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Energia

A chi giova la lotta al contante?

L'analisi di Giuseppe Liturri

 

In principio erano € 3.000. Dal 1° luglio del 2020 siamo passati a € 2.000 e dal 1 gennaio 2022 si scenderà a €1.000. Stiamo parlando del limite all’utilizzo di contanti come strumento di pagamento tra soggetti che non siano intermediari finanziari. Tutti gli altri devono utilizzare strumenti tracciabili (assegno, bonifico, carta di credito, bancomat, ecc…).

Si tratta della semplice esecuzione di quanto disposto dal governo Conte 2 con un decreto legge dell’ottobre 2019 all’interno del solito immancabile paragrafo titolato “misure di contrasto all’evasione fiscale”. Nonostante quel decreto fu aspramente criticato da una lettera della BCE, esaminata più avanti, lo scorso 13 ottobre questa soglia è stata confermata proprio dal Mef nel corso di un’interrogazione a risposta immediata in Commissione Finanze alla Camera.

Torneremo così al livello pre-esistente al 1° gennaio 2016, quando il limite fu innalzato da €1.000 a €3.000 dal governo di Matteo Renzi. Il minimo edittale della sanzione scenderà da € 2.000 a €1.000, valido sia per chi esegue il pagamento per chi lo riceve e il versamento per l’oblazione sarà pari a €2.000. Mentre chi, essendovi tenuto come i professionisti, ometterà la segnalazione per l’antiriciclaggio sarà soggetto a sanzione da €3.000 a €15.000, con oblazione fissata a €5.000.

Come spesso accade, c’è lo zampino della UE. Infatti, questa disposizione trova origine nelle raccomandazioni Paese 2019 della Commissione. Nella parte riferita al contrasto all’evasione, l’Italia fu stata invitata a potenziare i pagamenti elettronici obbligatori, anche mediante un abbassamento dei limiti legali per i pagamenti in contanti. E noi abbiamo eseguito.

Ma ciò non basta. Come si può leggere nell’ultimo rapporto sui risultati conseguiti in materia di contrasto all’evasione fiscale e contributiva, allegato alla Nadef di fine settembre, c’è anche il PNRR a richiedere il suo pesante dazio su questo fronte. Uno dei circa 500 obiettivi e riforme che condizionano l’erogazione delle dieci rate semestrali, prevedono che la propensione al gap – una misura che stima la propensione all’evasione, rapportando il tax gap, cioè la differenza tra gettito teorico e gettito effettivo, al gettito teorico – scenda del 5% entro il 2023 e del 15% entro il 2024, rispetto al dato di base del 2019. Considerando la propensione al gap del 2018 pari al 19,6% (il 2019 sarà disponibile entro poche settimane), si tratta di scendere al 18,6% entro il 2023 e al 16,7% entro il 2024.

Uno sforzo non banale, considerato che la propensione al gap è stata ferma intorno al 21% circa tra 2015 e 2017 ed è scesa al 19,6% nel 2018. In cifra assoluta, il tax gap si è ridotto da 106 miliardi del 2015 a 103 del 2018.

Gran parte del merito di questa discesa è attribuibile al miglioramento dei dati relativi all’IVA, imposta che si ritiene più soggetta a rischio di evasione in conseguenza dell’uso diffuso dei contanti. Ma che nel suo andamento mostra di non avere alcuna correlazione con i limiti che si sono succeduti nel tempo. Pur in presenza di un limite all’uso dei contanti fissato a €3.000, tra 2017 e 2019 è avvenuto un miracolo. Infatti la propensione al gap IVA, pari nel 2017 al 27%, è scesa nel 2018 al 23,4% e nel 2019 al 19,9%. In cifra assoluta un calo di 4,2 miliardi nel 2018 e 5 miliardi nel 2019.

In quest’ultimo anno, nonostante sia entrato in vigore l’obbligo di fattura elettronica per quasi tutti i contribuenti, l’effetto sulla riduzione del tax gap ha solo visto confermata l’onda lunga del miglioramento partita nel 2018, quando andarono a regime misure come la comunicazione dati IVA (cosiddetto spesometro) e la liquidazione periodica, che fecero segnare il vero salto di qualità nella lotta all’evasione delle partite IVA.

Uno studio pubblicato da Bankitalia nel gennaio 2019 (L’utilizzo del contante in Italia: evidenze dall’indagine della BCE) ci rivelò già la scoperta dell’acqua calda e cioè che “emerge chiaramente che, con riferimento alle operazioni quotidiane, all’aumentare dell’importo della transazione decresce la quota di pagamenti effettuata in contanti”. Insomma gli italiani avevano già abbandonato da tempo l’uso massiccio del contante.

Ma fu proprio la Bce nel dicembre 2019, poche settimane dopo la fine della presidenza di Mario Draghi, a smontare l’equazione “contante=evasione”.

In una lettera inviata al ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, e ai presidenti di Senato e Camera, Maria Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico, la BCE sostenne che limitare l’uso del contante per contrastare il riciclaggio dei capitali sporchi e il finanziamento del terrorismo andava bene per pagamenti pari o superiori a diecimila euro. Lo stesso non si poteva dire se il limite veniva ridotto a mille euro per combattere l’evasione fiscale. “Si dovrebbe dimostrare chiaramente che tali limitazioni permettano, di fatto, di conseguire la dichiarata finalità pubblica della lotta all’evasione”, recitava testualmente la lettera.

Da Francoforte affermarono che l’uso del contante, in quanto moneta legale, doveva essere consentito sempre e comunque a qualsiasi gruppo sociale, senza dover pagare commissioni.

Mentre ci si accanisce sparando con un cannone alle mosche, un’inchiesta giornalistica internazionale ha stimato in ben 13,2 miliardi il gettito sottratto all’Italia in 20 anni con un solo tipo di operazione elusiva, con processi in corso che vedono coinvolte le principali banche internazionali.

Ciononostante Mario Draghi non ha voluto dare ascolto a Yves Mersch suo ex collega nel comitato esecutivo di Francoforte.

(Versione integrata di un articolo pubblicato dal quotidiano La Verità)

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