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Il Def, Gentiloni e la medicina (Fiscal compact) peggiore del male

Il commento di Gianfranco Polillo dopo l’intervista di Start Magazine all’economista Gustavo Piga su Def e dintorni Gustavo Piga, di cui abbiamo sempre apprezzato gli interventi fuori dal coro, su Start Magazine ha sollevato due distinti problemi. Il primo è di metodo, il secondo di merito. Da un punto di vista giuridico, se si resta…

Gustavo Piga, di cui abbiamo sempre apprezzato gli interventi fuori dal coro, su Start Magazine ha sollevato due distinti problemi. Il primo è di metodo, il secondo di merito. Da un punto di vista giuridico, se si resta nell’ambito del “sistema delle fonti”, il suo ragionamento è sostenibile. Il Def deve rispondere ad una tipologia vincolata dalla legge. Se si esce da questi binari, il documento perde gran parte del suo valore.

L’obiezione: anche da un punto di vista giuridico, una situazione di “necessità ed urgenza” consente di derogare da quei rigidi principi. Altrimenti non si capirebbe la natura del decreto legge, che attribuisce al governo e non al Parlamento la facoltà di legiferare. Anche se poi quest’ultimo è chiamato a ratificarlo nei 60 giorni successivi.

Può sembrare un ragionamento fin troppo ellittico. Ma proprio in tema di finanza pubblica si é fatto più volte ricorso al decreto legge, fuori dalle date canoniche della discussione sul bilancio. E in tutti questi casi si sono applicate le norme regolamentari (verifica del quadro macroeconomico e finanziario, regime degli emendamenti e via dicendo) tipiche di quella fase.

Che l’Italia stia vivendo, in questo momento, una situazione d’emergenza é più che evidente. Paolo Gentiloni resta in carica solo per l’ordinanza amministrazione. Anche volendo, non potrebbe tracciare il profilo programmatico per il 2019. Facoltà che é riservata ad un esecutivo nella pienezza dei poteri. Il che spiega la posizione di Bruxelles. Costretta a prendere atto della situazione e pronta a concedere il tempo necessario. Tanto più che il documento topico è la Nota di variazione al Def, che vedrà la luce il prossimo settembre e rappresenterà la base su cui modulare la legge di bilancio per il prossimo anno.

Ma – si interroga ancora Gustavo Piga – il semplice tendenziale poteva essere costruito da qualsiasi centro studi. Non conveniamo. In quei numeri è la certificazione reale dello stato dell’economia italiana. Il governo in carica ne garantisce la veridicità e se ne assume la responsabilità. Non si dimentichino le vicende greche, la cui crisi è iniziata nel momento in cui si é scoperto che le cifre del bilancio erano state taroccate.

Il secondo aspetto, quello del merito, ci trova concordi con alcune ulteriori specifiche. In economia non esistono “variabili indipendenti” come potrebbe essere quelle del debito o del deficit. Il ragionamento, dai tempi del Tableau economique di Quesnay (siamo agli albori della scienza economica), è sempre circolare. Le singole variabili vanno, in altre parole, inserite in un quadro più generale, per cogliere le relative interdipendenze.

Gustavo Piga, guardando alla situazione italiana, ha quindi ragione a criticare il Fiscal compact. In questo caso la medicina è più dannosa del male che vorrebbe curare. Ma in altri casi – tipo la Francia – la cura risulta appropriata. La differenza sta tutta nel diverso andamento delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Se prevale il deficit (Francia) è giusto intervenire con politiche restrittive. Ma se prevale l’avanzo (Italia) allora la politica economica deve essere espansiva. cioè di segno opposto.

Il Fiscal compact non può essere, quindi, una sorta di totem. Da venerare o da voler demolire. Al di là delle sofisticherie ideologiche (il deficit strutturale di bilancio) è uno strumento di controllo del ciclo. Da attivare quando la congiuntura si surriscalda, da neutralizzare in caso contrario. Tanto più che la politica monetaria non è più di competenza degli Stati nazionali. Il Parlamento ha fatto quindi bene a voler negare il suo inserimento nell’ordinamento giuridico europeo. Ma questa scelta, purtroppo, conterà poco se il governo non negozierà questa posizione a livello europeo.

Le finestre per questa possibile iniziativa non sono ancora venute meno. L’articolo 16 del suo Trattato istitutivo, prevede, infatti, che prima di procedere oltre, sia indispensabile “una verifica” dei risultati (pochi e male) conseguiti. Il prossimo governo avrebbe di conseguenza una grande carta da giocare. Pretendere, nei confronti di coloro che fanno orecchie da mercanti, il rispetto della norma. Per poi avviare, ma solo sulla base dell’evidenza empirica, una discussione seria non sul sesso degli angeli. Ma su come contribuire alla rinascita – perché di questo si tratta – della vecchia Europa.

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