CHE COSA SUCCEDERA’ ALLE BANCHE DOPO L’ACQUISTO DI UBI DA PARTE DI INTESA SANPAOLO
Niente sarà più come prima nella geografia del sistema bancario italiano post-Covid. Il calcio d’inizio del nuovo risiko bancario, forse quello definitivo, l’ha dato Intesa-Sanpaolo poco prima dello scoppio della pandemia, un anno fa andando all’attacco di Ubi, la quarta banca italiana, assorbita sotto le insegne del primo istituto del Paese. Tolto Ubi dallo scacchiere (e sottratta per tempo a un eventuale abbraccio mortale con Mps) e complice la pandemia, ora tutti si guardano intorno.
CHI SARA’ LA TERZA BANCA DOPO INTESA SANPAOLO E UNICREDIT: BPM-BPER?
Tutti sanno che il processo di concentrazione non può più essere rimandato. In fondo il sistema italiano si poggia tuttora su due grandi campioni, due big, con Intesa inossidabile nelle sue performance e con UniCredit ora guidata da Orcel, e su un drappello di banche medie da Banco Bpm a Bper alla Popolare di Sondrio che da sole non possono più stare. Il contesto pandemico non aiuta a stare adeguatamente sul mercato. I margini sugli interessi continueranno a rimanere asfittici e nel 2021-2022 i livelli di crediti malati torneranno a crescere, non a livelli di allarme, come nella bolla sugli Npl degli anni passati, ma certo porranno il tema di nuovi accantonamenti e svalutazioni che tenderanno a comprimere la redditività già fiacca per le banche cosiddette medie.
IL MODELLO CHE VUOLE LA BCE: TRE GRANDI CAMPIONI NAZIONALI
C’è bisogno di attori più grandi con le spalle larghe per assorbire le ripercussioni di un contesto esterno non facile. Lo chiede da tempo la Bce che vuole per l’Italia un sistema sulla falsariga dei competitor europei: due/tre grandi gruppi bancari e il territorio presidiato dalle banche più piccole. Funziona da anni così in Spagna (Bbva, Santander e le casse) in Francia (Bnp; SocGen, Credit Agricole i tre campioni nazionali) e in Germania (Deutsche Bank; Commerbank e le Landesbank regionali).
LO SCENARIO EUROPEO PER LE BANCHE ITALIANE
Non si capisce perché l’Italia non debba adeguarsi. C’è troppa sovracapacità produttiva in un mercato tradizionale aggredito dal Fintech e dai colossi del Web, trasformatesi in para-banche. Troppa sovracapacità e scarsa redditività. Tengono botta appunto sulla profittabilità (a eccezione della Germania) solo i grandi campioni nazionali con i Roe (i ritorni sul capitale) che tendono all’8-9%. A scalare sulle dimensioni più piccole le redditività di dimezzano ovunque in Europa.
L’INCOMPIUTA ITALIA: SOLO DUE BIG E UN PLOTONCINO DI BANCHE MEDIE
Ecco allora l’incompiuta Italia. Due colossi da serie A europea e poi una sorta di vuoto. Intesa-Sanpaolo con i suoi oltre 1.000 miliardi di attivo, dopo l’incorporazione di Ubi, e UniCredit con i suoi 930 miliardi. Dietro di loro una sorta di deserto. La prima banca più grande per dimensioni è Banco Bpm che si ferma a 180 miliardi; la zoppicante cronica Mps è a 150 miliardi e la Bper ha attività per 93 miliardi.
LA TERZA GRANDE BANCA CHE ANCORA NON C’È
Come si vede, manca davvero una terza grande banca alla spalle del duopolio Intesa/UniCredit. E il balletto tra chi compra chi, è ormai quotidiano almeno nelle dichiarazioni e nelle suggestioni. Va messa al sicuro la negletta Mps che pur con la ricca dote dei Dta (i crediti d’imposta differiti) che andranno al compratore fa paura, tanto da essere sul mercato da tempo senza nessuna attrattiva manifesta.
MPS SOLO LA GRANDE UNICREDIT PUÒ ASSORBIRLA, ALTRIMENTI SPEZZATINO
Solo una grande banca può assorbire la banca toscana che perde ricavi anno su anno e si porta dietro un contenzioso legale da 10 miliardi. Ecco allora caldeggiata da mesi dal Governo l’ipotesi UniCredit, l’unica sul campo o in alternativa andare a uno spezzatino di Mps da suddividere su più banche.
IL NIET DI DEL VECCHIO&C SULLA BANCA TOSCANA
I soci italiani di UniCredit, del Vecchio in testa, hanno già manifestato il loro disappunto sull’operazione Mps. E allora i rumors ipotizzano che per sventare Mps, UniCredit potrebbe muoversi puntando Banco Bpm. O addirittura prendere Mps, ma avere via libera anche su Banco Bpm o Bper. Una banca sana in compensazione a una banca malandata. Ma così il tema del terzo polo rimarrebbe inevaso ancora una volta.
L’OPERAZIONE PIÙ RAZIONALE PER IL SISTEMA: BPM-BPER
La logica vuole che l’operazione più razionale non solo per i protagonisti, ma anche per il riassetto definitivo del sistema del credito siano le nozze tra il Banco Bpm e la Bper.
IL TERZO POLO BANCO BPM-BPER UN GRUPPO DA 300 MILIARDI DI ATTIVO
Un vero e proprio matrimonio tra eguali che farebbe nascere la terza banca forte del Paese con un attivo di quasi 300 miliardi. Si otterrebbe un attore con una quota di mercato nazionale di circa il 14%; alle spalle di Intesa che ha il 21% e vicina a UniCredit anch’essa con il 13-14%. Le tre banche avrebbero così circa la metà del mercato bancario, con l’altra metà suddivisa tra le piccole banche e le Bcc, oggi riunite sotto le due holding Iccrea e Cassa Centrale Banca. Un assetto in linea con i competitor europei.
MATRIMONIO TRA UGUALI
Una fusione tra la banca nata dal matrimonio tra la Popolare di Milano e il Banco Popolare e la Bper emiliana non ha eccessive sovrapposizioni di sportelli; avrebbe il cuore nelle aree ricche del Paese, un triangolo lombardo-veneto con la ricca Emilia. Inoltre sono due banche sane con molte similitudini e il merger sarebbe carta contro carta. Banco Bpm ha chiuso da tempo sotto l’amministratore delegato Giuseppe Castagna il suo percorso di risanamento post-fusione con il Banco Popolare che portò in casa Bpm le alte sofferenze croniche del Banco a partire da Italease e dalla vecchia Lodi.
La massa dei crediti deteriorati è scesa negli anni dal picco di oltre 23% al 7,5% attuale con una copertura al 50% e un Npl ratio netto al 3,8%. Percorso analogo sui crediti malati per Bper scesa anch’essa dal picco del 23% nel 2016 al 7,8% attuale con un Npl ratio netto al 4%.
DUE GEMELLI
Quasi due gemelli sul fronte dell’asset quality con Banco Bpm che ha un Texas ratio più basso al 39% contro il 55% di Bper. Il Banco Bpm si è portato però più avanti nelle pulizie e negli accantonamenti spesando già nel 2020 accantonamenti futuri che hanno portato a svalutazioni per 1,3 miliardi contro poco più di mezzo miliardo per Bper. Sia il Banco che Bper hanno sui crediti malati in portafoglio tuttora, garanzie immobiliari forti sul 60% dei crediti malati che le mettono al riparo da cattive sorprese future.
GLI ATOUT DI BANCO BPM
Inoltre, cosa da non trascurare, Banco Bpm ha tre atout da spendere. In bilancio, la banca guidata da Castagna, ha Dta per 1 miliardo che favorirebbe l’integrazione e ha un tesoretto di capital gain latente sui titoli di Stato italiani per 850 milioni. E ancora Banco Bpm è molto forte nel mercato molto redditizio del credito al consumo grazie al 39% posseduto in Agos. Tre doti più che utili al matrimonio. Per Barclays la fusione vedrebbe la nascita del terzo gruppo che avrebbe tra due anni un Rote più che adeguato al 6,4%; con un Cet1 oltre il 13%. Per gli analisti di Deutsche Bank il nuovo gruppo produrrà oltre un miliardo di utili netti dal 2023 in poi.
LA CORSA DI BPER
Bper è tra le banche medie quella che è cresciuta di più in termini di dimensioni, una crescita che non ha impedito la pulizia dalla zavorra delle sofferenze del passato. Il bilancio del 2020 ha visto una forte impennata dei margini. Ora dovrà integrare i 600 sportelli comprati da Intesa dopo la fusione con Ubi e alla guida è stato di recente nominato Piero Montani, ex AntonVeneta, Bpm e Carige, che ha fama di grande ristrutturatore.
(Estratto di un articolo pubblicato su affaritaliani.it)