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Come e perché l’economia italiana è legata a doppio filo a quella tedesca

Il modello tedesco, tutto export e input energetici a basso costo, non c’è più e ora la domanda è quanto possa resistere la Germania, e la stessa Eurozona, fuori dal suo brodo di coltura. L'analisi di Giuseppe Liturri

 

C’era una volta un tempo felice nella Ue e in Germania. Quando i tedeschi macinavano avanzi di bilancia commerciale nell’ordine dei 200 miliardi all’anno e l’Italia seguiva a ruota con la non trascurabile cifra di circa 50 miliardi (in media 4/5 miliardi al mese). Allo stesso tempo, l’inflazione restava ben al di sotto della soglia-obiettivo del 2% ed il cambio euro-dollaro sembrava non potesse mai scendere al di sotto di 1,10 che, per la Germania, era un livello relativamente sottovalutato.

Ormai da qualche mese, ben prima degli eventi bellici in Ucraina, quei dati sembravano ormai appartenenti ad un passato difficilmente replicabile. Da mercoledì 13, quando è uscito il dato di giugno sull’inflazione negli USA (9,1% su anno precedente e 1,3% su maggio scorso), ben superiore alle attese, possiamo consegnare quei numeri ad un’altra era geologica. Quell’inflazione spinge ancor più convintamente gli USA su un sentiero di aumento dei tassi che in UE non ci possiamo permettere e ci pone su un sentiero di ulteriore vulnerabilità e debolezza.

È sufficiente un confronto tra i dati dei primi cinque mesi del 2022 e del 2021 della bilancia commerciale per avere evidenza del ribaltamento della realtà. Si è praticamente liquefatto come neve al sole l’avanzo della Germania verso il resto del mondo che scende da 83 a 25,7 miliardi, con l’Italia che segue a ruota, scendendo da 23 a -10,8 miliardi. Il nostro Paese è stabilmente in disavanzo di bilancia commerciale ormai da dicembre 2021. Numeri che non vedevamo da circa un decennio.

I dati a livelli di Eurozona e UE sono altrettanto impressionanti: si passa da un surplus di 84 miliardi ad un deficit di 113 per l’Eurozona, e da un surplus di 69,4 ad un deficit di 163,3 miliardi per la UE. La bilancia dei prodotti energetici contribuisce per 148 miliardi, sui 233 miliardi di peggioramento. Si fa fatica a trovare nel passato un ribaltamento delle ragioni di scambio così rapido e di tale ampiezza.

La causa è facilmente individuabile nell’esplosione del valore dell’import, soprattutto di prodotti energetici come gas e petrolio. Solo per quest’ultima categoria di prodotti, la Germania ha praticamente raddoppiato il disavanzo commerciale e l’Italia lo ha aumentato del 35%. All’improvviso, abbiamo scoperto che la Germania era un gigante con i piedi “saldamente” ancorati nell’argilla di un modello di approvvigionamento energetico concentrato su alcune fonti e su alcuni fornitori.

A proposito dei fornitori, desta impressione osservare l’andamento della bilancia commerciale con la Russia. Includendo tutti i prodotti, la UE passa da -19,5 a -76,6 miliardi (ben 57 miliardi di peggioramento in soli 5 mesi), la Germania da -0,4 a -7,7 e l’Italia da -2 a -9 miliardi. Se qualcuno volesse sapere dove è finito il nostro avanzo commerciale, la risposta è che in buona parte giace sotto le mura del Cremlino che specularmente continua, mese dopo mese, ad impilare avanzi commerciali record. Restringendo l’analisi ai soli prodotti petroliferi grezzi e raffinati, risulta evidente il ruolo preponderante recitato da questi prodotti nel determinare il risultato complessivo.

La cruda realtà tratteggiata da questi numeri impietosi è là a ricordarci che imporre delle sanzioni contro il principale fornitore di materie prime della UE è servito solo ad arricchire il sanzionato e mettere in difficoltà il sanzionatore. Alla Russia è bastato restare ferma a sfruttare l’impennata dei prezzi determinata da scelte improvvide, e poco ha potuto influire la sia pur significativa discesa dei volumi esportati.

Dopo alcuni mesi di velleitarie esibizioni muscolari, i numeri ci dicono quanto si è cercato goffamente di nascondere e cioè che una profonda recessione – non proprio la stessa cosa dello spegnimento di qualche condizionatore – è il costo da sostenere per recare danni significativi all’export russo di prodotti energetici. Non esattamente una strategia vincente.

Il risultato oggi è che il modello tedesco, tutto export e input energetici a basso costo, non c’è più e ora la domanda è quanto possa resistere la Germania, e la stessa Eurozona, fuori dal suo brodo di coltura. Da Bloomberg l’Italia è stata indicata come il miglior Paese in termini di riduzione della dipendenza dal gas russo, sceso dal 40% di inizio anno al 25%, facendo affidamento su maggiori forniture dall’Algeria. Invece la Germania ha minori possibilità di diversificazione ed è tuttora ferma al 35%.

I principali giornali tedeschi da giorni hanno titoli soltanto per le prevedibili restrizioni nei consumi industriali e privati di gas che conseguiranno alla temuta chiusura definitiva delle forniture di Mosca e gli industriali tedeschi, stanno nemmeno troppo velatamente, incrinando il fronte atlantista cercando di far capire all’opinione pubblica che la Germania e, con essa la UE, non è strutturalmente concepita per funzionare con un’inflazione all’8% ed i costi di gas e petrolio attestati sui livelli attuali.

Si sta quindi molto rapidamente avvicinando per Berlino il momento della scelta di campo definitiva: o lottano disperatamente per conservare il modello a trazione russa (per indicare il ruolo decisivo delle materie prime di Mosca) o capitolano e manifestano piena adesione al fronte atlantista che ha deciso di escludere a lungo termine la Russia dal circuito economico occidentale. In questa disputa, che mette in discussione equilibri che duravano da almeno 20 anni, l’Italia è vaso di coccio ed è legata a doppio filo alla Germania. Con Berlino abbiamo un interscambio molto rilevante (nel 2021 import per 75 miliardi ed export per 66 miliardi) e, soprattutto dopo il 2011, il nostro avanzo commerciale con l’estero è stato ottenuto sfruttando la stessa leva dei tedeschi: moderazione salariale comunque in grado, pur in presenza di modesti incrementi di produttività, di ridurre il costo del lavoro per unità di prodotto.

Chi per anni ha avversato il modello intrinsecamente deflazionistico della Germania e dell’eurozona avrebbe motivo per auspicare l’isolamento della Russia ed il ridimensionamento della sua economia, attraverso l’adozione di fonti energetiche alternative.

Però ciò avverrebbe con costi di breve termine molto elevati sia per la Germania che per l’Italia, già leggibili nei dati qui riportati. Per fare male a Mosca, Berlino dovrà fare molto più male a sé stessa, smontando un modello ventennale. Allora la sfida sarà sul fronte della capacità di resistenza a lungo termine tra Germania e Russia. Il blocco industriale e finanziario tedesco preme per non perdere lo storico fornitore russo, anche perché a Berlino la Storia offre qualche interessante indizio circa l’esito delle sfide con Mosca.

(Versione ampliata e aggiornata di un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità)

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