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Avvelenamenti Iran

Ecco l’azienda che produce le cartucce sparate contro i manifestanti in Iran

Secondo un’inchiesta di France24, tra le cartucce usate per sparare sulla folla nelle proteste in Iran ci sono anche quelle dell’azienda italo-francese Cheddite. Tuttavia, sia Italia che Francia, in quanto Paesi Ue, dovrebbero attenersi alle sanzioni previste dall’Unione nei confronti di Teheran, ma ecco come potrebbero aver aggirato il divieto

 

Proseguono le proteste in Iran scoppiate in seguito alla morte per mano della polizia morale della 22enne Mahsa Amini avvenuta il 16 settembre perché non indossava correttamente il velo. Proseguono le proteste e aumenta la violenza con cui vengono represse.

È di oggi la prima dichiarazione ufficiale da parte di Teheran circa il numero di persone morte negli scontri: ufficialmente sarebbero 300, ma per Human Rights Activists sono almeno 451. Su di loro sono state sparate, tra le altre, anche cartucce della fabbrica italo-francese Cheddite, nonostante le sanzioni Ue nei confronti dell’Iran. A rivelarlo è un’inchiesta di France24 The Observers.

L’INCHIESTA

Un’indagine del team investigativo The Observers dell’emittente televisiva internazionale France24 afferma di aver “trovato prove che le cartucce a pallini per fucili prodotte dall’italo-francese Cheddite sono state utilizzate nella repressione delle proteste in Iran”.

I giornalisti avevano chiesto agli iraniani di inviare fotografie di munizioni esauste recuperate durante le proteste e, dopo aver analizzato con esperti di balistica “più di 100 foto e video che mostrano candelotti di gas lacrimogeno, proiettili di fucile, proiettili di paintball e cartucce di fucili da caccia ampiamente utilizzati dalle forze di sicurezza del Paese”, sono giunti alla conclusione che “mentre la maggior parte dei proiettili fotografati sono stati prodotti in Iran, 13 proiettili recuperati in 8 diverse città iraniane recavano il logo della Cheddite”.

Tali cartucce, secondo l’articolo, “sono state ampiamente utilizzate dai cacciatori iraniani per anni” e un membro delle forze di sicurezza iraniane ha dichiarato che “la sua unità viene talvolta rifornita di cartucce da caccia”.

Le prove sono arrivate dalla capitale Teheran e dalle città Shiraz, Yazd, Karaj, Rasht, Sanandaj, Mahabad e Kamyaran.

L’AZIENDA CHEDDITE

L’azienda Cheddite, il cui logo è un dragone che artiglia il mondo, vanta il suo nome anche sulla Treccani, dove è sinonimo di ‘esplosivo’. Nata a Livorno nel 1901 con il nome di Società Franco Italiana Esplosivo Cheddite, inizia a produrre esplosivi pulverulenti e quasi contemporaneamente – dichiara il sito – “sorge una fabbrica-sorella in Svizzera, nei dintorni del lago di Isleten, dove si affianca anche la fabbricazione della dinamite, compreso il processo di sintesi dei componenti”.

Ma è durante i primi anni ’80, con l’acquisto degli stabilimenti francesi della Gevelot, che l’azienda “posa la ‘prima pietra’ di quella che sarebbe diventata di lì a poco la Cheddite France”.

Negli anni lo stabilimento di Livorno si specializza nella produzione del prodotto finito, le cartucce, e in parte dei componenti, buscioni e borre; mentre quello di Bourg-lès-Valence, nella regione dell’Alvernia-Rodano-Alpi, in bossoli e inneschi.

“Produzione – precisa la Cheddite – che raggiunge in poco tempo elevati livelli di qualità e quantità tanto da garantirgli una posizione da leader in Europa (oltre 1,2 miliardi di inneschi e 1 miliardo di bossoli prodotti all’anno)”.

Tra le partecipazioni associative dell’azienda ci sono l’Association of European Manufacturers of Sporting Ammunition (AFEMS), l’Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni Sportive e Civili (ANPAM), il Comitato Nazionale Caccia e Natura (CNCN), il Progetto Neofiti (NEOFITAV) e la Fondazione Uomo Natura Ambiente (UNA).

LA VIOLAZIONE DELLA SANZIONI UE ALL’IRAN

Ma come ricorda France24, a causa delle sanzioni previste nei confronti dell’Iran, “l’esportazione, diretta o indiretta, [di] attrezzature che potrebbero essere utilizzate per la repressione interna”, comprese “armi da fuoco, munizioni e relativi accessori”, è vietata dal Regolamento del Consiglio dell’UE n. 359/2011, approvato il 12 aprile 2011.

Inoltre, “cinque esperti di sanzioni hanno dichiarato all’emittente francese che il divieto si estende ai bossoli dei fucili da caccia e ai loro componenti, indipendentemente dall’uso previsto o dalla catena di vendita”.

Tra l’altro, l’inchiesta mostra anche una foto pubblicata su un forum di cacciatori iraniani nel 2015 – quindi dopo l’entrata in vigore delle sanzioni – in cui su una scatola di cartucce c’è scritto che “i componenti vengono dall’Italia”.

Episodi simili, denuncia l’articolo, si sono verificati negli scorsi anni anche in Myanmar, altro Paese soggetto al divieto di esportazione da parte dell’Ue di attrezzature utilizzate per la repressione interna.

COSA DICONO GLI ESPERTI DELLA RESPONSABILITÀ DI CHEDDITE

Per Mehrdad Emadi, consigliere economico dell’Unione europea, intervistato da France24, “Cheddite è legalmente responsabile, sia che l’Iran abbia acquistato i prodotti direttamente sia da terzi”. Questo perché “deve controllare i suoi acquirenti e assicurarsi che non rivendano i prodotti a organizzazioni terroristiche o a Paesi vietati dalle norme dell’Ue, poiché i suoi prodotti non sono a duplice uso (dual use), ma sono progettati per ferire o uccidere”.

Ma se l’Iran non ha acquistato direttamente i prodotti da Cheddite come ci sono arrivati nel Paese?

Patrick Wilcken, ricercatore di Amnesty International sul controllo delle armi e i diritti umani, nel commentare la vicenda ipotizza un passaggio dalla Turchia: “[…] Dal momento che i fucili e le munizioni da caccia vengono utilizzati da tempo per le forze dell’ordine in Iran e che la Turchia esporta cartucce in Iran e in altri Paesi ad alto rischio, ci sarebbe un forte argomento per affermare che l’azienda avrebbe dovuto essere a conoscenza di questi rischi e avrebbe dovuto cessare le forniture”.

“LA ROTTA TURCA”

Su un possibile intreccio con la Turchia aveva già indagato ai tempi delle prove arrivate dal Myanmar il manifesto, a partire dalle indagini di alcune Ong italiane che sospettavano che Cheddite vendesse cartucce vuote alla turca Yavascalar YAF e che questa le vendesse al Myanmar.

La Turchia, non essendo membro dell’Ue, non è infatti soggetta alle sanzioni comunitarie. Secondo i dati commerciali dell’Onu, dal 2011, la Turchia ha esportato in Iran cartucce a pallini per un valore di oltre 7 milioni di euro e, nello stesso periodo, l’Italia ha esportato in Turchia bossoli per 85,8 milioni di euro.

Sebbene i dati delle Nazioni Unite relative alle esportazioni di munizioni del 2014 da Livorno, la provincia in cui ha sede Cheddite, verso la Turchia e il Myanmar non indichino l’identità delle aziende coinvolte ma solo la natura delle esportazioni, non c’è dubbio che l’azienda italo-francese abbia intrattenuto rapporti con ZSR Patlayici Sanayi A.S., la società madre di Yavascalar YAF, della quale in passato ha anche posseduto azioni.

Dagli stabilimenti Cheddite non sono giunti commenti né al manifesto né a France24.

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