skip to Main Content

Tunisia

Consigli non richiesti per una ficcante riforma fiscale

L'analisi di Gianfranco Polillo

 

Essendo stati tra i primi a dubitare delle magnifiche sorti progressive della riforma (?) fiscale, non possiamo che condividere i recenti rilievi di Carlo Cottarelli. “Passi graduali, non c’è una rivoluzione fiscale”: come giustamente ha affermato. Ma l’Italia di questa ha bisogno: soprattutto per combattere un’evasione vergognosa e ridurre il carico di un prelievo eccessivo e squilibrato. Ci vorrebbero, aggiunge Cottarelli, circa 35 miliardi, contro gli 8 stanziati dal Governo, per ridurre almeno di 2 punti la pressione fiscale. In questo caso, aggiungiamo noi, per scendere leggermente al di sotto la media dell’Eurozona. Per quanto ci riguarda, ci accontenteremmo di un traguardo anche meno ambizioso: raggiungere quella media con un taglio dell’onere fiscale pari a 1,4 punti. Sarebbe già un enorme passo in avanti, destinato a rimettere in moto quel mercato interno che, da tempo, frena le maggiori possibilità di sviluppo del Paese.

La ricetta suggerita da Cottarelli è lotta all’evasione fiscale e spending review. La grande assente dal dibattito pubblico italiano sulle politiche da seguire. Difficile non concordare. Lo spreco di risorse rimane tale anche quando le risorse ci sono, ma sono congelate. Come accade nella realtà italiana. Vorremmo ricordare che, secondo le previsioni della Commissione europea, al 2023 i crediti che l’Italia concederà all’estero, senza nulla pretendere (dati gli attuali livelli dei tassi di interessa) saranno pari ad oltre 220 miliardi di euro. Molto più di quanto l’Europa ci ha concesso con la Next generation UE. Risorse che potrebbero essere utilizzate per portare aventi quelle riforme che servono (compresa quella fiscale) alla sola condizione di spenderle bene per accrescere il ritmo di sviluppo della nostra economia. Se ciò si verificasse il ritorno sarebbe ovviamente superiore alle somme impiegate.

Ma perché questo non avviene? Perché le forze politiche italiane sono prigioniere dei loro schemi. Da un lato accettano, senza profferir verbo, le ricette europee; dall’altro maledicano Bruxelles senza avere la capacità di reggere un confronto vero e dimostrare la necessità di “politiche non convenzionali”, come avrebbe ripetuto Mario Draghi, dopo la sua esperienza alla Bce. In più c’è la convenienza di partito, che impedisce qualsiasi ragionamento che vada oltre quelle colonne d’Ercole. Quella convenienza che ha finora impedito di ragionare sul modello fiscale italiano: troppo semplicisticamente equiparato a quello di altri Paesi europei, dalle caratteristiche strutturali completamente diverse.

Da questo punto di vista l’Italia non è la Germania, la cui struttura produttiva vede il predominio delle grandi aziende. Non è nemmeno la Francia e, per molti versi, nemmeno la Spagna. A differenza di quei Paesi il suo apparato fordista è ristretto. La sua struttura sociale è più “liquida”: fatta di una miriade di piccolissime aziende, di servizi alla persona che hanno spesso una dimensione artigianale, di professioni che trovano la loro ragione essere più nel rapporto con il singolo cittadino (si pensi ad avvocati, medici e via dicendo) che non con le quelle strutture produttive, che impongono loro il rispetto di precise regole contabili. In queste condizioni l’evasione diventa il modo quasi usuale di rapportarsi con il fisco. Specie, poi, se le aliquote del prelievo sono giustificate eccessive. Così l’unica certezza per il fisco è data dal “sostituto d’imposta”. Il datore di lavoro che diventa gabelliere per conto dello Stato. Ma se questa prerogativa è esercitata solo da un pugno di soggetti, ecco allora che l’area della possibile evasione diventa un oceano.

La continua denuncia sindacale sull’eccessiva concentrazione del carico fiscale sui lavoratori dipendenti ha, quindi, questa ragione di carattere strutturale. Critica giustificata? Assolutamente si, seppur con qualche necessaria riserva. I lavoratori dipendenti sono i principali tartassati, ma non lo sono tutti nell’identica misura. Ancora una volta il modello seguito è stato quello prevalente a livello europeo, anche se nei confronti della Francia, ma della stessa Germania, le differenze sono profonde, a causa dell’esistenza di una sorta di “quoziente familiare”. Le diverse aliquote, infatti, ricalcano, più o meno, quelle equivalenze.

In Germania, ad esempio, si ha una “no tax area” fino a 9 mila euro l’anno, quindi aliquote progressivamente crescenti dal 14 al 42 per cento per i redditi compresi tra 9.001 a 54.949 euro. Da 54.950 euro a 260.532 l’aliquota rimane fissa al 42 per cento. Per salire al 45 per cento per i redditi ancora superiori. Come si vede, a parte la progressione continua, piuttosto che gli scaglioni, come invece avviene in Italia, la struttura del prelievo non è poi così dissimile. La vera differenza è altrove: è nel sistema delle agevolazioni fiscali a vantaggio dei redditi più bassi. Che altera profondamente i rapporti tra le varie classi di contribuenti. Agevolazioni che comportano sconti consistenti nel pagamento fino a ridurre ad un terzo l’aliquota effettiva per i redditi inferiori ai 15 mila euro e della metà quella per i redditi compresi tra i 15 ed i 29 mila euro. Ne deriva che, alla fine, come abbiamo scritto altre volte, il carico fiscale, ai fini Irpef, si concentra sui redditi superiori ai 50 mila euro l’anno. Sono poco più del 7 per cento dei contribuenti, ma su di essi pesa oltre il 30 per cento del prelievo.

Ed ecco allora spiegato il perché dell’immobilismo di tutti questi anni. Il grande compromesso realizzato è stato quello tra la protezione accordata ai redditi più bassi, seppure in modo surrettizio, e la grande evasione. Perché a pagare oltre il dovuto erano i soliti noti: quelle classi abbienti, fatti di quadri, dirigenti, liberi professionisti di alta gamma, costretti a pagare fino all’ultimo cent. La stessa cosa che accade in Germania? No: in quel caso entra in campo il “fattore famiglia” che comporta, per tutti e non solo per alcuni, la magia delle tax expenditures. Che rende meno salato il pur necessario salasso.

Back To Top