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Le news su Confindustria, Dagospia, Luiss, Bnl, Caltagirone, Starlink e non solo

Che cosa si scrive e che cosa non si scrive su Confindustria, Dagospia, Luiss, Bnl, Caltagirone, Starlink e non solo. Pillole di rassegna stampa

 

CONFINDUSTRIA: VINCITORI E SCONFITTI

CHE COSA CAMBIERA’ IN CONFINDUSTRIA CON ORSINI

DAGOSPIA SUPERQUIRINALIZIO

 

GLI AFFARUCCI DI CALTAGIRONE CON L’UNIVERSITA’ DI CONFINDUSTRIA

 

CARTOLINA DA ROMA

 

CARTOLINA DALLA LOMBARDIA

 

CARTOLINA DALL’UNGHERIA

 

CARTOLINA DALLA TURCHIA

 

CARTOLINA DA ISRAELE

 

CARTOLINA MILITARE

 

CARTOLINA DALLA BNL

TUTTI GLI ULTIMI SUBBUGLI IN CASA BNL

 

I NUMERI DI TESLA

 

IL SOLE FOLGORA STARLINK

CHE COSA SUCCEDE DAVVERO FRA STARLINK E TIM?

TUTTI I GUAI DI OPEN FIBER

 

A CHI CONVIENE LA FUSIONE RAIWAY-EI TOWERS?

 

IL BUSINESS DELL’OBESITA’

 

IL BUSINESS DELLE PALLE

 

COSA SUCCEDE AL MERCATO DEI CARCIOFI

 

COSA SUCCEDE AL MERCATO DEL GAS

 

GIORNALISMI

 

SINDACALISMI

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ESTRATTO DI UN ARTICOLO DELL’ECONOMISTA ALESSANDRO PENATI PER DOMANI SU RAIWAY ED EI TOWERS:

La Rai è un braccio della politica, ma anche una società per azioni che deve rispettare i vincoli di bilancio. Così, per abbattere il suo debito crescente, il governo ha ridotto dal 65 al 30 per cento la quota che Rai deve mantenere in Raiway, la società che gestisce le sue torri di trasmissione, permettendole di vendere per far cassa.

Ma è un’operazione di facciata perché le torri sono strumentali per Rai, e per questo paga a Raiway un canone di affitto contrattualmente predeterminato: cedendo una parte della sua partecipazione, Rai può ridurre il suo debito e pagare meno interessi; ma aumenta anche la quota dei ricavi di Raiway che vanno a beneficio di terzi.

Così facendo il governo apre anche alla possibilità di una fusione con EiTowers, la società delle torri ex Mediaset, controllata dal fondo F2i, e per il 40 per cento da Fininvest.

Una fusione che sarebbe vantaggiosa per F2i, e Fininvest, perché EiTowers potrebbe scaricare nel nuovo gruppo il suo maggior indebitamento (oltre 700 milioni rispetto ai 140 di Raiway), e avvantaggiarsi della maggior redditività di Raiway grazie alla generosità dell’affitto pagato da Rai.

La decisione del governo non risolve dunque i problemi strutturali del bilancio di Rai; ma permette un’ eventuale fusione che costituirebbe per F2i e Fininvest una via di uscita vantaggiosa dal business delle torri.

Nuovi sviluppi nella saga di Tim. Dopo aver illuso per anni di poter risolvere il problema del debito insostenibile e degli esuberi cedendo a caro prezzo la Rete a un governo smanioso di creare la società Unica a controllo pubblico, il titolo è crollato quando Tim ha fornito le prime indicazioni su quanto il debito sarebbe effettivamente sceso post cessione: troppo poco, perché a comprare è Kkr, che ha obiettivi di rendimento elevati, non lo stato generoso quando si tratta di attività “strategiche”.

Il consiglio di amministrazione di Tim si è allora riunito in emergenza per spiegare al mercato perché si sbagliava: spiegazioni poco convincenti visto che le posizioni allo scoperto sul titolo sono raddoppiate, arrivando a un quinto del capitale.

Ma Tim va avanti, mettendo in vendita un altro miliardo di attività. Vende Sparkle al Governo, che offrendo meno della richiesta ha dovuto chiedere aiuto al fondo Asterion. Governo già alle prese con il rifinanziamento dei 6 miliardi di debito di Open Fiber, che indirettamente garantisce.

Tim vende anche la quota residua in Inwit, detenuta con il fondo Ardian: operazione simile a Raiway perchè Inwit gestisce le sue torri di trasmissione nel mobile.

Ceduta la rete fissa e le torri, che però dovrà continuare a pagare per utilizzarle, verrà inevitabilmente ceduto anche il Brasile, e Tim rimarrà una società di servizi in un settore fortemente concorrenziale con quattro operatori, e che cresce poco. Difficile rimanga indipendente. La saga continua.

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ESTRATTO DI UN ARTICOLO DEL SOLE 24 ORE SUI CARCIOFI E NON SOLO:

Con 20 centesimi a carciofo, non si recuperano nemmeno i costi di produzione. E così gli agricoltori di Brindisi preferiscono abbandonare nei campi anche i carciofi violetti, della pregiata varietà Igp locale. I prezzi, denuncia la Coldiretti Puglia, sono crollati di quasi il 70% anche per colpa dei carciofi egiziani, che stanno invadendo i mercati nazionali con quotazioni capaci di sbaragliare qualsiasi concorrenza. Sempre in Puglia ma più a Nord, nella Capitanata foggiana, stessa sorte tocca a broccoli e finocchi: nei campi stanno finendo sotto la fresa, interrati perché non conviene raccoglierli, o con gli agricoltori che invitano i cittadini ad andare a coglierseli direttamente in campagna, da soli.

Eppure, sui banchi dei fruttivendoli e dei supermercati questi ortaggi vengono venduti a ben di più. Secondo i calcoli della Coldiretti i carciofi, per esempio, partono dalla campagna a 0,15-0,20 centesimi l’uno e arrivano in città a 1,10 euro. Dal campo alla tavola, l’aumento è di sette volte tanto.

Durante l’ultimo consiglio dei ministri Ue dell’Agricoltura, martedì scorso, gli agricoltori europei sono di nuovo scesi in piazza a Bruxelles per chiedere la giusta remunerazione dei propri prodotti. Lo stesso giorno il commissario all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski ha dichiarato che sta «valutando la possibilità di rivedere la direttiva sulle pratiche commerciali sleali per includervi il divieto di pagare gli agricoltori meno dei costi di produzione, ovvero introdurre un giusto margine sui prezzi di vendita dei prodotti». Per chi lavora la terra, questa oggi è una delle battaglie più importanti.

Sulla base dei dati ufficiali rilevati da Ismea, Coldiretti ha calcolato la variabilità dei prezzi pagati ai produttori negli ultimi 12 mesi. Le clementine sono state vendute tra gli 82 e i 30 centesimi al chilo, le arance tra 53 e 32 centesimi. Decisamente più ampia la forbice nel caso dei broccoli: a qualcuno vengono remunerati 43 centesimi al chilo, ad altri 1,13 euro. Ma sono i finocchi a battere ogni record, si spazia dai 2,2 euro ai 28 centesimi: è chiaro che, nel secondo caso, la voglia di lasciarli in campo sale. «Troppo spesso il prezzo corrisposto agli imprenditori agricoli non remunera adeguatamente il lavoro e il rischio imprenditoriale, mettendo in dubbio la stessa sopravvivenza delle imprese agricole», sostiene Lorenzo Bazzana, responsabile dell’area economica della Coldiretti nazionale. A rischio non ci sono solo broccoli, finocchi e clementine: «Per i prezzi troppo bassi – prosegue – assistiamo anche al progressivo abbandono della coltivazione del frumento, duro e tenero. In un chilo di pane c’è dentro un chilo di frumento tenero, che però oggi all’agricoltore viene pagato solo 22 centesimi: possibile, visto il prezzo del pane, che non si riesca a pagare di più il grano?».

Spesso, tra il minimo e il massimo delle quotazioni la differenza la fanno pochi centesimi, «ma quei pochi, per un’azienda agricola, significano guadagno o perdita, vita o morte – spiega Bazzana -. E anche quando il prezzo è più elevato, questo è dovuto quasi sempre alla carenza di prodotto, a un calo del raccolto riconducibile a siccità, gelo, grandine o ad attacchi di parassiti. La conseguenza è comunque un reddito insufficiente per gli agricoltori».

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