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Consigli utili al governo Conte per la battaglia d’autunno con la Commissione europea

Il commento di Gianfranco Polillo che analizza la proposta formulata da Giorgio La Malfa sul Corriere della Sera Invertendo l’ordine dei fattori il prodotto, a differenza del noto principio di semplice aritmetica, può cambiare. Ma in questo caso, stiamo parlando di economia e di un possibile programma a medio termine, per far uscire l’Italia dalla…

Invertendo l’ordine dei fattori il prodotto, a differenza del noto principio di semplice aritmetica, può cambiare. Ma in questo caso, stiamo parlando di economia e di un possibile programma a medio termine, per far uscire l’Italia dalla palude in cui vive da troppo tempo. E’, in estrema sintesi, la tesi di Giorgio La Malfa, sulle pagine de Il Corriere della sera, che è difficile non condividere.

In genere nella battaglia d’autunno, che segna da sempre il confronto con la Commissione europea, si è partiti dai vincoli. Come limitare l’intervento, per rispettare le griglia che condizionano le dinamiche di finanza pubblica: il deficit di bilancio, nelle varie articolazioni dovute alla fertile fantasia di Bruxelles. Deficit nominale, deficit strutturale corretto per l’andamento del ciclo, obiettivo a medio termine, dinamica del debito, regola della spesa e via dicendo. Pesi e contrappesi destinati a pesare sull’obiettivo prioritario di politica economica. Che invece dovrebbe essere quello di un maggior tasso di sviluppo. L’unica vera garanzia di sostenibilità di qualsiasi regime economico.

E che, invece, nella logica finora seguita risulta solo essere una sorta di variabile dipendente. Inevitabilmente tenuta al margine dal prevalere delle altre esigenze. Per altro destinate a non produrre gli effetti sperati, com’è facile verificare analizzando gli ultimi anni della realtà italiana: tutti caratterizzati da un tasso di crescita ai minimi termini e dall’esplosione del rapporto debito-Pil. Segno che le politiche di austerità non hanno prodotto i risultati sperati nemmeno sul terreno più circoscritto della semplice stabilità finanziaria.

Ed ecco allora il suggerimento: si cerchi di individuare un traguardo di crescita, grazie ad una politica economica che ponga al suo centro questo obiettivo. E su questa ipotesi di fondo si trovino le necessarie compatibilità finanziarie. Su questa base si arrivi ad un confronto con la Commissione europea, con l’obiettivo di giungere ad un compromesso accettabile, che consenta di cambiare il vecchio registro. E’ un disegno compatibile con i vari elementi che caratterizzano le regole della governance?

Che, dal punto di vista giuridico, tutto ciò sia possibile è dimostrato dal fatto che l’intervento comunitario non si limita ai soli aspetti finanziari. Norme specifiche riguardano la sorveglianza sugli squilibri macroeconomici. Tema finora affrontato solo in chiave negativa, nell’individuazione dei possibili indizi in grado di anticipare successive crisi finanziarie. Ma da questa patologia occorre uscire. L’analisi del quadro macroeconomico, al contrario, può offrire spunti che contribuiscono a qualificare in positivo gli stessi assetti di finanza pubblica.

E’ il caso italiano, caratterizzato da un livello d’inflazione molto più contenuto rispetto al resto dell’Eurozona. Segno del permanere di una tendenza deflazionistica (il pallino di Mario Draghi), che il semplice rispetto dei tradizionali parametri fiscali rischia di accentuare. Comprimendo ancor di più il già basso tasso di sviluppo.

Altro fattore da porre sotto osservazione è il surplus elevato delle partite correnti della bilancia dei pagamenti: espressione di un risparmio interno non utilizzato. A sua volta conseguenza del ristagno della domanda interna. Elementi che richiedono un’attenzione maggiore rispetto al passato. Quando il timore reverenziale verso l’Europa impediva ogni possibilità di discussione tra “pari”.

Oggi il clima è cambiato. Sono quindi possibili ragionamenti più distesi. Meglio se di più lungo periodo, per dimostrare, a differenza del passato, che non si cercano scorciatoie, come lo furono i vari bonus. Ma solo cambiare, in una ritrovata coerenza, quelle politiche che, in passato, non hanno dato i risultati sperati.

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