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Bcc

Ecco i motivi del disagio delle Bcc in Iccrea e Ccb

Perché c'è disagio in alcune Bcc che aderiscono ai gruppi Iccrea o Ccb. L'intervento di Marco Bindelli, vice presidente del Banco Marchigiano e consigliere delegato ai rapporti con il credito cooperativo e le capogruppo (gruppo Ccb)

 

In un articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore dell’8 settembre 2020, dal titolo “Il disagio delle Bcc e lo sguardo a via Nazionale”, i professori Guido Alpa e Francesco Capriglione, quali massimi esperti, rispettivamente, di diritto civile e diritto bancario, hanno affrontato le difficoltà cui saranno chiamate, con ogni probabilità, quelle Banche di credito cooperativo (Bcc) che intendono sottrarsi ai diktat della capogruppo e destinare le loro attività ad altro settore della cooperazione, cessando di esistere come banche e cambiando il proprio oggetto sociale.

L’operazione esaminata — per certi versi assimilabile a quella attuata dalla Bcc di Cambiano in ossequio alla way out riservata alle grandi Bcc dalla legge n. 49 del 2016 e per la quale è stato dato spazio qui su Start Magazine a commento dell’Ordinanza della Cassazione che ha rinviato alla Corte Costituzionale — come correttamente osservato dai due giuristi, nonostante non dia luogo a particolari problemi dal punto di vista civilistico, è condizionata dal volere della Banca d’Italia.

Ciò che qui preme sottolineare sono le ragioni per le quali sempre più Bcc, in special modo quelle che hanno aderito al gruppo bancario cooperativo di Cassa centrale banca (Ccb), avvertono l’esigenza di recuperare la propria autonomia gestionale (che evidentemente è andata perduta) attraverso la ricerca di soluzioni atte a conservare nel proprio territorio le risorse patrimoniali faticosamente accumulate con l’attività bancaria senza, tuttavia, sottrarle dall’alveo della cooperazione.

LA SOLUZIONE DEI GRUPPI ADOTTATA CON LA RIFORMA

L’appello alla Banca d’Italia lanciato dalle pagine del quotidiano di Confindustria, affinché non resti silente di fronte alle richieste di Bcc indicative di un disagio fortemente sentito e intervenga sia per ridare autonomia gestionale che per modificare una disciplina che ingessa la loro operatività, lascia supporre che la soluzione adottata nel 2016 con la riforma del credito cooperativo sia risultata inadeguata (de iure o de facto?).

Eppure, ampia parte della dottrina (tra cui anche il prof. Capriglione) si prodigò incessantemente nel 2016 affinché si realizzasse un secondo gruppo bancario cooperativo facente capo a Ccb. Evidentemente, era stata riposta eccessiva fiducia in persone o strumenti giuridici risultati successivamente poco adeguati non appena chiamati alla prima prova operativa, al punto che qualche esponente di Bcc continua a dire sarcasticamente che “siamo caduti dalla padella alla brace”.

Nonostante i sicuri problemi di governance, che ad onor del vero non sembrerebbero interessare unicamente le capogruppo dei gruppi bancari cooperativi (altrimenti non si spiegherebbero le crisi bancarie intervenute negli ultimi dieci anni nelle maggiori banche non cooperative), l’innovativo strumento del contratto di coesione, elemento fondamentale su cui si regge l’impianto sistemico a base del funzionamento dei gruppi bancari cooperativi, parebbe ancora idoneo a risolvere gran parte delle difficoltà riscontrabili nelle Bcc.

Occorre innanzitutto ricordare che il contratto di coesione, se correttamente applicato da entrambi i contraenti, a differenza del contratto di dominio disciplinato ad esempio in Germania, non consente un potere coercitivo così forte da limitare l’autonomia gestionale delle Bcc sane e virtuose. Anzi, lo schema contrattuale approvato dalla Banca d’Italia e sottoscritto da Bcc e capogruppo prevede, oltre al rispetto dei principi cooperativi e mutualistici per l’intero gruppo, una serie di obblighi e doveri in capo a queste ultime disciplinati nell’interesse delle prime e dello stesso gruppo. Senza dimenticare infine le tutele previste dal nostro ordinamento per l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento con gli articoli 2497 e seguenti del codice civile.

Appare quindi evidente che, se molte Bcc si ritrovano oggi a rimpiangere di non aver accettato gli Ips (Istitutional protection schemes) proposti anni addietro da Federcasse, o a richiedere la costituzione di gruppi bancari cooperativi regionali, piuttosto che tentare di liquidare l’attività bancaria (pur restando nell’ambito cooperativo) o ipotizzare una sorta di trasformazione in società per azioni analoga a quella effettuata dalla Bcc di Cambiano, la colpa non può essere attribuita allo strumento giuridico ma a coloro che devono dare al medesimo attuazione. Da qui il fondamentale ruolo delle autorità deputate al controllo del settore bancario cui compete vigilare sulla corretta osservanza della normativa speciale, prevenendo le intemperanze e, se del caso, rimuovendo gli esponenti bancari che appaiono incuranti delle prescrizioni di legge.

LE RESPONSABILITÀ DELLE AUTORITÀ

Oltre a quella attribuibile alla capogruppo, non può essere sottaciuta la responsabilità dell’Autorità di vigilanza, con l’acquiscenza di quella governativa, per aver consentito che il gruppo trentino si avventurasse in un’operazione di salvataggio di una banca società per azioni di grandi dimensioni (Carige SpA) prima ancora di aver tentato di risolvere le problematiche delle Bcc aderenti al gruppo stesso; e, di fatto, utilizzando risorse del credito cooperativo per favorire banche lucrative. Con il rischio — come ben evidenziato dal prof. Marco Sepe — di avviare un processo di ibridazione e di  eterogenesi del gruppo bancario che da cooperativo potrebbe trasformarsi in lucrativo.

Non può essere sottaciuta nemmeno l’inerzia del Mise (ministero dello Sviluppo economico), più volte sollecitata direttamente anche su queste pagine  sin da marzo 2019, che avrebbe dovuto emanare il proprio decreto per disciplinare i controlli finalizzati a verificare che l’esercizio del ruolo e delle funzioni delle due capogruppo risultino coerenti con le finalità mutualistiche delle Bcc.

Inoltre, se da una parte la Banca centrale europea — che, per quanto la sua visione debba ritenersi corretta,  considera le Bcc Significant per il solo fatto di appartenere ad un gruppo Significant e che, a differenza della Federal Reserve e delle evidenze empiriche, vede nella grande dimensione l’unico elemento di stabilità bancaria — sembra far fatica a comprendere l’originalità del contratto di coesione e del gruppo bancario cooperativo imposto dalla riforma, dall’altra, la Banca d’Italia, la quale ha partecipato attivamente al processo di riforma (e quindi ne conosce la ratio e la portata disciplinare) tiene una linea comportamentale sostanzialmente silente di fronte alla evidenza dei fatti che le vengono segnalati da alcune Bcc.

Infine, va segnalato anche il fatto che Federcasse, che dovrebbe farsi portatrice degli interessi mutualistici e cooperativi di tutte le Bcc italiane, è ancora alle prese con l’attuazione di alcune  modifiche del proprio Statuto che potrebbero consentirle di ergersi a super partes, indipendente dalle due capogruppo.

In questo contesto in cui molti sembrano aver dimenticato la storia delle Bcc si fonda la legittima richiesta di intervento della Banca d’Italia a modifica dell’originario impianto di riforma e si spiega come il messaggio finale di speranza espresso dagli illustri autori de Il Sole 24 Ore assuma oggi per molte Bcc una valenza particolarmente significativa.

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