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Tim, tutto chiaro sulla rete a Kkr?

Fatti, numeri, considerazioni e scenari sulla vendita della rete Tim a una società controllata dal fondo americano Kkr, dal fondo sovrano emiratino Adia e dal ministero dell'Economia. La lettera di Francis Walsingham

Caro direttore,

continuo a seguire il tuo consiglio sulla preghiera laica con i giornali italiani (io che leggo di solito solo quelli stranieri) e stamattina ho notato che pressoché tutti i quotidiani spiegano il calo di ieri in borsa di Tim con l’offensiva legale annunciata da Vivendi: il gruppo francese è il singolo maggiore azionista di Tim e ha accusato il consiglio di amministrazione di aver violato le “regole di governance” con l’operazione di vendita della rete al fondo americano Kkr. Ma questa è la cronaca dei giorni scorsi, che i tuoi lettori conoscono bene: non mi dilungo.

Mi interessa piuttosto concentrarmi su una cosa: ma è davvero possibile che la colpa delle turbolenze di Tim a Piazza Affari sia tutta dell’offensiva legale preannunciata da Vivendi? Mi suona strano, considerata la rilevante operazione che è stata approvata e considerato il fatto che – così ha detto la società – la vendita a Kkr permetterà una riduzione del debito di 14 miliardi di euro. Peraltro, Moody’s ha messo in osservazione il titolo di Tim per un rialzo nella valutazione in attesa dei conti del trimestre, come hai fatto notare anche tu su X.

Ottimo, no? Non proprio. Se adesso Tim cala, infatti, è perché – come diversi analisti hanno capito, senza metterlo (ancora?) per iscritto – la cassa non è tanta: l’operazione con Kkr vale 18,8 miliardi. Si potrebbe forse arrivare intorno ai 22 miliardi, ma siamo ben lontani dalle precedenti stime di 24 miliardi e oltre di cui si è scritto a lungo nelle scorse settimane. Il mercato, insomma, si aspettava di più – era di quella cifra, 24 miliardi, che del resto si parlava nei mesi scorsi – ed è rimasto deluso. Le società di investimento vivono di aspettative e si interessano principalmente della cassa, dei contanti. Contanti che però non sono quanti credevano.

Ma non è nemmeno questa, caro direttore, la notizia clou che mi pare di aver colto stamattina. La notizia bomba l’ha data Giovanni Pons su Repubblica e riguarda il ministero dell’Economia e le sue tattiche apparentemente confuse. In sostanza, “il Mef andrà a formare un nocciolo duro al 20% circa che affiancherà il fondo americano Kkr nell’acquisto della rete Tim”. Ma l’obiettivo del Mef è ripristinare il controllo su NewCo e dunque sull’infrastruttura di telecomunicazioni, pur senza arrivare alla totalità delle quote.

“Poiché lo Stato non aveva i soldi per ricomprare da solo tutta la rete Tim ha scelto un grande fondo americano per fare da ponte al suo rientro. Un’alleanza che non è gratis”, prosegue Pons.

Il punto è che a Kkr, come a qualsiasi fondo di investimento privato, del concetto di strategicità frega poco (al nostro governo interessa?, mi domando a margine). A Kkr, come a qualsiasi fondo di investimento privato, interessa il guadagno: quindi adesso compra NewCo, e in futuro – non appena le condizioni saranno vantaggiose – la rivenderà con profitto al migliore offerente. Sarà il caso di definire per tempo delle procedure di garanzia sul controllo della rete di Tim, per evitare che finisca in mani sgradite.

Un’ultima cosa, caro direttore. In un parere della Corte dei conti sul decreto del presidente del consiglio dei ministri datato 5 settembre (“sull’autorizzazione all’acquisizione di partecipazioni nella società NetCo”, ossia la società della rete) che un amico magistrato mi ha inoltrato, si legge che “per NetCo i dati finanziari sono desunti dal piano predisposto da KKR ed evidenziano un’evoluzione positiva dei ricavi lungo tutto l’orizzonte di previsione”. Trattasi dunque di un investimento destinato a fruttare. Ma i dati sono troppo scarsi e il contesto troppo incerto per una valutazione fondata.

Scrive infatti la Corte che si tratta “di quadri finanziari preliminari, ancora oggetto di attività di due diligence. Essi, inoltre, sono prodotti al di fuori di un’analisi complessiva delle società oggetto di valutazione, senza essere suffragati dall’esplicitazione delle ipotesi di fondo, che identifichino il contesto economico da cui scaturiscono le stime, nonché da elementi informativi in merito alla situazione patrimoniale delle società; non sono, altresì, enunciati i rischi principali gravanti sull’iniziativa, in grado di incidere sulle proiezioni finanziarie sviluppate, né svolti test di sensitività per ponderare l’impatto di scenari avversi rispetto a quello che ne è alla base. In ragione di quanto esposto, pur prendendo atto che le attività valutative dell’operazione societaria risultano ancora in corso, queste Sezioni riunite ritengono che, allo stato attuale, il contenuto della motivazione del dPCM e dei prospetti finanziari preliminari trasmessi, anch’essi sintetici, non appaiono idonei a suffragare adeguatamente il giudizio di sostenibilità finanziaria dell’investimento, alla stregua dei principi di completezza documentale e proporzionalità richiamati nella citata deliberazione n. 16/2022”.

Quanto alle questioni di governance che tirano in ballo il Mef, la Corte spiega che “in assenza di indicazione, ai sensi dell’art. 7, c. 3, TUSP, degli elementi essenziali dell’atto costitutivo, allo stato ancora in corso di definizione secondo quanto rappresentato dall’Amministrazione, questa Corte non ha potuto verificare i concreti assetti di governance della nuova società. Sarà, al riguardo, onere dell’Amministrazione procedente assicurare attuazione al disposto dell’art. 3 del dPCM all’esame, garantendo in capo al MEF poteri di monitoraggio sulla gestione e meccanismi, anche di governance, di presidio sulle decisioni rilevanti, ai fini del perseguimento degli obiettivi di sviluppo e potenziamento di NetCo e in materia di rilevanza strategica e di sicurezza nazionale, anche in caso di mutamento della compagine azionaria. Il riconoscimento al socio MEF di effettivi speciali poteri di governance assume, pertanto, centralità affinché l’operazione prospettata si mantenga coerente con le valutazioni di convenienza economica e con il perseguimento delle finalità strategiche che fondano la scelta”.

Insomma, se finanche ai magistrati contabili che hanno ricevuto documentazione supplementare e non pubblica sull’operazione da parte del governo non è chiara del tutto l’operazione, figurarsi a me, povero analista di cose geopolitiche e strategiche che non è a suo agio con i codicilli e le alchimie finanziarie come lo è ad esempio Vittorio Grilli (nella foto), già direttore generale del Tesoro e advisor di Kkr come esponenti di assoluto spicco di Jp Morgan.

Caro direttore, conoscendoti anche solo un po’ penso che questa mia missiva possa ulteriormente accendere il tuo interesse sulla questione e meritare dunque la pubblicazione.

Cordiali saluti,

Francis Walsingham

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