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Iran

La battaglia per la libertà in Iran

Il corsivo di Marco Orioles sulle proteste per la morte di Mahsa Amini in Iran.

 

Morire a 22 anni picchiata a sangue dalla “Polizia della moralità” che ti ha arrestato per strada perché vestita in modo “improprio”.

È quanto succede nell’Iran del 2022, dove una ragazza di origine curda, Mahsa Amini, è morta mentre si trovava a Teheran dopo essere stata prelevata in strada e trattenuta in una caserma della Polizia della moralità, il corpo specializzato nel perseguitare le donne che violano il dress code islamico anche solo lasciando spuntare una ciocca di capelli dal proprio velo.

Le versioni sul tragico incidente divergono. Nel confermare che la giovane è stata tratta in arresto il 13 settembre perché mal velata e perché indossava pantaloni troppo attillati, la polizia di Teheran ha dichiarato che Amini è finita in coma ed è morta tre giorni dopo in ospedale a causa di un “attacco di cuore”. Ma il padre della ragazza, intervistato da Bbc Persian, sostiene che quelle della polizia sono tutte menzogne e che la figlia godeva di perfette condizioni di salute. Secondo media indipendenti, Mahsa sarebbe stata picchiata selvaggiamente alla testa dagli agenti.

Tanto è bastato per mandare l’Iran in fiamme in quello che è stato definito un momento alla George Floyd, l’uomo di colore morto a Minneapolis soffocato da un agente che l’aveva appena arrestato. La rabbia popolare è esplosa sabato 17 durante il funerale della giovane a Saqez, la città di origine di Mahsa, ed è presto dilagata in tutto il Paese, coinvolgendo la capitale e città come Ilam, Isfahan, Kermanshah, Mahabad, Sanandaj, Sari, Tabriz e perfino la “santa” Mashad, in quelle che sono diventate le manifestazioni più imponenti dal 2019, quando gli iraniani scesero in piazza in massa per protestare contro i rincari record dell’energia e il costo economico delle sanzioni occidentali.

I social media sono stati inondati dei video delle proteste, che mostrano le coraggiose donne iraniane togliersi il velo e bruciarlo, e tagliarsi i capelli come fanno le donne curde in segno di lutto. I cori e gli slogan delle manifestazioni hanno rapidamente preso di mira il regime teocratico nel suo complesso, e si è udito distintamente il grido “Morte ad Ali Khamenei”, la Guida suprema.

La furia della reazione popolare ha dato il pretesto per l’intervento, con i consueti metodi brutali, della polizia antisommossa e dei corpi paramilitari come i Basiji. Secondo l’Associated Press il bilancio è di 9 morti dall’inizio delle proteste, ma fonti indipendenti fanno salire quel numero a quota 31. Frattanto il governo, nel tentativo di sedare le proteste, ha bloccato internet in buona parte del Paese e impedito l’accesso a piattaforme come WhatsApp e Instagram. Ieri infine sono intervenuti con una dichiarazione i temuti Guardiani della Rivoluzione, che hanno chiesto agli organi giudiziari di usare il pugno duro contro chi diffonde “rumor” nei social media.

Siamo dunque a un passo dalla energica repressione di questa ennesima ondata di indignazione popolare contro i soprusi di un regime che trova i suoi fondamenti nell’oppressione e nella discriminazione. A nulla varranno, come sempre, gli appelli delle cancellerie occidentali che in queste ore stanno esortando le autorità iraniane a rispettare la libertà di espressione del popolo.

Ma le potenti immagini delle donne iraniane che si svelano e mandano al rogo il proprio hijab hanno già fatto il giro del mondo e sono state viste da chissà quante connazionali. Tutto lascia intendere che, nonostante la repressione, questo nuovo ciclo di proteste lascerà il segno in un Paese che non ne può più dei diktat degli ayatollah.

Noi occidentali abbiamo il dovere di manifestare vicinanza agli iraniani che stanno sfidando il regime e i suoi violenti corpi di polizia. Dobbiamo soprattutto smetterla di credere alla fandonia secondo cui il velo è parte integrante della cultura e delle tradizioni di quel Paese. L’iniziativa dei “mercoledì bianchi” promossa dall’attivista in esilio Masih Alinejad, che ha portato migliaia di donne iraniane a immortalarsi col capo scoperto e a diffondere le immagini sui social, ha già dimostrato come l’universo femminile in Iran non tolleri più abusi dettati dalla religione.

La battaglia per un Iran finalmente libero sarà lunga ma prosegue.

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