Dopo quello di Berlino sulle materie prime, lo scorso giugno, e quello di Roma sull’intelligenza artificiale, a ottobre, il vertice di lunedì 8 aprile a Meudon tra i ministri di Italia, Francia e Germania – le tre economie principali dell’Unione europea – si è focalizzato sul più generale rilancio dell’industria europea nei settori strategici per le transizioni ecologica e digitale.
Erano presenti il ministro delle Imprese italiano Adolfo Urso, il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire e il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck, più quattro aziende in rappresentanza di ciascun paese: per l’Italia Enel (energia), Danieli (impianti siderurgici), Pirelli (pneumatici) e Alpitronic (elettronica di potenza).
LA PROPOSTA FRANCESE PER LA QUOTA EUROPEA NEI BANDI PUBBLICI
Dei tre ministri, quello con le posizioni più radicali per la ripresa della produzione europea rispetto alla concorrenza cinese e statunitense è sembrato essere il francese Le Maire, che ha proposto ad esempio una quota minima di contenuto europeo – tra il 40 e il 60 per cento – negli appalti pubblici. Urso si è detto favorevole a una misura di questo tipo, segnalando il rischio che l’Europa si trasformi in un continente di consumatori di beni realizzati altrove; non è stato tuttavia raggiunto un accordo in merito, probabilmente per via della cautela tedesca.

Italia, Francia e Germania hanno discusso anche di semplificazione normativa e di armonizzazione delle politiche, ad esempio quelle sugli acquisti comuni di materie prime.
IL PROBLEMA CON IL DAZIO SULLE EMISSIONI
Nel comunicato congiunto, che torna più volte sul concetto della sovranità europea sulle tecnologie critiche per l’energia e il digitale, si fa menzione anche del CBAM, il Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere. Si tratta, in sostanza, di un dazio sulle importazioni extra-europee di merci ad alta intensità carbonica (acciaio, alluminio, cemento, fertilizzanti…), che entrerà in vigore in via definitiva nel 2026: la versione provvisoria è attiva dall’ottobre 2023. Questo dazio andrà a compensare la differenza tra le emissioni di CO2 della merce importata e il prezzo del carbonio sul mercato europeo (il cosiddetto Emissions Trading System, o ETS).
Il CBAM si prefigge insomma di garantire la parità di condizioni tra le aziende europee e quelle che hanno sede in paesi che non si sono dotati di politiche sul clima altrettanto rigorose, “pareggiando” i costi di produzione delle merci più energivore; nel contempo, vuole prevenire la delocalizzazione dell’industria europea in territori dove le regole sulle emissioni sono più lasche. In gergo, ci si riferisce alla delocalizzazione motivata dalle normative climatiche con il termine carbon leakage.
Nel documento finale del vertice di Meudon, Italia, Francia e Germania dichiarano che “prima di estendere il CBAM alle emissioni indirette, [bisogna] assicurarsi che la traiettoria di decarbonizzazione e la competitività delle industrie ad alta intensità energetica, particolarmente esposte al commercio internazionale, non siano ostacolate e che il CBAM possa prevenire pienamente il carbon leakage“.
IL CBAM SPAVENTA L’INDUSTRIA EUROPEA
Anziché rassicurarle rispetto alla concorrenza estera, come da intenzioni, il CBAM sta spaventando diverse imprese manifatturiere europee – in particolare quelle dell’acciaio -, che temono che a causa del meccanismo finiranno per pagare di più le materie prime d’importazione, perdendone in competitività. Sarebbe un danno anche per l’Italia e per le sue numerose aziende esportatrici.
Uno dei problemi del CBAM è che se il dazio carbonico si applicherà soltanto alle materie prime e ai prodotti intermedi, ma non a quelli finiti, allora le aziende manifatturiere europee verranno svantaggiate rispetto alle imprese – sempre europee – che importeranno dall’estero direttamente la merce finita. Come scriveva su Rivista Energia Paolo Sangoi di Assofermet, “chi, per esempio, produce elettrodomestici nell’Unione Europea utilizzando acciaio e alluminio importati da territori extra-UE si ritroverà a fronteggiare un costo strutturalmente maggiore rispetto a chi importerà direttamente l’elettrodomestico finito”.
Inoltre, è ancora presto per dire se il CBAM riuscirà nel suo intento di stimolare, sfruttando la rilevanza del mercato europeo, la standardizzazione a livello globale dei metodi di misurazione delle emissioni. Esiste, al contrario, il rischio di una maggiore frammentazione del commercio internazionale.
IL COMMENTO DI CERRETELLI
Adriana Cerretelli, editorialista del Sole 24 Ore esperta di questioni industriali, ha commentato così il vertice di Meudon:
Più di rito che di sostanza questa Trilaterale. Non poteva essere altrimenti: le tecnologie di rottura, tutte, richiedono investimenti colossali e in Europa, tra crescita lenta e Patto di stabilità, di soldi in cassa non ce ne sono molti, altri eurobond per ora sono tabù, i capitali privati languono. Le tensioni interne non aiutano.