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Contante e Pnrr, ecco perché lo scontro con l’Ue non esiste

Che cosa si dice e che cosa non si dice su tetto al contante e Pnrr. L'analisi di Giuseppe Liturri

 

Il quotidiano La Stampa il 29 novembre ha titolato in prima pagina “Contante e PNRR, scontro con l’UE. Stando a quanto riferisce il giornale torinese, a Bruxelles ritengono che la disposizione contenuta nell’articolo 69 del disegno di legge di bilancio – che alza da zero a 60 € la soglia per fare scattare sanzioni per la mancata accettazione di carte di credito e porta a 5.000 € la soglia per pagamenti in contanti – “è in contrasto con gli impegni presi dall’Italia nell’ambito dell’accordo sul Pnrr: «Va nella direzione opposta rispetto a quella indicata dalle raccomandazioni Ue» spiega una fonte europea.”

Inoltre, si sostiene che “Le raccomandazioni per il 2019 fanno parte degli impegni sottoscritti per ottenere i fondi del Pnrr e il loro rispetto è fondamentale per non avere problemi in occasione delle richieste di pagamento” e che “se non si offrirà all’Italia una via d’uscita o non si potrà trovare un’interpretazione diversa alle raccomandazioni allegate al Pnrr, l’esecutivo ha già fatto sapere che rinuncerà al provvedimento”.

Nessuna di queste affermazioni ci convince e trova riscontro negli atti relativi al PNRR, come dimostreremo di seguito.

Partiamo dalla presunta pietra dello scandalo. A partire dal 30 giugno scorso e fino ad oggi, la mancata accettazione di strumenti di pagamento elettronici comporta la sanzione pecuniaria di 30 € a cui si aggiunge il 4% della transazione rifiutata. Il governo interviene semplicemente a porre rimedio, in misura peraltro modesta, ad una eccessiva penalizzazione, che vedrebbe l’esercente punito con 30 € pure per la mancata accettazione della carta di credito per pagare un caffè. Ciò “al fine di assicurare la proporzionalità tra l’entità della sanzione irrogabile (in ogni caso non inferiore ad euro 30) e l’importo del pagamento rifiutato e, dall’altro, di tenere conto della crisi di liquidità e degli incrementi dei costi produttivi, gestionali e operativi, prodotti in capo agli operatori economici dall’inflazione e dall’aumento dei costi dei prodotti energetici” come recita la relazione illustrativa alla norma in discussione. Un ragionamento di puro buon senso, per evitare agli esercenti il pagamento di commissioni in misura fissa su incassi di modesto valore e che non si vede come potrebbe scatenare gli appetiti di orde di presunti evasori, stante la soglia fissata a 60 €. Sfugge davvero a qualsiasi logica economica, affermare che tale modesto intervento possa contrastare una complessiva strategia di contrasto all’evasione che basa su fondamenta e strumenti ben più solidi, come vedremo più avanti.

Questo argomento sarebbe già sufficiente per dichiarare cessata la materia del contendere, ma è bene cogliere l’occasione per evidenziare la confusione e l’oggettiva imprecisione con cui è trattato l’argomento.

È vero che nelle raccomandazioni Paese 2019 ci viene chiesto di “contrastare l’evasione fiscale, in particolare nella forma dell’omessa fatturazione, potenziando i pagamenti elettronici obbligatori anche mediante un abbassamento dei limiti legali per i pagamenti in contanti”.

Ma il loro rispetto (spiegare come il Piano per la ripresa e la resilienza contribuisca ad affrontare in modo efficace tutte o un sottoinsieme significativo delle sfide, individuate nelle pertinenti Raccomandazioni specifiche per paese, chiede l’articolo 18 del regolamento 241/2021) solo come uno dei tanti parametri per la valutazione complessiva del PNRR. Tra l’altro non era nemmeno richiesto che venissero affrontate tutte le “sfide” delle Raccomandazioni.

A tale proposito, il governo Draghi nel PNRR rispondeva alla richiesta, spiegando che “l’attività di contrasto all’evasione fiscale prosegue e, al netto degli effetti avversi della crisi epidemica sull’attività di recupero del gettito, ha prodotto positivi risultati anche nel 2020. Secondo l’ultima Relazione sul tema, il tax gap nel 2018 si è ridotto di 5 miliardi, con progressi particolarmente significativi per quanto riguarda il gettito IVA 16. Negli ultimi due anni, l’allargamento dell’obbligatorietà della fatturazione elettronica e la trasmissione digitale dei corrispettivi (‘scontrini elettronici’) hanno portato ad ulteriori aumenti del gettito. La diffusione dei pagamenti elettronici è stata promossa con il Piano “Italia Cashless”, attraverso la riduzione del limite massimo di utilizzo del contante (da 3.000 a 2.000 euro da luglio 2020 e a 1.000 euro da gennaio 2022”.

E tanto è bastato alla Commissione per approvare il piano. Perché a Bruxelles preme ottenere la riduzione dell’evasione fiscale e lo strumento dei pagamenti elettronici è solo uno tra quelli raccomandati a tal fine. Conseguendo quell’obiettivo si rispettano le raccomandazioni. Non bisogna confondere l’obiettivo con lo strumento che – ammesso e non concesso che sia efficace – non è l’unico a disposizione. Inoltre, tra gli strumenti, non figura mai la soglia per le sanzioni per mancato utilizzo del POS.

A dimostrare l’attenzione della Commissione per l’obiettivo (e non per lo strumento) c’è che tra i circa 500 obiettivi e riforme che condizionano l’erogazione delle dieci rate semestrali, si prevede che la propensione al gap – una misura che stima la propensione all’evasione, rapportando il tax gap, cioè la differenza tra gettito teorico e gettito effettivo, al gettito teorico – scenda del 5% entro il 2023 e del 15% entro il 2024, rispetto al dato di base del 2019. Considerando la propensione al gap del 2018 pari al 19,6% (il 2019 sarà disponibile entro poche settimane), si tratta di scendere al 18,6% entro il 2023 e al 16,7% entro il 2024.

Quando la Commissione ha voluto mettere dei paletti sul fronte dell’evasione fiscale, lo ha fatto. Infatti diverse scadenze semestrali del PNRR sono contengono obiettivi relativi all’aumento delle “lettere di conformità” (gli inviti ad adempiere ai contribuenti sospettati di irregolarità), alla diminuzione del numero di falsi positivi ed all’aumento del gettito derivante, che dovrebbe aumentare del 30% rispetto a quello del 2019.

Inoltre il mancato rispetto delle raccomandazioni Paese – che comunque non c’è – non crea “problemi in occasione delle richieste di pagamento”, perché queste ultime sono rigidamente collegate al rispetto di obiettivi e traguardi in cui le raccomandazioni Paese non figurano affatto. Non esistono “raccomandazioni allegate al PNRR” da rispettare. O meglio, esistono solo gli oltre 500 obiettivi e traguardi in cui non c’è traccia di obblighi di POS, relative sanzioni e limiti al contante.

Infine – come la Commissione sa bene – i più importanti risultati sul fronte dell’evasione fiscale sono stati ottenuti in Italia dopo il 2017, quando il tax gap IVA (l’imposta più evasa) è sceso all’improvviso di 4 punti percentuali, senza che sia stata affatto toccata la soglia per i pagamenti in contanti. Quel risultato è stato semplicemente l’effetto dell’introduzione da parte del governo Renzi dell’obbligo di comunicazione trimestrale dei dati IVA (il cosiddetto spesometro), sulla scia del quale è poi arrivata la fattura elettronica (uno spesometro in tempo quasi reale che poco ha aggiunto all’efficacia del suo precursore) e lo scontrino elettronico. Quelle sono le norme che hanno ridotto l’evasione.

Non la variazione della soglia di pagamento che – abbassata o aumentata di qualche migliaio di euro – non ha mai prodotto effetti tangibili sul tax gap. Discutere della relazione tra contante ed evasione (che esiste) è fuorviante perché bisogna osservare la relazione tra variazione della soglia ed evasione (che non esiste).

Ciò basterebbe a far terminare subito ogni stucchevole e infondata discussione che appare avere solo l’obiettivo di strumentalizzare – solo per creare frizioni tra Roma e Bruxelles – misure di puro buon senso adottate dal governo.

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