Defense News, rivista statunitense specializzata nel settore difesa, ha pubblicato un’indagine sulle principali aziende di difesa mondiali.
L’analisi individua e classifica le 100 più grandi società di armamenti del mondo, utilizzando una combinazione di ricerca propria, studi di think tank, dati governativi e informazioni fornite dalle stesse aziende. Un aspetto rilevante è la distinzione tra produzione militare e non militare. Airbus, ad esempio, si colloca al 15° posto, non rientrando nelle prime 10 a causa della separazione tra aviazione militare e civile.
SEMPRE PIÙ CORPOSI I BUDGET MILITARI
Tre aspetti salienti emergono dall’analisi complessiva. Il primo è la notevole dimensione delle maggiori aziende: il budget militare del Regno Unito è di circa 68,5 miliardi di dollari, quasi pari al fatturato di una singola azienda come Lockheed Martin. Gli Stati Uniti e la Cina hanno budget enormi, rispettivamente di 877 miliardi e 292 miliardi di dollari, mentre altri stati, incluso la Russia, hanno budget inferiori o paragonabili a quelli delle maggiori aziende.
LOCKHEED MARTIN, RAYTHEON, NORTHROP GRUMMAN GUIDANO LA CLASSIFICA GLOBALE DELLE AZIENDE IN DIFESA
Il secondo aspetto riguarda la predominanza continua delle aziende di difesa statunitensi nella classifica globale, con sei delle prime dieci posizioni occupate da aziende come Lockheed Martin, Raytheon, Northrop Grumman, Boeing, General Dynamics e L3Harris Technologies. Queste sei aziende generano ricavi superiori ai 200 miliardi di dollari, una supremazia che persiste dalla fine della Guerra Fredda. Anche BAE Systems del Regno Unito, settima con ricavi di difesa di 25,3 miliardi di dollari, svolge gran parte del suo business negli Stati Uniti.
L’ASCESA DELLE AZIENDE DI DIFESA CINESI
Il terzo elemento è l’ascesa costante delle aziende cinesi nella classifica mondiale. Quest’anno, tre aziende cinesi sono entrate nelle prime dieci, con miglioramenti nella loro posizione relativa: Aviation Corporation è salita di due posti al quarto, China North Industries è ottava e China South avanza di tre posti al decimo.
LA GRANDEZZA DELLE COMPAGNIE
La grandezza di questi gruppi, unita al loro potente potere di lobbying, rende la maggior parte dei paesi con grandi industrie militari dipendenti da esse come compagnie militari-industriali integrate. Le “porte girevoli” tra militari, servizi civili e aziende sono comuni, specialmente ai livelli più alti. Gli alti ufficiali militari, coinvolti nell’acquisizione e dispiegamento di armamenti, sono molto richiesti dalle aziende per consulenze redditizie dopo il pensionamento o possono unirsi a think tank o università.
LA SPINTA DALLA GUERRA IN UCRAINA AL BUSINESS
Va ricordato che tutte le compagnie militari mondiali dipendono da guerre, rischio di guerre o persino dalla paura sottostante di guerre per avere successo nel business. Solo in queste condizioni i profitti continuano a fluire. Di conseguenza, il conflitto in Ucraina porterà inevitabilmente ad un aumento delle spese militari da parte di molti paesi.
IL PROGETTO COSTS OF WAR DELL’ISTITUTO WATSON DELL’UNIVERSITÀ BROWN
All’altro capo dello spettro, c’è il costo orrendo dei conflitti per le persone e le società. I dati di Defense News non sono utili in questo senso e bisogna rivolgersi a fonti diverse, come il progetto multidisciplinare Costs of War dell’Istituto Watson dell’Università di Brown per gli Affari Internazionali e Pubblici.
Il progetto riferisce che, nelle cosiddette “guerre post 11 settembre”, oltre 940.000 persone sono morte a causa della violenza bellica diretta e tra 3,6 e 3,8 milioni a causa degli effetti indiretti in 22 anni dal 11 settembre 2001.
Questo porta ad un bilancio complessivo di quasi cinque milioni di morti nelle zone di guerra post-11 settembre. Inoltre, si segnala che 38 milioni di persone sono state sfollate all’interno dei propri paesi o costrette a fuggire all’estero.
Quanto agli impatti materiali, con città e paesi danneggiati o distrutti e infrastrutture compromesse, i costi totali sono stimati in oltre 8 trilioni di dollari.
La ricostruzione di città e paesi in Iraq, Siria, Afghanistan, Libia e altrove richiederà anni, e l’impatto sulla salute mentale e fisica di milioni di persone potrebbe durare generazioni.