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È possibile uscire dalla crisi economica post Covid-19

La teoria economica può darci la ricetta di politica economica per uscire dalla crisi innescata da Covid-19. L'intervento di Giuseppe Capuano, autore di Covidnomics

 

In un momento di profonda crisi sia economica che politica oltre che sanitaria come quello attuale e alla vigilia dell’invio alla Commissione Ue della versione definitiva del Recovery Plan italiano (Pnrr), ci sembra opportuno riflettere sul ruolo che la teoria economica (notoriamente una scienza non esatta) possa dare nel fornire indicazioni e “ricette” di politica economica utili e efficaci per uscire dal “tunnel della crisi”.

Una crisi che, secondo autorevoli analisi supportate dalle principali teorie del ciclo economico dovuta a uno “shock esogeno” (il tristemente famoso “cigno nero”, la pandemia Covid-19), pur essendo molto profonda potrebbe rapidamente “riemergere in superficie” e scomparire grazie agli “anticorpi” presenti nel “sano” tessuto produttivo italiano.

La riflessione prende spunto da alcune analisi e proposte di politica economica e industriale presenti nel recente libro Covidnomics scritto per la “edizioni Led” dove sono raccolte mie proposte, idee, spunti e riflessioni elaborate negli ultimi anni e già in parte da me pubblicate anche su questo giornale. Il libro fornisce soprattutto un contributo al vivace dibattito sviluppatosi negli ultimi mesi in Italia in relazione a quali decisioni prendere in materia di politica economica al fine di indicare un nuovo percorso di sviluppo sostenibile nel post crisi Covid-19 e dare un futuro di speranza alle nuove generazioni.

Una strategia di politica economica che non può prescindere da una Europa con l’euro che comunque deve rivedere la sua governance: dall’introduzione di un bilancio europeo comune finanziato da maggiori risorse proprie ad una politica fiscale unica che combatta il “damping fiscale” tra Paesi membri e che abbia come obiettivo la riduzione della pressione fiscale, oltre alla nomina di un Ministro delle finanze europeo e un cambiamento dello Statuto della Bce che contempli anche lo sviluppo tra gli obiettivi di policy oltre al controllo dell’inflazione sul modello della Fed americana. Cambiamenti e riforme necessarie ad una maggiore integrazione europea e propedeutiche ad una progressiva ma costante e necessaria eliminazione dei parametri di Maastricht. Parametri concepiti più di trent’anni fa in un altro momento storico e del ciclo economico e ormai obsoleti.

Per una Unione europea più vicina ai cittadini, alle micro e piccole imprese (con una più elevata propensione ad innovarsi e a operare in rete) e ai territori, che dia maggiore impulso alla riduzione degli squilibri economici e sociali e all’introduzione di un nuovo modello di sviluppo fondato sul passaggio dall’economia lineare all’economia circolare.

Una strategia economica che possa conseguire suddetti obiettivi nel medio-lungo periodo e che possa superare le contraddizioni della teoria del “rigore espansivo” e delle politiche fiscali restrittive sostenute in Europa nell’ultimo ventennio e che tanti danni ha provocato aumentando gli squilibri tra Paesi membri. A tal fine l’Italia dovrà:

– superare la logica emergenziale di breve termine dettata dalla pandemia Covid-19 e favorire interventi focalizzati sulla infrastrutturazione del Paese (infrastrutture materiali e immateriali) finanziati con un ampio utilizzo del risparmio nazionale (circa 4.500 miliardi di euro) e dei fondi europei, in primis il Recovery Fund italiano dotato di circa 209 miliardi di euro oltre alle risorse messe in campo dai Fondi strutturali (circa 100 miliardi di euro);

– gestire la grave situazione dei conti di finanza pubblica, fortemente condizionata dall’impatto negativo della crisi pandemica che porterà il rapporto debito/Pil nel prossimo biennio ad un valore superiore al 160-170%, con l’introduzione di un serio e sostenibile piano di rientro decennale del debito pubblico che contempli, tra gli altri, il raddoppio della quota italiana della proprietà di titoli di debito oggi ampliamente in mano straniera e una seria e non ideologica riflessione sul corretto utilizzo dei circa 120miliardi di euro in oro detenuti “infruttiferamente” dalla Banca d’Italia.

Pensare, quindi, ad interventi di tipo strutturale che se da un lato dovranno contribuire a migliorare la dotazione dei fattori della produzione dall’altro, dovranno sostenere la crescita della produttività. Tra gli interventi di contesto indichiamo:

  • La ripresa di un percorso di semplificazione amministrativa;
  • La digitalizzazione della PA che sconta un forte gap nell’Ue;
  • La riduzione della pressione fiscale tra le più alte d’Europa, concausa dell’alta evasione fiscale;
  • Le facilitazioni all’accesso alla finanza (poco utilizzata) e credito per le imprese (il nostro è un sistema banco centrico: per ogni 100 euro investiti ben 89 provengono dal sistema bancario) in particolare di piccole dimensioni, oggi fortemente penalizzate;
  • Il miglioramento della dotazione infrastrutturale “tradizionale” e digitale, accompagnando la transizione digitale con importanti interventi formativi sul personale già occupato e/o di nuova assunzione;
  • La riduzione del debito pubblico (siamo il terzo al mondo in termini di rapporto debito/Pil) che, ai livelli attuali, nel medio-lungo periodo potrebbe risultare insostenibile;
  • L’innovazione e ricerca dove la spesa in questi settori è tra le più basse d’Europa;
  • Il graduale passaggio dall’economia linea all’economia circolare, con investimenti green e in energia rinnovabili, tenendo presente le esigenze delle filiere produttive e non solo delle singole imprese/settori.

Questi “deficit” si dovranno ridurre nel tempo perché costituiscono dei costi che gravano direttamente e/o indirettamente sulle imprese, minandone la competitività internazionale e rendono l’economia italiana molto fragile.

Si dovranno, inoltre, individuare misure che progressivamente (obiettivi micro di breve-medio termine), in un’ottica di crescita del sistema imprenditoriale, favoriscano il miglioramento delle condizioni strutturali sia interne che esterne alle imprese.

In questa strategia, tra gli altri, occorre sottolineare l’importanza di prevedere interventi “permanenti” di policy dedicati: alle MicroPMI e alle filiere produttive favorendo processi di aggregazione tra imprese utilizzando anche il contratto di rete; al rilancio del Piano “Industria/Impresa 4.0”(le valutazioni d’impatto economico fin qui realizzate forniscono dati molto positivi in termini di crescita del Pil e del fatturato); alla riorganizzazione della nostra economia da “economia lineare a economia circolare” (a tal fine si propone il “contratto di rete circolare” per favorire l’aggregazione di impresa nel loro passaggio a “modelli organizzativi circolari”); alla “rifondazione” della metrologia scientifica e legale (materia sconosciuta in Italia e poco considerata a differenza di altri Paesi europei, in primis la Germania) come precondizioni di politica industriale per il rispetto della fede pubblica e delle regole del mercato a garanzia di imprese e consumatori.

Risulterà strategico, inoltre, ripensare alle modalità di “creazione di valore” attraverso value chain che utilizzino meglio e di più le “reti corte”(con piani di reshoring delle imprese italiane) per sostenere il posizionamento competitivo delle imprese sui mercati internazionali in tutte le loro funzioni organizzative (produzione, commercializzazione, finanza, etc.).

L’insieme di questi e altri interventi di politica industriale (impatto micro), uniti a quelli di politica economica (impatto macro) suggeriti in precedenza, dovranno contribuire a un big push in termini di innovazione non solo tecnologica e di competitività del nostro Paese necessariamente inseriti in un nuovo modello di sviluppo circolare che dovrà essere il fil rouge di ogni intervento di policy e di business imprenditoriale.

Quanto proposto in precedenza, significa che la politica economica dovrà contribuire nel nuovo decennio 2020- 2029, alla trasformazione dell’idea di Paese e di Europa del futuro, condizionando positivamente la nuova programmazione dei Fondi strutturali 2021-2027 (all’interno del budget dell’Unione) e favorendo il buon utilizzo del Recovery Fund (extra budget Ue). Da questo punto di vista la presentazione nei tempi previsti da Bruxelles e l’attuazione rapida del Recovery Plan (più investimenti meno trasferimenti/aiuti a pioggia) proposto recentemente dal Governo italiano risulterà essere la discriminante tra una rapida uscita dalla crisi e l’impantanarsi nelle sabbie mobili della “recessione secolare” conosciuta dall’Italia (e non solo) nell’ultimo quindicennio.

In conclusione, la risposta alla domanda iniziale se la teoria economica possa dare nel fornire indicazioni e “ricette” di politica economica utili e efficaci per uscire dal “tunnel della crisi” è positiva a condizione che la politica faccia la sua parte e operi le sue scelte in tempi rapidi in quanto la “variabile tempo” in questi casi è determinante, a parità di condizioni, per conseguire correttamente gli obiettivi prefissati.

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