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Tunisia

Perché sono incomprensibili le critiche di Cgil, Pd e M5s al taglio meloniano del cuneo fiscale

Schlein, Conte e Landini hanno espresso rancorosi rilievi contro il decreto Lavoro del governo. Incredibile ma vero. Il commento di Gianfranco Polillo

Le polemiche del sindacato e delle sinistre contro il preannunciato decreto legge sul taglio del cuneo fiscale sono, francamente, incomprensibili. La loro acrimonia lascia intravedere un crescente stato di imbarazzo. Secondo la vulgata corrente, l’Italia sarebbe governata da una destra che più destra non si può, ed invece le scelte compiute hanno più di una parvenza di sinistra. In altre parole si fanno carico del disagio sociale e cercano, in qualche modo, di rimediarvi. Senza naturalmente scassare i conti pubblici: bene primario.

Ovviamente è una via diversa da quella portata avanti da Giuseppe Conte, specialmente dopo l’abbraccio con Nicola Zingaretti, allora segretario dei DS. Quell’idea – bonus per tutti – è stata archiviata dopo aver calcolato con maggiore esattezza il costo di quelle misure. Dai 10 miliardi di euro stanziati per coprire gli oneri del reddito di cittadinanza, che oggi lo stesso Maurizio Landini sembra aver sposato, si è passati rapidamente ai 116,3 miliardi per finanziare il bonus facciate, il 110 per cento e le ristrutturazioni antisismiche. Soldi che non essendo disponibili, graveranno sui bilanci futuri, specie per quanto riguarda la “cassa”.

Ne deriverà un forte aumento dell’emissione di titoli di stato e quindi una più accentuata dinamica del debito pubblico. Il tutto in un momento in cui la Commissione europea sembra intenzionata a varare le nuove regole del Patto di stabilità e crescita. Che saranno centrate proprio sulla riduzione del rapporto debito/Pil. Date queste circostanze, Giuseppe Conte, invece di inveire contro un presunto “stato confusionale” del Governo, farebbe meglio a tacere. E meditare sulla leggerezza delle scelte compiute, in passato, dal suo Governo.

I PIEDI DI PIOMBO DI MELONI E GIORGETTI

Giorgia Meloni ed il suo ministro dell’economia, invece, si stanno muovendo con i piedi di piombo. Lo dimostra l’endorsement ricevuto dal mitico Lars Feld: direttore del Walter Eucken Institut, nonché professore di politica economica all’università di Friburgo. Ma soprattutto uno dei personaggi più influenti tra i falchi berlinesi. Il quale non aveva esitato a riconoscere qualche tempo fa, come riportava la Repubblica, che la “Meloni” stava “tenendo testa ai suoi partner di governo”. Giudizio che non sarà certo una medaglia da attaccarsi al bavero della giacca, ma tale da garantire, almeno, una seria base di partenza per un’eventuale discussione. Sempre che non vi siano prevenzioni e preconcetti.

COME VA L’ITALIA

Del resto il Paese sta reagendo bene. Ha smentito le fin troppo facili profezie sulla mancata tenuta dei nostri titoli di Stato. Il Pil del primo trimestre è cresciuto ben oltre le previsioni iniziali ed al di sopra delle medie europee, soprattutto rispetto ai suoi principali concorrenti: Francia e Germania. Ovviamente non sono solo rose e fiori. L’inflazione ad aprile ha rialzato la testa (più 8,3 per cento), contro una media europea del 7 per cento. C’è tuttavia da ricordare che negli ultimi quattro o cinque anni quella italiana era stata inferiore alle medie europee. Il quadro sarà, quindi, anche a macchia di leopardo, ma non può certo dire che si stia brindando sulla tolda del Titanic.

Al contrario: è facile ipotizzare se il diavolo, nelle nuove sembianze di Vladimir Putin, non ci metterà la coda, che nel secondo semestre dell’anno, si potrebbe prevedere una possibile ulteriore crescita del Pil oltre lo 0,9 per cento, già rivisto. Tant’è che c’è già chi azzarda un 1,2 per cento. Fosse così, si avrebbero altre risorse da poter utilizzare sia per ridurre ancor di più il cuneo fiscale. Sia per renderlo strutturale. Finora le risorse impegnate sono state pari a 7,5 miliardi: 4 nella legge di bilancio ed altri 3,5 con il prossimo decreto. Il tutto nello spazio di pochi mesi.

IL RANCORE DI SCHLEIN, CONTE E LANDINI PER IL DECRETO LAVORO

Lo sgravio degli 80 euro deciso da Matteo Renzi, qualche anno fa, impegnò circa 10 miliardi. Cifra non troppo lontana da quelle proposte dall’attuale Governo. Allora le opposizioni masticarono amaro, ma fecero buon viso al cattivo gioco. Renzi stava vincendo la prima manche della sua partita, meglio non mettersi di traverso per non dare l’idea di essersi trasformati in “rosiconi”. Termine allora alla moda. Elly Schlein, Giuseppe Conte e Maurizio Landini invece hanno scelto l’esatto opposto, dando sfogo ad un rancoroso malumore. Francamente non sembra essere la scelta migliore. Ma ai posteri l’ardua sentenza.

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