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Ecco come la Commissione Ue continua a favorire la Germania

La Commissione ha concesso tante autorizzazioni agli Stati membri (cioè soprattutto la Germania) per finanziare a piene mani le più disparate tipologie di spese a favore della transizione energetica e digitale. L'analisi di Giuseppe Liturri.

Sta emergendo nella totalità dei suoi contorni un’insanabile e congenita contraddizione della transizione energetica. Poiché essa non si regge in piedi a normali condizioni di mercato, è essenziale l’intervento pubblico per sostenerla – a colpi di sussidi ai consumatori e incentivi alle imprese – ma questo porta inevitabilmente alla distorsione dei meccanismi di concorrenza e, di conseguenza, alla frammentazione e, in alcuni casi, distruzione del mercato unico che è fondato proprio sul principio di parità di condizioni di concorrenza tra gli attori del mercato.

È un trade-off ineliminabile. O la transizione energetica o il mercato unico. E per il momento la Ue pare avere scelto la prima, sia pure nascondendosi prima dietro il paravento degli aiuti di Stato per l’emergenza Covid/Lockdown e poi per l’emergenza della guerra in Ucraina. Ma quando, si spera a brevissimo, la guerra in Ucraina sarà terminata, come si giustificherà l’autorizzazione – in deroga alle regole che li vietano – di aiuti di Stato per miliardi concessi dagli Stati membri (leggi Germania) alle proprie imprese?

Per il momento registriamo che anche la Commissione ha terminato l’anno con i botti. Ma non si tratta di fuochi pirotecnici, bensì di autorizzazioni concesse agli Stati membri (cioè soprattutto la Germania) per finanziare a piene mani le più disparate tipologie di spese a favore della transizione energetica e digitale. Il tutto in evidente spregio della tutela della parità di condizioni di concorrenza.

Quello che fino al 2019 era un pertugio strettissimo attraverso cui l’arcigno Commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager faceva passare poco o nulla, a partire dal 2020 è diventata un’autostrada a quattro corsie. In cui basta chiedere e la Commissione, in cui oggi il portafoglio della Concorrenza è in capo alla spagnola Teresa Ribera, concede con manica larghissima. Ed è purtroppo una gara in cui vince lo Stato che ha più capacità di bilancio, cioè la Germania.

In pochi giorni da Bruxelles sono stati ritenuti compatibili con le norme che disciplinano gli aiuti di Stato e quindi ritenuti non distorsivi della concorrenza, ben tre importanti erogazioni di sussidi da parte dello Stato tedesco a favore di iniziative pubbliche o di privati.

Nel dicembre 2022, c’era da noleggiare quattro enormi piattaforme galleggianti da mettere al largo nel mare del Nord per scaricare il gas naturale liquefatto (Gnl) e affrancarsi così dalle forniture russe di gas via tubo? Nessun problema. La Repubblica Federale di Germania ha costituito una società (Det, Deutsche Energy Terminal) e ne coprirà le perdite di bilancio fino al 2033, mettendo a disposizione fino a 4,96 miliardi di euro. Perdite che è ragionevole ipotizzare perché il relativamente breve periodo di esercizio, prima che entrino in funzione i terminali a terra in corso di costruzione, non consentirà il recupero di tutti i costi sostenuti. E la tutela del mercato? Perché gli operatori tedeschi devono godere di tale vantaggio rispetto ai loro concorrenti europei, avendo accesso da subito al Gnl trasportato via nave, con strutture pagate dallo Stato? Risposta non pervenuta. O meglio – non potendo negare l’evidenza – la Commissione parla di «limitato impatto» distorsivo sulla concorrenza. Quindi c’è, ma è irrilevante. E chi stabilisce la soglia di rilevanza? La Commissione stessa, estendendo a fisarmonica le maglie dell’articolo 107 del Trattato sul funzionamento della UE (Tfue). Un perfetto corto circuito.

E pazienza se da quelle stesse maglie nel 2014 non passò la ricapitalizzazione di poche centinaia di milioni da parte del Fondo Interbancario a favore di Banca Tercas – una piccola banca di provincia abruzzese che stava per essere rilevata dalla Banca Popolare di Bari – perché avrebbe costituito un aiuto distorsivo della concorrenza. Una decisione che, a cascata, impedì nel novembre 2015 l’intervento a favore di altre quattro banche in difficoltà che finirono in risoluzione e i cui azionisti e obbligazionisti furono azzerati, in una prima sostanziale applicazione del famigerato bail-in. Quella decisione contribuì pesantemente al dissesto della Banca Popolare di Bari e provocò un significativo calo dei valori di Borsa di tutti i titoli bancari. Un’onda lunga che poi coinvolse anche due banche venete (Popolare Vicenza e Veneto Banca) e Mps (ricapitalizzata prudenzialmente dallo Stato nel 2017).

Salvo poi, a latte ormai versato, apprendere da una prima sentenza del Tribunale Ue, confermata in secondo grado dalla Corte di Giustizia UE, che la Vestager aveva compiuto un clamoroso errore. Per il quale nessuno ha mai pagato e pagherà nulla, poiché circa un anno fa, alla banca barese è stato negato anche il risarcimento dei danni.

Incidentalmente, lungi da noi voler insinuare alcunché, ricordiamo che il ministro dell’economia dell’epoca era Pier Carlo Padoan, attuale presidente di Unicredit.

Ma le scorribande dello Stato tedesco in materia di aiuti di Stato non si fermano qui. Germania e Olanda intendono sostenere il mercato dei combustibili da fonti rinnovabili (idrogeno di origine non organica, soprattutto). Ed ecco che hanno messo a disposizione 3 miliardi di euro per incentivare la costruzione (anche fuori dalla Ue) di strutture produttive e per poi incentivare la domanda di questo combustibile, che ovviamente ha un costo iniziale folle, sussidiando i compratori e i venditori, in modo da far incontrare domanda e offerta.

Nella stessa scia, sono pronti 350 milioni per la tedesca Concrete Chemicals per costruire a Rudersdorf un impianto per la produzione di combustibile (Ptl-kerosene) da fonti rinnovabili per l’aviazione. Anche in questo caso, la Commissione ritiene che gli effetti positivi (cioè la riduzione delle emissioni) superino l’impatto distorsivo della concorrenza.

Andando oltre le ultime autorizzazioni di dicembre e osservando il fenomeno in prospettiva, la situazione è ancora più grave. Attingendo ai dati del quadro di controllo messo a disposizione dalla Commissione – stranamente fermo al 2022, una mancanza di trasparenza che oseremmo definire sospetta – si rileva che nel triennio (2020-2022) in cui sono saltate tutte le regole (tra aiuti Covid e quadro temporaneo per la crisi ucraina), la Germania ha letteralmente surclassato Francia e Italia in materia di aiuti di Stato autorizzati da Bruxelles. Berlino ha erogato aiuti per 315 miliardi, contro i 164 di Parigi e i 100 di Roma; nel triennio precedente si erano fermati rispettivamente a 144, 69 e 22 miliardi. In rapporto al PIL UE, gli aiuti in Germania sono stati pari al 2,2%, contro lo 0,7% dell’Italia. Nel solo 2022, la Germania è saldamente in testa sia nella spesa assoluta (74 miliardi) che rispetto al PIL nazionale (oltre il 2%), mentre l’Italia è appena oltre l’1%.

All’improvviso, ciò che fino a qualche anno fa veniva ritenuto un ordine naturale e inviolabile – lasciare libere di dispiegarsi le forze del mercato e limitare il ruolo dello Stato nell’economia – dal 2020 si è sciolto come neve al sole. La sequenza di “scoperte” è lunga. Dapprima si è scoperto che senza l’intervento dello Stato, il lockdown avrebbe distrutto l’economia europea. Poi si è scoperto che la corsa alla transizione energetica stava aprendo dei divari clamorosi tra domanda e offerta, sia a monte della filiera produttiva che a valle tra i consumatori, e quindi si è ritenuto necessario l’intervento dello Stato per evitare il fallimento del mercato, sussidiando sia i produttori che i consumatori di fonti di energia rinnovabile.

Infine si è scoperto che tagliare da un giorno all’altro i rapporti con la Russia, primo fornitore di combustibili fossili, aveva fatto saltare il mercato dei prodotti energetici e, anche in questo caso, ci voleva la mano dello Stato.

Il risultato finale di tutto questo è stata una frammentazione del mercato unico di cui, soprattutto, in alcuni settori industriali, è rimasto solo un simulacro. Ma soprattutto, questa sequenza di interventi ha aperto dei divari tra Stati nella capacità di sostenere la concorrenza. Infatti, chi più ha, più spende, flettendo le regole a proprio piacimento e mettendo le proprie imprese in condizioni di relativo vantaggio. Questa è la Ue oggi.

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