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Il Corriere della Sera critica il Corriere della Sera

L'industria va male ma non preoccupa nessuno, scrive de Bortoli sul Corriere. Poi il Corriere pubblica un'intervista al capo economista di Intesa Sanpaolo, secondo cui l'industria va male ma non c'è da preoccuparsi troppo.

Caro direttore,

ti interesserà senz’altro sapere che ho passato un bel finesettimana a casa con l’influenza: quale scusa migliore – non che abbia più bisogno di scuse, alla mia età, per assecondare la misantropia – per immergermi nella lettura e allontanarmi dalla tempesta di messaggi su WhatsApp.

Così, ho aperto la mattinata di sabato con la lettura del primo quotidiano italiano, il Corriere della Sera, dove ho subito notato in prima pagina un richiamo all’editoriale di Ferruccio de Bortoli, che del Corriere è stato direttore – oltre che del Sole 24 Ore – e oggi ne è editorialista di punta e attinge spesso e volentieri agli studi di Intesa Sanpaolo (per questa banca de Bortoli ha avuto sempre un occhio di riguardo forse per l’antica frequentazione stima per Giuseppe Guzzetti).

L’industria va male ma non preoccupa nessuno, si intitola il pezzo di de Bortoli, che scrive: “L’indice tendenziale della produzione industriale, calcolato dall’Istat e aggiornato a novembre scorso, è in calo ormai da ventidue mesi. Anche il fatturato è in caduta. Ma sembra non preoccupare nessuno. Ed è questo il problema. In altri tempi ci sarebbero state infinite polemiche e discussioni. Oggi no. Nemmeno la Confindustria ha la forza di imporre il futuro della manifattura al centro del dibattito nazionale”.

Nemmeno de Bortoli sa spiegarsi il perché di questo disinteresse. Forse – interpreto io sulla base dei suoi suggerimenti – c’entra effettivamente la “netta divaricazione tra finanza e industria”, con la prima che generalmente performa bene, a differenza dell’altra.

Il mio weekend non è iniziato con il più ottimistico dei buongiorni, insomma. Ma è proseguito bene, io sono sopravvissuto al raffreddore e stamattina ho riaperto il Corriere della Sera. Mi sono diretto all’inserto L’Economia e ci ho trovato una paginata di intervista a Gregorio De Felicechief economist di Intesa Sanpaolo, sullo stato dell’industria italiana: cioè esattamente su quanto trattato due giorni prima da de Bortoli.

La produzione industriale italiana è in calo da ventidue mesi consecutivi, ma De Felice non pensa che sia “una crisi di sistema e soprattutto non mette in discussione il modello italiano”; anzi, “la nostra industria si presenta rafforzata nella struttura patrimoniale e nella redditività”. L’automotive va male, ok, ma è colpa delle “decisioni Ue. Non si può pensare a una transizione rapida come quella delineata per l’elettrico senza predisporre i fattori abilitanti”, come l’approvvigionamento delle batterie e la rete di ricarica.

Stellantis, l’unico produttore automobilistico italiano, non meritava una menzioncina da parte di de Bortoli? O forse, come recita il detto, “si dice il peccato ma non il peccatore”.

L’ultimo comunicato dell’Istat relativo alla produzione industriale italiana è riferito a novembre 2024 e riporta un calo del 13,8 per cento nella fabbricazione di veicoli.

Il comunicato precedente, diffuso lo scorso dicembre e riferito a ottobre, segnalava un calo tendenziale del 16,4 per cento sempre nella fabbricazione di mezzi di trasporto. Non proprio bruscolini queste percentuali negative.

 

Non mi risulta che Stellantis produca solo auto elettriche, né che le auto con motore termico se la passino benissimo: forse la crisi dell’industria automobilistica italiana (ed europea) non è tutta colpa della transizione energetica e delle batterie cinesi.

Cito stavolta non il capo economista di Intesa Sanpaolo né l’Istat, ma la Fim-Cisl. Che a proposito di Stellantis parla del 2024 come di un “anno nero”, con una produzione in forte calo rispetto all’anno precedente: 475.090 veicoli anziché 751.384.

Nel 2024 “per la prima volta tutti gli stabilimenti sono in negativo”. La produzione di auto, in particolare, è crollata del 45,7 per cento a 283.090 unità, il minimo dal 1956.

Insomma, giusto un garbato strattone all’esecutivo (magari invocando la solita politica industriale, gingillo pure di quotidiani che anelano al liberismo giavazziano) nello stile sulfureo tipico del Corriere e di Bortoli, ma è bene ascoltare sempre l’ufficio studi di Intesa Sanpaolo e dire pane al pane e vino al vino (visto che non si è controllati dalla famiglia Elkann come Repubblica).

Cordiali saluti,

Francis Walsingham

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