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Chi (non) elogia Draghi

Che cosa ha detto Draghi su Europa, export e bassi salari. E cosa hanno detto e scritto alcuni suoi critici come Bagnai e Barca

Non è più sostenibile una politica di “bassa crescita dei salari” per “aumentare la competitività esterna”. A dirlo è stato l’ex premier italiano Mario Draghi nell’ambito del Simposio annuale del Centre for Economic Policy Research a Parigi. L’ex presidente della Bce ed estensore, su incarico della Presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, del rapporto sul futuro della competitività europea, ha puntato il dito contro i governi che, sebbene disponessero di “uno spazio fiscale per contrastare la debolezza della domanda interna”, almeno fino allo scoppio della pandemia da Covid19, non hanno voluto utilizzarlo.

Parole che non sono state ad alcuni commentatori ed esperti, soprattutto perché Mario Draghi, grazie ai suoi prestigiosi incarichi, è stato un attore centrale della partita delle politiche economiche e fiscali europee ed italiane, non un mero osservatore esterno.

PER DRAGHI BAGNAI PRENDE IN PRESTITO LE PICCONATE DI COSSIGA

Pesante è il commento dell’economista Alberto Bagnai, professore all’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti e Pescara e deputato della Lega di Salvini. Per commentare le parole dell’ex premier, Bagnai parte da un’etichetta e prende in prestito le parole dell’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga che, con una delle sue picconate, definì Mario Draghi “un vile affarista”.  Particolarmente critica è la riflessione sul passaggio in cui Draghi punta il dito contro la scelta dei governi europei di affidarsi a “una bassa crescita dei salari come strumento per aumentare la competitività esterna, aggravando la debolezza del ciclo reddito consumo” sebbene vi fosse “spazio fiscale per tutti i governi per appoggiarsi alla debole domanda interna”. L’economista ed esponente della Lega cita il suo libro “Il tramonto dell’euro” (ed Imprimatur, 2012). “Queste politiche di deflazione salariale non hanno solo influenzato i consumi privati, la cui crescita è rimasta indietro rispetto a quella dei consumi degli altri Paesi dell’Eurozona di più di un punto percentuale dal 1995 al 2001 – scriveva Bagnai -. Hanno anche portato a una crescente disuguaglianza dei redditi, a una velocità mai vista, nemmeno subito dopo la riunificazione, quando milioni di persone persero il proprio lavoro in Germania Est. A livello europeo, questa politica ha creato le condizioni per una depressione economica prolungata, dato che gli altri Paesi membri sono sempre più spinti a vedere la soluzione dei propri problemi di competitività in una deflazione salariale ancora più rude”.

LA LETTERA DELLA BCE ALL’ITALIA FIRMATA DA MARIO DRAGHI

Bagnai ricorda che l’Italia non ha usato lo “spazio fiscale per contrastare la debolezza della domanda interna” non per una scelta deliberata per la formale richiesta di risanamento dei conti pubblici arrivata dalla Bce al Governo italiano, allora presieduto da Silvio Berlusconi. In una lettera, firmata dal presidente uscente Jean Claude Trichet e dal suo successore Mario Draghi, la Bce indicava le misure antispeculazione da adottare “con urgenza” dall’Italia per “rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità del bilancio e alle riforme strutturali”. In altre parole: la lista della spesa per evitare il fallimento. “C’era scritto – ricorda Bagnai -: “ulteriori misure di correzione del bilancio sono necessarie”, “fabbisogno netto all’1% nel 2012”, riforma delle pensioni, blocco del turnover, riduzione degli stipendi pubblici, clausole di riduzione automatica del deficit”. Una serie di iniziative che, come scrive il senatore della Lega, avrebbero causato una flessione del Pil italiano, un eccidio economico di cui il PD è stato volenteroso esecutore e spietato carnefice (qui il dettaglio delle misure prese dal PD in attuazione della lettera)”. E quella lettera “non l’aveva scritta Barbablù, Dracula, o qualche grigio Eichman di Bruxelles”, la missiva portava la firma di Mario Draghi.

FILIPPO BARCA CONTRO IL TURBO LIBERISMO DI MARIO DRAGHI

Anche da sinistra c’è chi sbuffa sulle ultime esternazioni di Draghi. E’ il caso di Fabrizio Barca, economista, ex dirigente della Banca d’Italia, docente di politica economica, Finanza aziendale e Storia dell’economia presso le università di Milano (Bocconi), Modena, Parigi (Sciences Po), Siena, Roma (Tor Vergata), Parma e Urbino. Nel 2009, su iniziativa della commissaria Danuta Hubner, ha stilato il rapporto sulla politica di coesione dell’Unione europea, oggi è coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità. In una lunga intervista sul quotidiano “Domani”, Barca critica l’assenza degli obiettivi di coesione e riduzione delle disuguaglianze nel rapporto Draghi. “L’idea in sé di ridurre il divario di ricerca e innovazione tra l’Ue e altri attori internazionali può essere compatibile con gli obiettivi della coesione se la si intende come possibilità per ogni territorio di esprimere le sue capacità di innovazione – dice il prof. Barca -. Ma – anche se è una buona notizia che l’Ue si doti di un piano – quello di Draghi la danneggia: l’obiettivo di rafforzare la capacità innovativa viene giocato in un modo superato e antisociale, che trascura e nega i punti di forza dell’Europa”.

BARCA PROMUOVE IL LIBERISMO DI BERLUSCONI E THATCHER CONTRO QUELLO DI DRAGHI

Aiutare lo sviluppo dei “campioni nazionali o europei” non basterebbe. “La forza dell’Europa, Italia in primis, sta invece nello straordinario sistema di aziende mediograndi che all’Ue chiedono anzitutto certezze per poter investire – continua Barca -. Nel rapporto stilato nel 2008 individuavamo missioni strategiche di grande attualità come l’adattamento climatico”. Nel mirino del prof. Barca ci finisce il neoliberismo a cui pare improntato il rapporto Draghi. “Draghi è convinto che la democrazia sia ortogonale alla competitività, non comprendendo che invece le due cose vanno insieme: non ho problemi con la competitività in sé, ma giocando con le mie carte – dice Barca -. L’Europarlamento è il posto dove fare queste battaglie, e lo è specialmente ora che non c’è più maggioranza stabile: questa è una occasione per le destre, certo, ma potrebbe pure venir voglia ai socialisti di fare opposizione”. Tanto profonda è il disappunto da far rivalutare vecchi avversari. “Il neoliberismo di Thatcher, Reagan, persino di Berlusconi, ha provocato danni paurosi, ma prometteva che dietro l’angolo della diseguaglianza ci fosse l’uguaglianza per tutti – conclude Barca -. Questo neoliberismo invece non è neppure in grado di promettere questo”.

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