali da comprometterne l’indipendenza; c) coloro che sono stati esponenti della banca per più di 9 anni negli ultimi 10, senza tuttavia effetto retroattivo. Norme che si applicano unicamente alle banche lucrative e non anche alle Bcc che si dotano dello statuto tipo approvato dalla capogruppo che prevede specifici requisiti di indipendenza (art. 13, comma 2).

Diversamente da quanto previsto in merito al requisito di indipendenza, tutti gli esponenti aziendali devono agire con piena indipendenza di giudizio e, qualora si verifichino una o più situazioni previste dall’art. 13, l’esponente ha l’obbligo di comunicare all’organo amministrativo le relative informazioni e le motivazioni per cui a suo avviso gli stessi non pregiudicano l’indipendenza di giudizio affinché questo possa far partire un’appropriata procedura di verifica per arrivare al mantenimento o alla decadenza dell’esponente.

DISPONIBILITÀ DI TEMPO E LIMITI AL CUMULO DI INCARICHI

La disciplina ricalca quella contenuta nella direttiva Crd IV e richiede una disponibilità di tempo adeguata allo svolgimento degli incarichi bancari.

In sostanza, la banca deve effettuare una stima del tempo necessario allo svolgimento dell’incarico e, sulla base di questa, l’esponente deve compiere un’autovalutazione in merito alla propria disponibilità. Qualora emerga una mancanza di disponibilità di tempo necessario, l’organo amministrativo deve richiedere all’esponente di rinunciare agli incarichi ulteriori ovvero adottare misure quali la revoca di deleghe o compiti specifici o l’esclusione dell’esponente da comitati. La valutazione relativa alla disponibilità concorre alla valutazione dell’idoneità dell’esponente.

Inoltre, sono previsti dei limiti al cumulo degli incarichi nelle banche di maggiori dimensioni o complessità operativa, quindi non applicabile alle Bcc ma unicamente alle loro capogruppo, e prevede che un esponente non possa assumere complessivamente (in quella banca ed in altre banche e società commerciali) più di 1 incarico esecutivo e 2 incarichi non esecutivi, ovvero 4 incarichi non esecutivi, pena la decadenza pronunciata dall’organo amministrativo di appartenenza.

Per la precisione, l’art. 19 prevede che l’assunzione di un incarico non esecutivo aggiuntivo è consentita a condizione che non comprometta la possibilità per l’esponente di dedicare all’incarico presso la banca tempo adeguato a svolgere in modo efficace le proprie funzioni.

Il principio della disponibilità di tempo sembrerebbe presupporre un processo di standardizzazione che caratterizza sempre più la tecnocrazia europea e che parrebbe poggiare su un concetto di omologazione ed omogeneizzazione sia delle capacità professionali che delle competenze attribuibili agli esseri umani. Equiparare l’incarico di amministratore bancario ad un rapporto di lavoro dipendente basato sulle ore lavorate, piuttosto che all’impegno profuso, alla meritocrazia e ai risultati ottenuti, non appare coerente, sempre ad avviso dello scrivente, con il perseguimento della sana e prudente gestione, oltre che in contrasto con i principi basilari di qualunque azienda cui una banca dovrebbe (o vorrebbe) essere assimilata.

Peraltro, il meccanismo dei limiti al cumulo degli incarichi rischia di creare una dipendenza economica dell’esponente bancario in contrasto con il requisito dell’indipendenza poc’anzi esaminato.

Tuttavia, il maggiore paradosso, rilevato anche in sede di consultazione, si ritrova all’art. 18 del decreto Mef in cui si prevede l’esenzione dall’applicazione del principio della disponibilità di tempo agli esponenti bancari che ricoprono incarichi in rappresentanza dello Stato o di altri enti pubblici, i quali, ex lege, si ritroverebbero, a differenza dei comuni mortali, investiti del dono dell’ubiquità e nella possibilità di ricoprire incarichi di amministrazione anche in 10 o 15 grandi banche.

LA POSIZIONE DI FEDERCASSE E CONFCOOPERATIVE

In tale contesto non potevano certo trovare accoglimento le numerose richieste avanzate dalle Bcc in sede di consultazione.

Proprio recentemente sono, difatti, intervenuti in modo energico i due principali enti associativi del credito cooperativo: il Consiglio nazionale di Federcasse e gli organi di Confcooperative.

In sintesi, nella nota congiunta, i due enti hanno evidenziato che il decreto Mef “non applica in modo strutturato i fondamentali princìpi di proporzionalità e di adeguatezza, accelera processi di omologazione e determina paradossali effetti di conservazione”. Infatti, le nuove regole ostacolano “il rinnovamento degli organi sociali e, di conseguenza, l’auspicato incremento della diversità sia di genere sia di profili professionali e l’indispensabile turn over con l’ingresso di amministratori giovani”. Di conseguenza, essi non condividono “l’approccio, ancora una volta solo parzialmente (o incidentalmente) improntato ai princìpi di proporzionalità e di adeguatezza, fondamentali e costitutivi dell’Unione europea”.

Pur apprezzando l’ovvia esclusione delle Bcc dalla categoria delle banche maggiori e l’accoglimento di alcune proposte formulate dai due enti, il decreto “disegna tuttavia un sistema di selezione degli amministratori rigido, a maglie strettissime e con effetti paradossalmente conservativi per le piccole banche e, tra queste, soprattutto per le Bcc”, specie nelle parti dei requisiti di professionalità e competenza, determinando “difficoltà nel reperire soci dotati dei profili richiesti per la candidabilità”, dal momento che le norme mutualistiche delle stesse Bcc impongono di “scegliere i propri amministratori tra i soci i quali sono prevalentemente imprenditori, professionisti, artigiani, agricoltori, commercianti, lavoratori, insegnanti con adeguata esperienza e opportunamente e continuativamente formati”.

L’operatività circoscritta ai territori di insediamento delle Bcc comporta che i soci e dunque i potenziali candidati amministratori di queste non siano espressione della professione dei banchieri e dei grandi operatori finanziari. Profili professionali ai quali il decreto Mef “fa prevalentemente riferimento quando stabilisce i requisiti di professionalità e di competenza degli esponenti”, generando un “effetto di sostanziale congelamento della classe dirigente, ostacolando il rinnovamento degli organi sociali, il necessario incremento della diversità sia di genere sia dei profili professionali e l’indispensabile turn over con l’ingresso di amministratori giovani”.

In sostanza, a detta dei due enti associativi, il Mef non ha ritenuto di utilizzare gli opportuni e adeguati margini di flessibilità e discrezionalità previsti e consentiti dalle direttive europee (Crd IV). Inoltre, non ha tenuto conto adeguatamente della semplicità gestionale delle piccole banche, “accostandole di fatto, per molti aspetti, alla complessità imprenditoriale, manageriale e organizzativa di una grande o grandissima banca quotata in Borsa”.

Per un approfondimento della posizione espressa dal presidente di Federcasse Augusto Dell’Erba sul decreto Mef si rinvia all’intervento di Emanuela Rossi pubblicato domenica su Start Magazine.

CONSIDERAZIONI FINALI

Il vigoroso intervento di Federcasse e Confcooperative sul decreto Mef testimonia una volontà, oramai nemmeno troppo velata, di omologazione in spregio alla tanta decantata (a parole) biodiversità bancaria, insieme ad un disinteresse per la tutela del credito cooperativo italiano da parte dei principali attori europei e soprattutto nazionali (politici, Autorità governative, e soprattutto Autorità di vigilanza). Contrariamente non si spiegherebbe, a fronte di un ciclico apparente interesse politico per le Bcc, il mancato intervento legislativo teso a riportare le stesse nell’alveo naturale delle banche non significant o i favori legislativi e regolamentari attribuiti periodicamente alle grandi banche e alle tecnocrazie improduttive.

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