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Globalizzazione

La crisi delle filiere sta finendo?

La crisi internazionale delle filiere si sta facendo meno grave, ma non si è risolta. Anche se il quadro generale è migliorato, nuovi focolai di coronavirus potrebbero tornare a "inceppare" le supply chain. Tutti i dettagli

 

La crisi internazionale delle catene di approvvigionamento si sta facendo meno grave, scrive il quotidiano americano Wall Street Journal, ma non si è ancora risolta. Molti dirigenti di società che operano nel settore manifatturiero, del trasporto marittimo e della vendita al dettaglio dicono infatti che il ritorno alla “normalità” – cioè a una situazione pre-pandemia, che ha sconvolto le supply chain – non ci sarà prima dell’anno prossimo. E che il quadro potrebbe peggiorare di nuovo con l’emersione di focolai di coronavirus, che andrebbero a bloccare i principali centri di distribuzione.

LE NOVITÀ

Nelle ultime settimane si è registrato un miglioramento della situazione in Asia: il numero di fabbriche chiuse a causa dei contagi si è ridotto, le limitazioni delle capacità portuali sono diminuite e anche le carenze energetiche si sono alleviate. Negli Stati Uniti invece, il paese che importa più merci al mondo, gli acquisti dall’estero di prodotti vari necessari al grande periodo di spesa festivo sono terminati. I tassi di trasporto oceanico si sono abbassati rispetto ai livelli record.

I PROBLEMI IRRISOLTI

Ci sono però diversi grandi fattori che pesano sulla ripresa economica globale: ad esempio la domanda di beni da parte dei consumatori in Occidente, che rimane forte; la congestione nei porti degli Stati Uniti (in particolare a Los Angeles e Long Beach); la mancanza di autisti di camion; il rischio di un aumento dei contagi; l’impatto degli eventi metereologici estremi sulle vie di comunicazione (come in Canada).

Il Wall Street Journal scrive che se i “punti di strozzatura” (cioè i passaggi più critici) delle catene di approvvigionamento venissero allentati, allora la produzione potrebbe riuscire a soddisfare i volumi della domanda e i costi della logistica si abbasserebbero. Di conseguenza, anche la pressione al rialzo sull’inflazione diminuirebbe.

LE PREVISIONI

Secondo varie aziende di trasporto marittimo e vendita al dettaglio sentite dal quotidiano, gli ingorghi ai porti americani – ci sono ancora 71 navi portacontainer ormeggiate al largo di Los Angeles e Long Beach, in attesa di scaricare – si risolveranno all’inizio del 2022, quando il periodo di acquisti pre-festivo sarà terminato e molte fabbriche in Asia chiuderanno per il Capodanno lunare (a febbraio), diminuendo l’output e dunque permettendo di gestire meglio gli arretrati.

COME VA IL COMMERCIO SUL PACIFICO

Di recente i tassi di trasporto attraverso l’oceano Pacifico sono diminuiti perché le aziende della grande distribuzione americana – come Walmart o Target – hanno finito di importare quello di cui avevano bisogno per la stagione festiva. Nella settimana conclusasi il 12 novembre il prezzo di trasporto di un container per il Pacifico è diminuito di oltre un quarto: si tratta del calo più grande degli ultimi due anni.

Louis Kuijs, economista esperto di Asia dell’Oxford Economics, ha detto al Wall Street Journal che, da un punto di vista globale, “il peggio è alle spalle”: i problemi alle catene di approvvigionamento hanno cioè già raggiunto il loro apice, o lo raggiungeranno entro la fine dell’anno.

Se dovessero però verificarsi nuove crisi – ad esempio una nuova chiusura del porto cinese di Ningbo-Zhoushan, come già successo ad agosto per un singolo caso di COVID-19 -, i tassi di trasporto tornerebbero a salire.

COME VANNO LE FABBRICHE IN ASIA

I livelli di output delle fabbriche in Vietnam e Malaysia, dopo il calo degli ultimi mesi legato alla pandemia, sono ripresi a salire: la diminuzione dei casi di contagio ha allentato le restrizioni alle attività produttive, lasciando respirare le supply chain dei semiconduttori o dell’industria tessile che hanno bisogno dell’Asia per componenti o materie prime varie.

Non si è tutto risolto, però. In Vietnam, ad esempio, ci sono due problemi seri: gli costi di trasporto marittimo e la carenza di lavoratori. Molti operai che sono tornati nei loro villaggi rurali di origine nei mesi di pandemia, infatti, devono ancora tornare nelle aree urbane. Ad esempio, le fabbriche di materiali per i mobili da 200-500 lavoratori stanno operando all’80 per cento della loro capacità; gli impianti ancora più grandi, da 3000 dipendenti, al 65 per cento.

In Cina la crisi energetica, legata alla penuria di carbone e ripercossasi sulle industrie, sta migliorando e – stando a quanto dichiarato dalle aziende del Guangdong, importante polo manifatturiero – i livelli produttivi sarebbero tornati alla normalità.

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